Finestra sul mondo

Tillerson a Mosca, Attentato Dortmund, Turchia verso dittatura, Presidenziali Francia, Tensione Venezuela, Debito Italia

di Agenzia Nova |

Poteri, economia, finanza e geopolitica nelle ultime 24 ore

Finestra sul mondo è una rubrica quotidiana con le notizie internazionali di Agenzia Nova pubblicate in collaborazione con Key4biz. Poteri, economia, finanza, lette in chiave di interdipendenza con un occhio alla geopolitica. Per consultare i numeri precedenti, clicca qui.

Usa-Russa, la visita di Tillerson a Mosca cristallizza le divergenze

13 apr 11:19 – (Agenzia Nova) – Stati Uniti e Russia hanno tentato ieri di contenere le tensioni causate dagli ultimi sviluppi in Siria, in occasione della visita a Mosca del segretario di Stato Usa Rex Tillerson. L’incontro del segretario col suo omologo russo, Sergej Lavrov, e con il presidente Vladimir Putin, non si e’ spinto pero’ oltre la presa d’atto dell’inconciliabilita’ delle reciproche posizioni. Tillerson ha ribadito che gli Usa sono certi della responsabilita’ del regime di Damasco per l’attacco con armi chimiche nella provincia di Idlib, la scorsa settimana. La Russia e’ tornata a chiedere una indagine indipendente, ed ha accusato gli Stati Uniti e le organizzazioni internazionali di ostacolare l’accertamento delle dinamiche, e di aver scatenato una “isteria mediatica” attorno all’episodio. “C’e’ uno scarso livello di fiducia tra i nostri paesi”, ha ammesso Tillerson durante una conferenza stampa congiunta con il suo omologo Lavrov. “Le maggiori potenze nucleari mondiali non possono intrattenere una relazione di questo tipo”. I due ministri hanno spiegato di aver discusso l’intera gamma delle questioni che oppongono i due paesi: non solo la crisi in Siria, ma anche quella in Ucraina, e ai preoccupanti venti di guerra nella Penisola coreana. Interrogato sulle parole del presidente Usa Donald Trump, che ha definito Assad “un animale”, Tillerson ha detto che il presidente Siriano “ha attirato su di se'” tale caratterizzazione. Tillerson e Lavrov hanno duellato anche in merito alle presunte interferenze della Russia nel processo elettorale statunitense. Un “fatto acclarato”, secondo il segretario Usa; Lavrov ha replicato citando una lunga lista di “cambi di regime” perseguiti dagli Usa in tutto il mondo, dalla Serbia, all’Iraq, sino alla Libia. L’incontro tra Tillerson e il presidente russo Putin, in dubbio sino all’ultimo, alla fine si e’ tenuto, ed e’ durato circa due ore, ma e’ stato in ultima analisi inconcludente. Il presidente russo ha additato l’attacco chimico imputato al regime siriano come una “fabbricazione” dei nemici di Assad; ed e’ tornato a paragonare quanto avvenuto alle presunte prove delle armi di distruzione di massa irachene presentate dagli Usa all’Onu nel 2003 per giustificare l’invasione di quel paese, rivelatesi poi inesistenti. Gli unici risultati della visita di Tillerson, scrive la “Washington Post”, sono l’annuncio di un gruppo di lavoro congiunto per tentare di appianare le divergenze tra i due paesi; e l’offerta di Mosca di ripristinare la linea di comunicazione tasa ad evitare incidenti tra le Forze armate dei due paesi in Siria: il canale era stato interrotto da Mosca dopo l’attacco missilistico Usa contro il regime di Damasco, la scorsa settimana. Pessimista il presidente Usa, Donald Trump, che ieri, durante un incontro a Washington con il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha laconicamente commentato lo stato delle relazioni tra Washington e Mosca: “Siamo forse ai minimi di tutti i tempi. Staremo a vedere”.

