Produzioni cinematografiche

The FlixBiz. Cinema italiano, bisogna rischiare e spendere meno soldi pubblici

di Alessandro Masi - Founder & Film Business Strategist, FlexyMovies |

Il "Flop" al botteghino del film "The Startup" (che ha ricevuto 350 mila Euro di finanziamento a fondo perduto, con una release in ben 233 sale) ci pone il caso d’interrogarsi sulla qualità dei contenuti che vengono proposti al pubblico e in generale del cinema di qualità di trovare un adeguato spazio in sala e di conseguenza monetizzare i propri prodotti.

The FlixBiz è la rubrica dedicata al business del cinema e della televisione a cura di Alessandro Masi, professionista della distribuzione cinematografica internazionale di base a Los Angeles, Founder & Film Business Strategist di FlexyMovies. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

E’ uscito giovedì 6 aprile “The Startup – Accendi il tuo futuro” per la regia di Alessandro D’Alatri, prodotto dalla Casanova Multimedia di Luca Barbareschi con la partecipazione di Rai Cinema e distribuito da 01 Distribution.

Il film è stato venduto come “tratto da una storia vera”, che sarebbe la creazione da parte di un giovane italiano di un portale che dovrebbe far incontrare domanda ed offerta di lavoro. Ed in effetti è vera la bufala del successo di questo portale, che invece nonostante abbia già diversi anni, manca del tutto di traction e basa la propria strategia di branding interamente sulla campagna di personal PR continua ed assillante del founder.

Più che una storia di successo è il manuale di come non vada condotta una startup. Un film che danneggia non solo gli sforzi immani di una generazione per farsi largo nel mondo del lavoro, ma anche l’intera industria del venture capital e del digitale in Italia, che tanto stanno faticando ad essere credibile a livello internazionale.

Si spera che il film non varchi mai i confini nazionali. Eppure ce ne sarebbero molte di storie di successo reale più che hype mediatico in questo settore.

Un film che danneggia anche l’industria del cinema: nonostante l’immane forza distributiva e promozionale, con interviste in prima serata ed addirittura un libro in prossima uscita, per un prodotto di così scarso “valore culturale”, al fronte dei 350 mila Euro di finanziamento a fondo perduto ricevuti, con una release in ben 233 sale, l’ incasso totale nel primo weekend è stato di soli 126 mila Euro circa, undicesimo in classifica ma con la peggior media copia per sala tra i primi 15, soli 543 euro, per la gioia degli esercenti costretti a programmare il film.

Poi ci si chiede perché il box office italiano sia in calo rispetto all’anno scorso da otto mesi di fila, complice anche l’effetto dei mercoledì a 2 euro: ma non sarà forse il caso d’interrogarsi sulla qualità dei contenuti che vengono proposti al pubblico, sulla difficoltà di emergere dei giovani autori, sulla difficoltà in generale del cinema di qualità di trovare un adeguato spazio in sala e di conseguenza monetizzare le altre finestre di sfruttamento?

Si parla poi spesso della difficoltà per i film europei, ed italiani in particolare, di essere esportati all’estero: il 63% dei film europei non viaggia oltre i confini nazionali. Si pensa inoltre spesso al successo di un film osservando i dati del box office.

Tuttavia bisogna sempre pensare che, nel sistema italiano, il produttore che gode di finanziamenti a fondo perduto non è granché incentivato a recuperare l’investimento, cosa che avviene invece, ad esempio, nel cinema indipendente americano, che ha quest’anno dominato agli Oscar, soprattutto grazie al mercato estero, che vale ormai spesso più del 70% degli incassi totali di un film.

Scrive l’economista Roberto Perotti che «(…) in Italia, per ogni euro di investimento in produzioni cinematografiche, oltre 50 centesimi (…) vengono dallo stato; in Francia e Gran Bretagna, circa 30 centesimi. Data l’ossessione dei francesi per la “eccezione culturale” del loro paese, è quindi probabile che l’Italia sia il paese con il più alto tasso di sussidio al mondo».

Ed in effetti fino al 2016 lo Stato erogava al cinema duecento milioni di euro annui, frutto di decine di programmi diversi, che aumenteranno del 60% fino ad almeno 400 milioni con la nuova Legge Cinema. Si attenua però perlomeno l’ipocrisia del “criterio culturale”, visto che d’ora in poi solo il 18% dei fondi sarà assegnato su criteri selettivi, inclusi ad esempio gli aiuti a giovani autori, piccole sale e startup.

La nuova Legge Cinema abolisce dunque le commissioni ministeriali per l’attribuzione dei finanziamenti in base al cosiddetto “interesse culturale” e introduce un sistema di incentivi automatici per le opere di nazionalità italiana. Accanto alle agevolazioni fiscali, nascono i contributi automatici la cui quantificazione avviene secondo parametri oggettivi che tengono conto dei risultati economici, artistici e di diffusione: dai premi ricevuti al successo in sala. I produttori e i distributori cinematografici e audiovisivi riceveranno i contributi per realizzare nuove produzioni.

Se tutto va come previsto dalla legge quindi, i produttori di “The Startup”, visto il flop totale del film, dovranno accendere il loro futuro attingendo la prossima volta a risorse diverse da quelle pubbliche, che potranno invece finalmente essere utilizzate meglio, si spera.

In generale, sarebbe auspicabile una minore avversione al rischio di produzione ed un orientamento maggiore ai criteri di mercato, quali fondi di finanziamento privati, co-produzioni, accordi quadro di distribuzione, meccanismi di pre-sales: solo così il cinema avrà la possibilità di diventare davvero un’industria florida ed in grado di autosostenersi, a prescindere dalla disponibilità di risorse pubbliche.