Finestra sul mondo

Terremoto in Messico, Trump e il discorso all’ONU, Indipendenza Catalogna, May offre 20 miliardi di euro all’UE, Crisi della destra francese

di Agenzia Nova |

Poteri, economia, finanza e geopolitica nelle ultime 24 ore

Finestra sul mondo è una rubrica quotidiana con le notizie internazionali di Agenzia Nova pubblicate in collaborazione con Key4biz. Poteri, economia, finanza, lette in chiave di interdipendenza con un occhio alla geopolitica. Per consultare i numeri precedenti, clicca qui.

Messico, un nuovo potente terremoto riporta il paese al dramma di 32 anni fa

20 set 11:00 – (Agenzia Nova) – Per la seconda volta in meno di due settimane, la terra trema forte in Messico. Una nuova potente serie di scosse si e’ abbattuta nel cuore del paese nordamericano provocando oltre duecento morti in diverse zone compresa la capitale Citta’ del Messico. Una tragedia che e’ anche una terribile coincidenza: il 19 settembre di 32 anni fa il paese contava diverse migliaia di morti per un altro deflagrante terremoto. La peggiore delle scosse di ieri, 7.1 della scala Richter, non e’ stata cosi’ potente come quella (8.2) registrata il 7 settembre nel sud del paese, ma l’epicentro molto piu’ vicino alla capitale – circa 120 chilometri – ha finito per amplificare i danni. Nella megalopoli, da ore in gran parte privata dei servizi pubblici essenziali, sono crollati oltre 40 edifici, tra i quali due scuole. Una di queste, Rebsamen, verra’ a lungo ricordata come simbolo piu’ crudo della tragedia: il presidente Enrique Pena Nieto parla della morte certa di 26 bambini e la scomparsa di altri 30 tra docenti e alunni. “Non abbiamo avuto il tempo di fare nulla”, ha detto una maestra dell’istituto da cui sono usciti vive comunque circa 300 persone. Ed e’ stata questa, per ore, la notizia di apertura delle cronache sul terremoto effettuate dalla gran parte dei media messicani e latinoamericani. Ma infinite sono le testimonianze audio e video dei danni sofferti dal Messico mentre le testate dei paesi vicini si occupano di dare informazioni su iniziative solidali e destino dei connazionali. La stampa argentina riporta le immagini della ferita che attraversa lo stadio di calcio Azteca, ricordando che si tratta della scena in cui – nel 1986 – Diego Armando Maradona segno’ due storici gol agli inglesi. Solo due ore prima della scossa, Citta’ del Messico aveva celebrato il “simulacro”, una prova sulla sicurezza antisismica che gli abitanti sono abituati a svolgere, soprattutto in occasione dell’anniversario del terremoto del 1985. Le sirene dell’allarme sono suonate come di consueto e hanno portato in strada i cittadini impegnati a rispettare le consegne dell’esercitazione. Di li’ a poco sarebbero tornate a suonare, anche se non con la dovuta tempestivita’. Il problema, segnala “El Pais” citando fonti del servizio sismico messicano, e’ che i sensori sono principalmente collocati nella zona costiera non verso l’interno del paese, da dove stavolta e’ arrivata la minaccia: “Semplicemente la scossa non e’ stata avvertita in tempo utile perche’ la popolazione potesse lasciare il posto in cui si trovava e mettersi in salvo”. Preoccupazione ha causato la notizia di una ripresa dell’attivita’ del vulcano Popocate’petl, alle porte della capitale, in coincidenza della scossa. Le autorita’ hanno pero’ avvertito che non si sono registrate reali anomalie e “l’allarme rosso” di fatto non e’ scattato.

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Usa, di fronte all’Onu Trump difende lo Stato-nazione, rivolge un duro avvertimento a Pyongyang