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Germania, attentato Dortmund: autorita’ si ricredono, seguono pista terroristica

13 apr 11:19 – (Agenzia Nova) – La polizia ha arrestato due sospetti responsabili dell’attentato dinamitardo al pullman del Borussia Dortmund. Stando all’agenzia “Dpa”, uno dei due sarebbe un 25 enne iracheno affiliato allo Stato islamico. La portavoce del procuratore federale, Frauke Koehler, ha riferito che le autorita’ stanno effettuando perquisizioni di abitazioni e locali legati alla scena islamista, anche se non e’ ancora possibile trarre conclusioni certe. Un secondo sospettato sarebbe un tedesco 28 enne di Froendenberg, nel circondario di Unna. Tre lettere di rivendicazione sono state trovate vicino alla scena del crimine e sono al vaglio degli esperti: tra le altre cose, vi si richiede il ritiro dei Tornado tedeschi dalla Siria e la chiusura della base aerea di Ramstein. Secondo Koehler, i tre ordigni che hanno colpito il pullman della squadra di calcio di Dortmund sarebbero stati imbottiti di frammenti metallici, uno dei quali ha bucato il poggiatesta di un sedile dell’autobus: l’attentato, insomma, avrebbe potuto provocare diverse vittime. Le autorita’ del Nord Reno-Vestfalia rimangono in allerta e non escludendo la possibilita’ di nuovi attentati. “Dobbiamo presumere che gli autori dell’atto sono stati arrestati, ma prendiamo sul serio il rischi di ulteriori atti di violenza”, ha detto il ministro dell’interno del land, Ralf Jaeger (Spd), a Duesseldorf. “Non ci piegheremo all’odio e al terrore”, ha proseguito il ministro, “da qualunque parte esso provenga”. Nell’attentato sono rimasti feriti il difensore del Borussia Dortmund, Marc Bartra, e un agente di polizia che scortava il pullman. Il cancelliere tedesco Merkel ha elogiato il lavoro della polizia e i cittadini tedeschi che si sono offerti di ospitare i tifosi della squadra avversaria del Borussia.

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La Turchia sta scivolando verso la dittatura

13 apr 11:19 – (Agenzia Nova) – E’ dedicata alla Turchia la copertina dell’ultimo numero del settimanale britannico “The Economist”: domenica il paese di frontiera, di grandi dimensioni e rilevanza politica, decidera’ con un referendum costituzionale se abbandonare l’attuale sistema parlamentare per uno presidenziale. La vittoria dell’opzione presidenzialista e’ probabile, anche se non certa. Non c’e’ niente di male in una presidenza forte, ma la riforma andrebbe molto oltre, consegnando il paese a un sultano del XXI secolo con un contrappeso minimo del parlamento. Il “si'” condannerebbe la Turchia alla dittatura eletta del presidente Recep Tayyip Erdogan; il “no” lascerebbe qualche vincolo. Da quando si e’ insediato al potere, nel 2003, Erdogan, col suo Partito per la giustizia e lo sviluppo (Ak), ha fatto molte cose positive: incoraggiato dal Fondo monetario internazionale, ha domato l’inflazione e avviato la crescita economica; incoraggiato dall’Unione Europea, ha affrontato i vertici militari e la burocrazia, rafforzato le liberta’ civili, dialogato con i curdi e i conservatori religiosi della classe operaia. Oggi, pero’,la Turchia e’ assediata dai problemi: all’ombra della guerra civile siriana, jihadisti e militanti curdi conducono campagne contro lo Stato, l’estate scorsa l’esercito ha tentato un golpe, l’economia e’ rallentata a causa del nepotismo, della cattiva gestione e del crollo del turismo. Secondo Erdogan per raddrizzare la situazione ci vuole una nuova costituzione che garantisca stabilita’ politica; a suo parere solo un presidente forte (lui stesso) puo’ galvanizzare lo Stato e sbaragliare i nemici. La nuova costituzione incarna la “democrazia illiberale” di nazionalisti come Viktor Orban in Ungheria e Vladimir Putin in Russia: chi vince le elezioni prende tutto e ha il diritto di eliminare gli ostacoli e sovvertire le istituzioni, la magistratura e la stampa. E’ una falsa stabilita’: le democrazie di maggior successo separano i poteri e limitano i governi. La Turchia e’ particolarmente mal predisposta al principio del “chi vince prende tutto” perche’ e’ divisa tra laici, clericali e nazionalisti: non sara’ mai stabile se la componente maggioritaria cerca di far fuori le altre. La principale argomentazione a sfavore di questo sistema e’ Erdogan stesso: dal fallito golpe sta governando in uno stato di emergenza che dimostra con quanta crudelta’ di possa abusare del potere. Quasi 50 mila persone sono state arrestate, centomila sono state licenziate, e solo una minima parte di loro era coinvolta nel tentativo di colpo di Stato. Chiunque sia considerato una minaccia e’ vulnerabile. A prescindere dal risultato del 16 aprile Erdogan restera’ in carica, libero di usare e abusare dei suoi poteri emergenziali. Nell’Ue ci sono voci a favore della sospensione dei colloqui per l’adesione, che sono comunque moribondi. In Occidente c’e’ chi considera l’esperienza turca la dimostrazione che Islam e democrazia non possono coesistere; cedere a questa idea significa rinunciare alla Turchia. Il mondo esterno, invece, non dovrebbe abbandonare il paese ma essere paziente,nel suo stesso interesse: la Turchia, membro della Nato, l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, e potenza regionale, e’ troppo importante. L’Ue, inoltre, dovra’ continuare a confrontarsi con Ankara sul tema dei rifugiati. D’altra parte, i contatti commerciali con l’Ue, principale partner, possono rafforzare i turchi piu’ filo-occidentali, probabilmente i maggiori oppositori di Erdogan, e l’appartenenza alla Nato puo’ moderare le forze armate. Dopo il voto la Turchia continuera’ a essere cruciale: se Erdogan perdera’, il paese sara’ un alleato scomodo con un futuro difficile; se vincera’, governera’ da dittatore eletto.

