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The Morning View. Ecco come in Europa cambia il rapporto tra Stati e mercato

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Non possiamo immaginare di affrontare le sfide a cui andiamo incontro con ricette ereditate dal passato: è arrivato il momento di lasciarci alle spalle un bagaglio di false certezze e di dogmi che a conti fatti non hanno prodotto risultati degni di nota.

Mancano due mesi alla fine dell’anno e l’unico dato di cui si può essere certi è che non mancheranno le sorprese: l’accelerazione del cambiamento attualmente in corso rimette in discussione vecchi dogmi, riapre i giochi in settori che per lungo tempo sono vissuti di equilibri precari e difficilmente sostenibili e riporta al centro il ruolo della geo-politica e degli Stati nel ridefinire il contesto competitivo su scala globale.

In altre parole, nulla più è come prima ed è bene farci l’abitudine: non poteva essere diversamente perché l’unica certezza è la velocità con cui sta prendendo forma un nuovo ordine economico che non lascia più margini di tempo per rimandare scelte e decisioni. Non ci stancheremo di ripetere che stiamo entrando in una fase di cambiamenti radicali, che partono da lontano e che ora sono ad un punto di non-ritorno.

Stati e governi sempre più attivi sui mercati

Infrastrutture, semiconduttori, accelerated computing, intelligenza artificiale generativa, telecomunicazioni, energia e Mobility as a Service (MaaS) sono i “fab seven”, i sette settori chiave che stanno cambiando il mondo e stanno innescando una rotazione dei mercati che vede un’escalation senza precedenti del ruolo dei governi, oggi sempre più protagonisti nel ridefinire perimetro ed assetti di quelli che sono i settori portanti che stanno guidando la trasformazione dell’economia su scala globale. Non c’è nulla di che scandalizzarsi, perché come è stato già in passato in tutte le fasi di rapida trasformazione dell’economia la sfida più importante è sempre stata quella di ripensare il perimetro di intervento delle “politiche industriali”, ripartendo da una nuova stagione di alleanze e di partnership fra pubblico e privato.

È entrata in crisi anche la legge di Moore

Ci stiamo rapidamente avviando ad archiviare una stagione di innovazioni incrementali che arrivano alla fine di un ciclo economico iniziato nei primi anni del secolo scorso, che videro l’irrompere dell’automobile, del telefono e dell’energia elettrica nella vita di tutti i giorni. Già da tempo, senza accorgercene, siamo entrati in un’epoca in cui la sfida è quella di pensare in termini di “moonshots”, di sfide che cambieranno per sempre il mondo, come forse solo è stato in passato per il Progetto Manhattan a Los Alamos ed il programma Apollo alla NASA.

Mercati finanziari ed investitori si stanno rapidamente riposizionando: non è un caso che già oggi i “fab seven”, i sette settori che stanno accelerando la trasformazione dell’economia su scala globale, rappresentino da soli quasi l’80% della capitalizzazione di Wall Street, con una concentrazione di investimenti senza precedenti che ha avuto come effetto quello di polarizzare i mercati, penalizzando quei settori finiti ai margini del cambiamento, che presentano spazi di crescita marginali o nulli a fronte di una leva finanziaria già oggi irrimediabilmente considerata eccessiva. E come sempre si è verificato in passato, in presenza di un contesto macro con tassi interesse in rialzo sopra la soglia del 5%, l’unica risposta per uscire dalla crisi è quella di investire in innovazione, perché è questo è l’unico modo che conosciamo per tornare a crescere.

Il caso di Telefonica e del fondo Saudita

Non deve allora stupire che in queste ore il Governo di Pedro Sanchez stia valutando l’ingresso nel capitale di Telefonica con una quota del 5%, equivalente ad un investimento di circa 1 miliardo di euro, con lo scopo dichiarato di bilanciare l’ingresso di Saudi Telecom Corporation (STC, controllata al 60% dal fondo sovrano saudita PIF) che con un blitz a cavallo dell’estate ha comunicato a settembre di avere acquisito il 4,9% del capitale dell’operatore telefonico spagnolo, con l’opzione di salire al 9,9% con una serie di contratti su derivati strutturati da Morgan Stanley, opzione per il momento rimasta congelata, in attesa del parere del Governo Spagnolo). A solo un mese dall’irrompere sulla scena delle telecomunicazioni europee dei Sauditi di STC, il governo spagnolo ha dimostrato una capacità di reazione non scontata e non comune fra i governi dell’eurozona, prendendo posizione, senza lasciare margini di dubbio sull’imperativo di mantenere il controllo delle reti di telecomunicazioni.