20 set 11:00 – (Agenzia Nova) – Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha minacciato di radere al suolo la Corea del Nord, se quest’ultima dovesse intraprendere azioni offensive contro gli Usa o i loro alleati asiatici. Trump, che martedi’ sera ha tenuto il suo primo intervento di fronte all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha inaugurato il suo intervento esponendo la visione di cooperazione internazionale fondata sul nazionalismo che lo scorso anno lo ha proiettato alla Casa Bianca. Parlando di fronte alle delegazioni di 150 paesi, il presidente Usa ha fatto appello ai leader mondiali affinche’ si uniscano per sconfiggere i “regimi omicidi” e i terroristi, che e’ tornato a definire “perdenti”. Il principale bersaglio del bellicoso intervento di Trump e’ stato per l’appunto il regime nordcoreano di Kim Jong Un: “Nessuna nazione al mondo ha interesse a vedere questa banda di criminali armarsi di missili e ordigni nucleari”, ha detto il presidente Usa, avvertendo Pyongyang che la denuclearizzazione costituisce “l’unico futuro accettabile” per la Corea del Nord. “L’umo dei razzi (epiteto riservato da Trump a Kim Jong Un, ndr) si e’ imbarcato in una missione suicida, non soltanto per se stesso ma per il suo regime”. Gli Stati Uniti, ah detto l’inquilino della Casa Bianca, “dispongono di forza e pazienza considerevoli, ma se verremo costretti a difendere noi stessi o i nostri alleati, non avremo altra scelta se non distruggere totalmente la corea del Nord”. Nel corso del suo intervento, Trump e’ tornato a dipingere un quadro a tinte fosche della situazione globale: “Terroristi ed estremisti si sono rafforzati e diffusi in tutte le regioni del pianeta. Regimi criminali rappresentati in questo consesso non soltanto sostengono il terrore, ma minacciano altri paesi e la loro stessa gente con le armi piu’ distruttive note all’uomo. L’autorita’ punta a far collassare i valori, i sistemi e le alleanze che (in passato) hanno prevenuto i conflitti e indirizzato il mondo verso la liberta’ dopo la Seconda guerra mondiale. reti criminali internazionali contrabbandano droghe, armi e persone”. Secondo Trump, l’approccio incarnato dal “primato americano” (“America First”, ndr), consentirebbe agli attori internazionali di rafforzare il dialogo e la cooperazione su un piano paritario. “Come presidente degli Stati Uniti, porro’ sempre per prima l’America, cosi’ come voi, leader dei vostri paesi, dovreste fare con i vostri. I leader responsabili hanno l’obbligo di servire i loro cittadini, e gli Stati-nazione restano il veicolo migliore per l’elevazione della condizione umana”. Nel corso del suo intervento, Trump ha anche rivolto un duro attacco all’Iran, ed ha criticato il suo predecessore, Barack Obama, per aver promosso l’accordo sul nucleare con la Repubblica islamica”: “si tratta di una delle transazioni peggiori e piu’ unilaterali cui gli Stati Uniti abbiano mai deciso di partecipare”, ha detto il presidente Usa. “Francamente, quell’accordo rappresenta un imbarazzo per gli Stati Uniti, e posso assicurarvi che a riguardo non e’ stata ancora detta l’ultima parola”. Il discorso di Trump ha suscitato reazioni contrastanti da parte del suo uditorio. la prima parte del suo intervento, incentrata sulla cooperazione tra Stati sovrani e indipendenti, ha suscitato applausi convinti; la parte riguardante l’Iran, invece, e’ stata accolta con soddisfazione soltanto da Israele, il cui premier, Benjamin Netanyahu, ha definito quello di Trump il discorso “piu’ ardito e coraggioso nei miei 30 anni di esperienza all’Onu”. Ha suscitato allarme anche la posizione espressa dal presidente Usa nei confronti della Corea del Nord: un funzionario anonimi dell’Onu citato dal “Wall Street Journal” ha accusato il presidente Usa di aver “usato il palcoscenico dell’Onu per dichiarare guerra alla Corea del Nord”.

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Usa, i Repubblicani al Senato abbracciano il piano per il taglio della pressione fiscale da 1.500 miliardi