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Francia, Hollande indichera’ un candidato solo al turno di ballottaggio delle presidenziali

13 apr 11:19 – (Agenzia Nova) – Francois Hollande uscira’ dal proprio riserbo dopo il primo turno delle elezioni presidenziali francesi e si schierera’ a favore di un candidato al turno di ballottaggio: e’ questa la principale notizia contenuta nell’intervista che il presidente francese ha rilasciato al settimanale “Le Point” e che il quotidiano conservatore “Le Figaro” oggi giovedi’ 13 aprile analizza punto per punto in una serie di articoli di analisi a cura della sua redazione politica. Secondo il quale Hollande, che nel dicembre scorso ha deciso di non ripresentarsi, in privato fa sapere che al turno di ballottaggio del 7 maggio prossimo lui votera’ per chiunque sia l’avversario della leader del partito di estrema destra Front national (Fn), Marine Le Pen. Nell’intervista traspare anche una preferenza del presidente, al primo turno di domenica 23 aprile, a favore del candidato “indipendente” di centrosinistra Emmanuel Macron, suo ex ministro dell’Economia dal maggio 2014 al settembre 2016; e cio’ nonostante il fatto che il candidato ufficiale del Partito socialista sia Benoit Hamon, che pero’ i sondaggi danno appena in quinta posizione con solo l’8-10 per cento delle intenzioni di voto. L’ascesa di Macron, dato dai sondaggi testa-a-testa con la Le Pen, per Hollande sarebbe frutto di un “concorso di circostanze”: una definizione tesa a smentire le interpretazioni secondo cui ci sarebbe proprio l’attuale presidente socialista dietro l’avventura politica del giovane ex ministro dell’Economia. Hollande ha anche criticato il candidato dell’estrema sinistra, Jean-Luc Me’lenchon, che alla testa della coalizione “La France insoumise” (“La Francia non-sottomessa”, ndr) nelle ultime settimane ha rapidamente rimontato nelle intenzioni di voti dei francesi e stando agli ultimi sondaggi potrebbe persino approdare al turno di ballottaggio. “C’e’ un pericolo”, ha ammonito il presidente, “costituito dalle semplificazioni e dalle falsificazioni che inducono a guardare piu’ allo spettacolo rappresentato da certi tribuni che alla sostanza del messaggio politico”, ha detto: e’ chiaro che l’esito che Hollande teme piu’ di tutti e’ un duello al ballottaggio tra Marine Le Pen e Jean-Luc Me’lenchon.