La inedita cooperazione tra governi e fondi sovrani: il caso spagnolo

Non è una novità che, nelle fasi di accelerazione del cambiamento, non sono solo gli investitori a dimostrare un orientamento decisamente più attivista: è sempre di più una caratteristica dominante degli interventi dei governi e dei fondi sovrani. Ma nello specifico, nel caso di Telefonica, c’è un fattore in più: non solo viene ribadito il ruolo strategico delle reti di telecomunicazioni, ma in queste ore il primo ministro Pedro Sanchez è impegnato di persona a sondare l’interesse di alcuni dei più importanti investitori ed imprenditori di Spagna ad entrare con una partecipazione equivalente nella partita per il controllo di Telefonica. I nomi sono quelli di sempre e sono ai vertici dell’establishment industriale-finanziario spagnolo, da Florentino Perez (ACS) a Rafael Del Pino (Ferrovial) ad Amancio Ortega (Inditex-Zara), che è già azionista con Pontegadea nella società di torri di Telefonica, Telxius.

Pontegadea, il family office di Amancio Ortega che si appresta a ricevere da Inditex (Zara) 2,2 miliardi di euro in dividendi questa settimana (giovedì 2 novembre) ha in portafoglio un patrimonio immobiliare valutato in 18 miliardi di euro (di cui 3 miliardi frutto di acquisizioni perfezionate solo nell’ultimo anno).

L’investimento iniziale in Telxius risale al 2018 con una partecipazione del 9,9% per un controvalore di 379 milioni di euro: poi a seguire, congiuntamente con Telefonica, Pontegadea ha lanciato il buy-out della quota del 40% del capitale in mano al fondo di private equity KKR per un valore di 2 miliardi di euro. Con un solo obiettivo: quello di riportare in capo ad azionisti spagnoli la società di torri, considerata un asset strategico per la mobilità futura in ottica MaaS (Mobility as a Service). E così non è da escludere che, proprio partendo da qui, il futuro della mobilità ed in prospettiva della guida a conduzione autonoma passerà anche dalla Spagna. E questo per tre ragioni molto semplici: la Spagna è alla frontiera della transizione energetica con più del 50% dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, è al centro della transizione elettrica nel settore automotive dietro solo alla Germania e la rete autostradale non è finita in mano a fondi esteri di private equity, ma è ancora sotto il controllo di azionisti stabili spagnoli.

Non è un caso che Telefonica abbia già annunciato che il primo gennaio 2026 spegnerà completamente la rete in rame, e che già oggi la Spagna presenti una copertura in 5G che raggiunge l’84% della popolazione, una fra le più estese in Europa: la convergenza fra automotive, high-performance computing, intelligenza artificiale generativa ed energy storage ha bisogno di reti a banda ultra-larga e gli investimenti in gioco che si stanno concentrando in Spagna non lasciano dubbi sull’accelerazione attualmente in corso.

Le reti tlc europee controllate dalla mano pubblica

Come non è forse un caso che in una fase di accelerazione del cambiamento, le società di punta nel settore delle telecomunicazioni in Europa vedano oggi una presenza importante dello Stato come azionista: in Deutsche Telekom, il più grande operatore telefonico in Europa, la quota in mano pubblica è del 30,46 %, in Orange del 23%, in Swisscom del 51%, in Telenor del 58,4% ed in Telia il governo svedese mantiene il controllo del 41% del capitale. E così fa specie sentire parlare di lasciare fare ai mercati quando si tratta di ripensare il ruolo delle telecomunicazioni in Europa: vuole dire che non ci si rende del tutto conto di quali siano le condizioni di contesto in cui si deve intervenire.

Occorre discontinuità per affrontare le sfide di oggi e di domani

Come è già stato per le generazioni che ci hanno preceduto, non possiamo immaginare di affrontare le sfide a cui andiamo incontro con ricette ereditate dal passato: è arrivato il momento di lasciarci alle spalle un bagaglio di false certezze e di dogmi che a conti fatti non hanno prodotto risultati degni di nota. Per questo occorre superare categorie concettuali ormai superate dai fatti, ridefinendo ruolo e raggio di intervento delle politiche industriali in fasi di rapido cambiamento. C’è bisogno di maggiore concretezza, più coraggio e più determinazione nel prendere decisioni: l’unico modo per perdersi il futuro è quello di rimanere fermi ad osservare il mondo che cambia e non ce lo possiamo permettere.