20 set 11:00 – (Agenzia Nova) – I Repubblicani al Senato federale Usa hanno deciso di abbandonare una delle loro dottrine fiscali chiave, acconsentendo ad aumentare il deficit di bilancio dello Stato federale per finanziare un massiccio taglio della pressione fiscale, nell’ordine di 1.500 miliardi di dollari. A forzare la mano dei conservatori e’ stata l’apertura del presidente Usa Donald Trump ai Democratici sul fronte della riforma del fisco: Stando a fonti citate dalla “Washington Post”, la Casa Bianca e’ pronta ad accantonare qualsiasi taglio della tassazione a beneficio delle fasce di reddito superiori, pur di incassare il sostegno di una parte dei Democratici alla riforma, che e’ uno dei pilastri del programma politico di Trump. Tra le altre cose, l’amministrazione presidenziale Usa sarebbe pronta a lasciare immutata l’aliquota massima dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, attualmente al 39,6 per cento; una precedente proposta della Casa Bianca avrebbe invece introdotto alcuni benefit che di fatto avrebbero ridotto l’aliquota al 35 per cento. Trump sarebbe anche pronto a rinunciare all’abrogazione della tassa sugli immobili, che attualmente viene applicata alla morte di individui con un patrimonio immobiliare del valore superiore a 5,49 milioni di dollari. I Repubblicani sarebbero pronti a cedere su questi punti pur di incassare un successo legislativo di rilievo, obiettivo che mancano sin dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca. Ufficialmente, i conservatori confidano che il massiccio taglio della pressione fiscale gravera’ sui conti pubblici soltanto a breve termine, poiche’ agira’ come un potente stimolo alla crescita economica. Questo argomento avrebbe fatto presa anche sui piu’ duri “falchi del deficit”, come il senatore repubblicano del Tennessee Bob Corker. Quest’ultimo ha puntualizzato martedi’ che il suo sostegno alla proposta di bilancio che taglia la tassazione “sara’ vincolata a un pacchetto finale di provvedimenti che generi una sufficiente crescita economica e non peggiori, e possibilmente migliori, la nostra situazione fiscale”. Se i Repubblicani troveranno un’intesa unanime su una risoluzione di bilancio, potranno attivare una procedura che consentirebbe loro di approvare la riforma del fisco al Senato tramite un voto a maggioranza semplice. la partita e’ ancora complessa: anche ammesso che la risicata maggioranza al Senato riesca ad approvare la risoluzione, i repubblicani alla Camera appaiono piu’ riluttanti ad approvare tagli alla pressione fiscale che aumentino il deficit.

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Arresti e proteste in Catalogna, inizia l’escalation sulla secessione

20 set 11:00 – (Agenzia Nova) – Il braccio di ferro tra la Catalogna e il resto della Spagna e’ entrato nella sua fase piu’ dura. La Guardia Civil ha fatto questa mattina irruzione in varie sedi della Generalitat – il governo della regione autonoma che fa capo a Barcellona – e arrestato una dozzina di uomini dell’amministrazione. In gioco c’e’ la convocazione del referendum sull’indipendenza della Catalogna, fissato dalle autorita’ locali per il 1 di ottobre, contro il parere del governo e quello preventivo della giustizia costituzionale. L’arresto colpisce principalmente la squadra di Oriol Junqueras, “ministro degli Esteri” e figura di punta del governo locale, in particolare gli uomini che si occupavano dell’organizzazione del voto. Quella delle forze di sicurezza e’ una azione compiuta nel “rispetto della legge” e per “una decisione del giudice”, ha detto il presidente del governo Mariano Rajoy nel corso di una dura e nervosa sessione del Parlamento. Immediata la risposta delle autorita’ catalane e del popolo “indipendentista”: il governatore Carles Puigdemont ha convocato d’urgenza il gabinetto di crisi mentre un migliaio di persone si sono concentrate dinanzi al dicastero dell’Economia. E le accuse che la piazza rivolge alle “forze di occupazione” di Madrid sono alimentate anche da una comunicazione del ministro delle Finanze Cristobal Montoro, attesa per oggi: il governo centrale intende infatti congelare tutti i conti pubblici della Catalogna, preparandola strada perche’ le risorse locali vengano nel breve amministrate direttamente dalla capitale. Si tratta di una delle misure anticipate dalla stampa nazionale come possibile deterrente alle azioni concrete che Barcellona stava mettendo in campo – con apposite voci nel bilancio regionale – per poter celebrare il referendum. La dura polemica ha evidenti ripercussioni nel dibattito nazionale e diversi gruppi parlamentari di opposizione stanno valutando in queste ore il da farsi rispetto a quella che a vario titolo viene definita come una azione di prevaricazione del governo centrale. Gli imprenditori, segnala “El Mundo”, si dicono preoccupati per un calo di investimenti legato alle tensioni con Barcellona, mentre il quotidiano “El Pais” parla in un editoriale del “momento critico” che sta vivendo “la democrazia e l’ordine costituzionale” che il paese si e’ dato nel 1978 “dopo lunghi anni di dittatura”.