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Venezuela, la tensione entra anche in Chiesa: tafferugli nella Basilica di Caracas

13 apr 11:19 – (Agenzia Nova) – Il braccio di ferro tra governo e opposizioni in Venezuela infrange ogni giorno nuove barriere. La processione del Nazareno, la manifestazione con cui si celebra il mercoledi’ santo nella Basilica di Santa Teresa a Caracas, e’ stata attraversata da scontri e momenti di alta tensione. Gruppi di “colectivos” – energiche unita’, spesso armate, legate alla maggioranza di governo – sono entrati in contatto con gli oppositori dando vita a un parapiglia che avrebbe coinvolto, seppur in maniera marginale, anche il cardinale Jorge Urosa Savino, arcivescovo della capitale. L’episodio spiega una parte del ruolo che la Chiesa cattolica occupa all’interno della crisi venezuelana. Le cronache delle proteste nelle ultime ore segnalavano la morte violenta di almeno due manifestanti, vittime – secondo gli oppositori – dell’azione delle scorribande punitive dei “colectivos”. Prima della messa, lo stesso cardinale Urosa era intervenuto pubblicamente per denunciare l’operato “di gruppi armati che agiscono nell’impunita’”, elementi parte “di bande illegali che commettono delitti e che il governo non puo’ continuare a proteggere”. L’arcivescovo invitava a preservare la processione del Nazareno, richiesta come visto sfumata. Nel calendario delle agitazioni promesse dalla Mesa de la unidad democratica per chiedere a Caracas il ripristino delle condizioni di democrazia, c’e’ anche l’invito a presenziare in massa alle manifestazioni religiose della settimana santa per “pregare per la pace nel paese”. Nei mesi scorsi l’Unione della nazioni sudamericane (Unasur) aveva affidato a tre ex presidenti – lo spagnolo Jose’ Luis Rodriguez Zapatero, il panamense Martin Torrijos e il domenicano Leonel Fernandez – l’incarico di condurre la mediazione politica tra le parti. La chiesa venezuelana aveva originariamente assicurato i propri “buoni uffici”, ma poi si e’ ritirata dal tavolo denunciando il mancato impegno del governo.

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Usa, retromarcia di Trump su presidenza Fed, Cina ed Ex-Im Bank

13 apr 11:19 – (Agenzia Nova) – Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha dichiarato ieri che il dollaro “sta diventando troppo forte”, ed ha auspicato che la Federal Reserve (Fed) continui a comprimere i tassi di riferimento. Intervistato dal “Wall Street Journal”, Trump ha anche teso la mano alla Cina, dichiarando che Washington non accusera’ la prima potenza asiatica di manipolazione valutaria in un rapporto ufficiale la cui pubblicazione e’ prevista per questa settimana. Trump ha anche fatto un passo indietro sulla direzione della Fed, aprendo all’ipotesi di una riconferma di Janet Yellen alla guida della banca centrale Usa. “saro’ onesto, apprezzo la politica dei bassi tassi d’interesse”, ha spiegato Trump. “Credo che il dollaro si stia rafforzando troppo, e in parte e’ colpa mia, perche’ gli operatori economici hanno fiducia in me. Ma si tratta di un fattore negativo, che in ultima analisi finira’ per danneggiarci”. Quanto alla Cina, Trump ha categoricamente smentito quanto affermato durante la campagna elettorale dello scorso anno: “Non sono manipolatori della valuta”, ha detto il presidente, che spera di ottenere l’appoggio di Pechino per soffocare il programma nucleare della Corea del Nord. Trump si e’ rimangiato anche le critiche dei mesi scorsi contro Yellen: “Mi piace, la rispetto”, ha detto della presidente della Fed, sottolineando di essersi confrontato direttamente con la funzionaria dopo il suo insediamento alla Casa Bianca. Trump ha sorpreso i suoi intervistatori con un’altra retromarcia programmatica: il presidente ha espresso sostegno alla Export-Import Bank, l’agenzia federale che sussidia le esportazioni di alcuni “campioni” della manifattura Usa – come Boeing – e che il Repubblicano aveva promesso di abolire durante la campagna elettorale. “Abbiamo compreso, anzitutto, che molte piccole aziende ricevono un aiuto concreto. Ma anche, ed e’ forse ancora piu’ importante, che altri paesi concedono a loro volta assistenza (alle loro aziende esportatrici, ndr). Se lo fanno solo gli altri paesi, noi finiamo per perdere un’enorme mole di affari”, ha detto Trump, che ha annunciato la nomina di due funzionari nel consiglio direttivo dell’agenzia, bloccato a causa di tre poltrone vacanti su un totale di cinque. Stando al “New York Times”, le incredibili inversioni di rotta del presidente costituiscono un’ulteriore e inconfutabile prova della sconfitta della corrente populista all’interno della sua amministrazione, capitanata dal suo consigliere Stephen K. Bannon, prossimo secondo molti all’uscita di scena.