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Regno Unito, May prepara un’offerta di venti miliardi di euro per il bilancio dell’Ue

20 set 11:00 – (Agenzia Nova) – La premier del Regno Unito, Theresa May, nel suo discorso di venerdi’ a Firenze, anticipa il “Financial Times”, dovrebbe fare il primo tentativo di venire incontro alle richieste dell’Unione Europea di definire innanzitutto la questione del conto del divorzio, offrendo almeno venti miliardi di euro. Olly Robbins, consigliere per l’Ue della leader di Downing Street ha rassicurato i governi europei sui contenuti dell’atteso discorso: diverse capitali sono state contattate, a cominciare da Berlino, anche se la Cancelleria tedesca non lo ha confermato. L’obiettivo di Londra e’ superare lo stallo nei negoziati, per passare poi alla seconda fase delle trattative, riguardante la relazione commerciale. Venti miliardi coprirebbero il buco che si verra’ a creare nel biennio 2019-2020, dopo l’uscita della Gran Bretagna ma prima del termine del bilancio quinquennale; non coprirebbero gli obblighi finanziari di lungo periodo, ma permetterebbero a Bruxelles di evitare di riaprire prematuramente la programmazione a lungo termine. Domani May riunira’ il consiglio dei ministri, ai quali chiedera’ un contributo per la stesura definitiva del testo. La riunione cade in un momento delicato per l’unita’ dell’esecutivo e dei conservatori, dopo le polemiche dei giorni scorsi innescate dal segretario agli Esteri, Boris Johnson, contrario al pagamento di un contributo per l’accesso al mercato unico dopo la fase di transizione. Per l’Ue, comunque, la proposta sara’ solo il primo passo. Si stima che il paese uscente sia debitore di cento miliardi di euro lordi, sessanta al netto di cio’ che deve ricevere. Secondo fonti diplomatiche, almeno ci sara’ un argomento su cui discutere. La somma di cui si parla, tuttavia, potrebbe essere deludente per alcuni Stati membri; precedentemente, infatti, era stata ipotizzata una cifra piu’ alta, di trenta miliardi in tre anni.

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Regno Unito, Johnson nega imminenti dimissioni ma conferma l’opposizione a pagare per l’accesso al mercato unico

20 set 11:00 – (Agenzia Nova) – In un’intervista al quotidiano britannico “The Guardian”, il segretario agli Esteri del Regno Unito, Boris Johnson, afferma che non si dimettera’ dal governo per le divergenze sulla Brexit e cerca di ridimensionare le polemiche dei giorni scorsi, innescate da un suo articolo sul costo dell’uscita dall’Unione Europea. Il ministro, tuttavia, ribadisce che la Gran Bretagna ha bisogno di una nuova relazione con l’Ue che le consenta di trarre vantaggio dalle opportunita’ della Brexit, lasciando intendere di essere contrario a vincoli troppo stretti, come quelli della Svizzera. Tra gli altri temi del colloquio, la guerra in Siria e il rapporto con gli Stati Uniti. Parlando da New York, dove si trova per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Johnson esprime fiducia nella capacita’ della premier, Theresa May, di delineare una visione positiva che unisca il Partito conservatore. A proposito dell’articolo pubblicato su “The Telegraph”, il responsabile del Foreign Office assicura che non si trattava di una sfida all’autorita’ della leader di Downing Street, ma di una risposta a quanti lo hanno accusato di non avere una politica estera definita. Entrando nel merito della questione finanziaria, Johnson spiega che il paese uscente dovrebbe versare un contributo per l’accesso al mercato unico europeo nella fase di transizione, ma non oltre: “Non penso che la somma debba essere troppo alta, ma e’ ovviamente legittimo e giusto che paghiamo le nostre quote — siamo un paese che rispetta la legge — nel periodo di adesione (…) Ma quello che non prevedo e’ il dover pagare l’Ue solo per l’accesso al mercato unico, o per un concetto del genere. Non mi sembra necessario. Noi non prendiamo soldi per l’accesso ai nostri mercati”. Il segretario agli Esteri aggiunge di non voler riaprire le controversie sui presunti 350 milioni di sterline a settimana che tornerebbero sotto il controllo del Regno Unito e che potrebbero essere destinati al servizio sanitario nazionale, ma si dice sorpreso per l’intervento del presidente dell’Uk Statistics Authority, David Norgrove. Guardando al futuro, Johnson vede le due principali minacce nell’attivismo della Russia e nel terrorismo islamico originato nelle aree instabili del Medio oriente e dell’Africa settentrionale; il suo compito piu’ impegnativo, confessa, e’ il tentativo di migliorare le relazioni tra l’Iran e l’Arabia Saudita. Il ministro difende la stretta relazione britannica col presidente Usa, Donald Trump, perche’ Londra ha il “dovere” di mantenere una forte relazione col suo alleato numero uno e prima potenza mondiale, ma nega di essere il portavoce di Washington: ad esempio, apprezza l’attivismo di Trump in Siria, ma dissente sulle posizioni riguardanti l’accordo nucleare iraniano e l’accordo di Parigi sul clima. Riguardo alla Corea del Nord, Johnson ritiene che l’unica vera opzione sia una politica di contenimento: “Non vedo alcuna opzione militare positiva”. Per questo e’ necessario premere sulla Cina al fine di inasprire le sanzioni. Sulla Siria “e’ rimasta una carta da giocare in una mano abbastanza povera ed e’ il denaro che possiamo mettere nella ricostruzione”: “E’ vitale che non giochiamo quella carta prematuramente, ma quando ci sara’ un serio processo politico che culminera’ nelle elezioni”, spiega Johnson, aggiungendo che a Bashar al Assad dovrebbe essere consentito di candidarsi. Infine, un accenno al Myanmar e al premio Nobel Aung San Suu Kyi: “Chiaramente non sta facendo abbastanza per esprimere il legittimo sdegno popolare per il trattamento dei rohingya”.

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Francia, rottura in vista tra Philippot e il Front national

20 set 11:00 – (Agenzia Nova) – Tra Marine Le Pen e il vicepresidente del Front national (Fn), Florian Philippot, e’ guerra aperta. All’indomani di un incontro politico tenuto presso la sede dell’Fn, a Nanterre, i due si sono confrontati ieri sui media. Mentre Marine Le Pen ha lanciato un’operazione di rifondazione del partito – che passa non solo per un cambio di nome ma anche per cambiamenti importanti della sua dottrina economica – Philippot ha fondato a giugno un’associazione battezzata Les Patriotes, presentandolo come un think tank per riflettere sull’avvenire dell’Fn. Ma per molti suoi detrattori si tratterebbe in realta’ di un partito.La rottura sembra ormai sempre piu’ vicina. In seno al partito sono in molti a pensare che Philippot moltiplichi le provocazioni per far scoppiare una crisi e lasciare l’Fn prima del congresso, previsto nel mese di marzo a Lille. Gia’ quest’estate, quando a seguito di un seminario di partito era stato deciso che l’uscita dall’euro non era piu’ una priorita’, il numero due dell’Fn non esitava a dichiarare in televisione che la fine della moneta unica continua a essere un obiettivo. La rottura, tuttavia, non fa paura ai membri del partito, che ha gia’ conosciuto una scissione nel 1998. “Philippot finira’ come Me’gret, con il 2 per cento dei voti”, ha dichiarato uno dei suoi detrattori all’interno del partito. “Non ha presa politica in Francia, non e’ una personalita’ incisiva”.

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Macron difende una visione del mondo opposta a quella di Trump