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Il debito italiano continua a preoccupare gli investitori

13 apr 11:19 – (Agenzia Nova) – “Per salvare se’ stessa ed anche l’Unione monetaria, e’ necessario che l’Italia risani in maniera decisiva le sue finanze pubbliche”: questa dichiarazione e’ citata dal quotidiano francese “Les Echos” come l’ennesimo avvertimento lanciato dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, per richiamare l’Italia all’ordine e spingerla a mettere sotto controllo il suo enorme deficit statale e soprattutto il suo debito pubblico, che continuano a preoccupare gli ambienti finanziari. Anche se l’attenzione degli investitori sembra in questo momento focalizzata sulle elezioni presidenziali in Francia, scrive il corrispondente da Roma del giornale economico, Olivier Tosseri, essi non dimenticano che e’ l’Italia il vero anello debole dell’Europa, quello attraverso cui puo’ arrivare una tempesta finanziaria: e il loro nervosismo e’ testimoniato dall’aumento dello “spread”, lo scarto dei tassi di interesse a 10 anni tra l’Italia e la Germania, che in questi giorni e’ schizzato a 208 punti come non si vedeva dal febbraio 2014. Il governo di Paolo Gentiloni cerca di essere rassicurante ed ha promesso di rispettare i propri impegni di bilancio con l’Unione Europea: riduzione di 3,4 miliardi di euro del deficit statale e privatizzazioni per ridurre il debito pubblico, attraverso il trasferimento alla Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) delle partecipazioni detenute dal Tesoro in diverse grandi societa’. Ma quelle italiane sono promesse piu’ ripetute che rispettate, nota il giornalista francese: l’anno scorso infatti l’Italia ha raggiunto meno del 20 per cento dei suoi obbiettivi di privatizzazioni negoziati con Bruxelles. La sola speranza riposa sul ritorno della crescita dell’economia italiana, che tuttavia e’ stata timida nel 2016 e che secondo il governo crescera’ ad un ritmo simile anche quest’anno: le preoccupazioni nei confronti dell’Italia dunque rischiano di crescere ad un ritmo ben piu’ sostenuto, soprattutto quando saranno passate le elezioni francesi.

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Spagna, gli Usa raffreddano le ambizioni indipendentiste della Catalogna

13 apr 11:19 – (Agenzia Nova) – I media spagnoli, alcuni senza nascondere una certa soddisfazione, registrano i messaggi di chiusura alle ambizioni indipendentiste della Catalogna arrivati nelle ultime ore dagli Stati Uniti. Sotto la guida di Carles Puigdemont, la regione di Barcellona si e’ impegnata a celebrare – entro la fine del 2017 e contro il parere del governo centrale – un referendum sulla propria indipendenza. Una battaglia che il governatore ha provato a illustrare in varie sedi internazionali, a partire dall’Unione europea, senza pero’ incassare grandi successi. Nei giorni scorsi Puigdemont e’ volato negli Usa per un giro di cinque giorni che gli ha garantito l’appoggio di un pugno di parlamentari. Il “colpaccio” sembrava pero’ essere l’incontro a sorpresa con l’ex presidente Jimmy Carter. Ieri, nel giro di poche ore, da Washington sono arrivati segnali di distacco. L’ambasciata degli Usa a Madrid, ricordati i valori e la storia che uniscono i due paesi, ha sottolineato in una nota che la questione catalana “e’ un affare interno della Spagna”. E che Washington rinnova il proprio impegno in una relazione con una Spagna “forte e unita”. Poco dopo anche il Carter Center spiegava le sue ragioni: l’ex presidente aveva ascoltato “l’intenzione del governo catalano di procedere con un referendum sull’indipendenza”, ma poi aveva chiarito che “ne’ lui ne’ il Centro si sarebbero potuti impegnare sul tema”. Il comunicato dell’ambasciata – che fonti del governo di Barcellona dicono essere stato emesso “su richiesta dell’esecutivo spagnolo” – veniva diffuso nelle ore in cui guadagnavano visibilita’ una serie di foto scattate da Puigdemont con i deputati statunitensi Dana Rohrabcher (repubblicano) e Brian Higgins (democratico), impegnati in un giro ufficiale a Barcellona. Dietro di loro i vessilli degli Stati Uniti e della Catalogna, non quello della Spagna. I congressisti si sarebbero dovuti recare anche a Madrid per incontrare gli ambasciatori speciali per il contenzioso catalano, il sottosegretario agli Interni Jose’ Antonio Nieto, e il ministro degli Esteri Alfonso Dastis. Ma nessuno di loro li ha visti, sottolinea “El Pais”.

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Germania, l’attentatore di Berlino ha agito da solo

13 apr 11:19 – (Agenzia Nova) – Anis Amri, l’attentatore che lo scorso 19 dicembre e’ piombato con un autocarro sul mercato di Natale di Berlino, uccidendo 12 persone e ferendone oltre 50, ha agito da solo. Lo ha dichiarato il procuratore incaricato delle indagini sull’attentato, secondo cui gli investigatori non hanno raccolto alcun elemento che possa suggerire il coinvolgimento di altre persone nella pianificazione dell’attentato. Secondo gli investigatori Amri avrebbe registrato il video in cui giura lealta’ allo Stato islamico al piu’ tardi il 10 novembre, e nei giorni successivi avrebbe consultato propaganda e materiale estremista su Internet con un cellulare rubato a settembre ad uno svizzero. Alla fine del mese Amri era stato piu’ volte fermato sulla Breitscheidplatz, teatro del successivo attentato: probabilmente, effettuava dei sopralluoghi. Quattro giorni prima dell’attentato era stato visto mentre tentava di rubare un camion parcheggiato presso il Friedrich-Krause Ufer (lungo la Sprea). Il giorno dell’attentato aveva lasciato il suo appartamento alle 14:15, ed aveva incontrato due persone nel quartiere di Wedding. Tuttavia, quando aveva ucciso il guidatore del camion era solo, come hanno dimostrato le immagini delle telecamere che lo hanno ripreso mentre si rifugiava nella moschea di Fussilet. Non e’ chiaro se fosse sotto l’effetto di stupefacenti. Gli inquirenti hanno trovato tracce di cocaina e cannabis fra i suoi capelli. Amri era riuscito a sparire per due giorni dopo l’attentato, quando un testimone lo aveva osservato su un pullman da Emmerich a Kleve. La sua fuga si e’ conclusa il 23 dicembre, quando due agenti delle forze dell’ordine italiane lo hanno ucciso in uno scontro a fuoco a Milano.

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Regno Unito, i salari non crescono

13 apr 11:19 – (Agenzia Nova) – Gli ultimi dati dell’Office for National Statistics (Ons), l’istituto di statistica del Regno Unito, riferiti dal “Financial Times”, indicano che i salari non stanno al passo con l’inflazione. Nei tre mesi finiti a febbraio si e’ registrata la crescita salariale piu’ bassa dal 2014: la paga settimanale e’ aumentata in media del 2,3 per cento su base annua, del 2,2 se si escludono i bonus; al netto dell’inflazione l’aumento e’ stato dello 0,2 per cento, 0,1 senza i premi, praticamente zero. Il rialzo dei prezzi delle materie prime e la svalutazione della sterlina seguita alla decisione di lasciare l’Unione Europea sono i fattori determinanti. La fase di ribasso del petrolio ha frenato l’inflazione e permesso di mantenere gli standard di vita, ma ora questo effetto sta svanendo. Piu’ positivi i dati sul lavoro: risultano occupati 31,9 milioni di persone in eta’ compresa tra 16 e 64 anni, il numero piu’ alto dall’inizio delle rilevazioni, nel 1971: il tasso di disoccupazione e’ sceso al 4,7 per cento, dal 5,1 di un anno fa; sono aumentati di 146 mila unita’ i lavoratori a tempo pieno, mentre quelli a tempo parziale sono 107 mila in meno. La Banca d’Inghilterra ha da poco modificato la definizione di “capacita’ di riserva”, ipotizzando che il tasso di disoccupazione possa scendere al 4,5 per cento affinche’ si registri una carenza di manodopera che spinga al rialzo i salari e i consumi. L’Institute for Fiscal Studies prevede che nel 2021 i britannici non guadagneranno piu’ del 2008: la peggiore stagnazione salariale, piu’ che decennale, dai tempi della Grande depressione.

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