20 set 11:00 – (Agenzia Nova) – Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha esposto ieri durante il suo primo intervento all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, una visione del mondo in tutto opposta a quella presentata solo due ore prima dall’omologo statunitense Donald Trump. Una visione fondata sul multilateralismo, la collaborazione con gli altri paesi, il rispetto degli accordi – quello di Parigi sul clima o quello di Vienna sul nucleare iraniano – sul primato dell’azione diplomatica per risolvere le crisi, comprese le piu’ preoccupanti, come quella scatenata dalla corsa alla bomba atomica da parte della Corea del Nord. “Troppo spesso pensiamo che il multilateralismo sia un’attivita’ rassicurante per i diplomatici, e che siamo piu’ credibili e forti se agiamo in maniera unilaterale”, ha affermato Macron, in un chiaro riferimento a Trump, che ha minacciato di distruggere il “cattivo regime” della Corea del Nord e alle sue affermazione contro l’Iran. E’ il vecchio mondo – incentrato sugli stati, i rapporti di potere, la difesa prioritaria degli interessi nazionali – contro il nuovo mondo – interconnesso, cosciente che le grandi sfide comuni, come lo sviluppo o il cambiamento climatico, possono solo essere affrontate insieme. “Il mondo multipolare di oggi ci obbliga a imparare di nuovo la complessita’ del dialogo, ma anche la sua fecondita’”, ha detto il capo dello stato, che alla fine del suo intervento ha chiesto di “conciliare i nostri interessi e i nostri valori, la nostra sicurezza e i beni comuni del pianeta”. Macron ha inoltre insistito sulla necessita’ di una riforma del diritto di veto nel Consiglio di sicurezza, per “scongiurare l’immobilita’ di fronte ai massacri”.

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I piani di Rosneft per un gasdotto attraverso il Kurdistan iracheno

20 set 11:00 – (Agenzia Nova) – La compagnia energetica russa Rosneft sta conducendo trattative con il governo della regione autonoma del Kurdistan iracheno per la costruzione di un gasdotto che attraverso la Turchia arrivi in Europa. Rosneft partecipera’ al finanziamento dell’opera. “Si prevede che un accordo sul progetto sara’ firmato entro la fine dell’anno”, si legge in un comunicato stampa. Il primo ministro del governo autonomo curdo, Nechervan Barzani, durante il Forum economico di San Pietroburgo, ha stimato l’investimento della societa’ russa nella sua regione in circa tre miliardi di dollari. L’entrata nel mercato del gas per Rosneft e’ una novita’. Il gasdotto avra’ una capacita’ di 30 miliardi di metri cubi all’anno e la sua lunghezza sara’ di circa 2.000 chilometri, per un costo stimato di circa 1,5 miliardi di dollari. Sul lato iracheno dovrebbe essere operativo gia’ nel 2019, mentre sul lato turco e poi quello europeo si stima che sara’ attivo nel 2020. Tuttavia il progetto e’ controverso per l’instabilita’ politica della regione, sia per via della minaccia dello Stato islamico, sia per i contrasti tra il governo regionale del Kurdistan iracheno e quello centrale di Baghdad. L’avvio del progetto senza il consenso esplicito di quest’ultimo potrebbe costituire la causa scatenante di una crisi. Inoltre in Russia la societa’ si deve scontrare con Gazprom che sta costruendo il gasdotto Nordstream 2, senza tener conto dell’espansione del gigante russo in Turchia per connettere la propria rete di gasdotti all’Europa con una capacita’ di 31,5 miliardi di metri cubi, esattamente come quella di Rosneft. L’analista di Sberbank Valery Nesterov teme che i piani di Rosneft potrebbero provocare una lotta di potere fra le due societa’ di proprieta’ dello Stato. Il risultato e’ difficile da prevedere. L’ad di Gazprom, Alexei Miller, e’ considerato uno stretto confidente di Vladimir Putin fin dai tempi di San Pietroburgo. Nel contempo anche il Presidente di Rosneft, Igor Setschin, viene visto da molti osservatori politici come il secondo uomo piu’ potente della Russia.

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Bce, poco tempo per stabilire il calendario della conclusione del Qe

20 set 11:00 – (Agenzia Nova) – Secondo gli addetti ai lavori citati dal quotidiano tedesco “Handelsblatt”, i vertici della Banca centrale europea (Bce) non sarebbero concordi nello stabilire ebtro ottobre il calendario per la graduale conclusione del piano di alleggerimento quantitativo, che sinora ha portato all’acquisto di obbligazioni da parte della Bce per 2.300 miliardi di euro. La delicatissima questione sarebbe causa di forti tensioni nel Consiglio della Bce. Un approccio molto flessibile avrebbe il vantaggio per la Bce di reagire piu’ prontamente ad eventuali tendenze macroeconomiche negative. Attualmente molti dei consiglieri della Banca sono preoccupati per il rafforzamento dell’euro. Dall’inizio dell’anno, la valuta unica si e’ apprezzata di circa il 14 per cento rispetto al dollaro statunitense. L’euro forte danneggia la competitivita’ delle aziende europee votate all’export, e allo stesso tempo rende le importazioni piu’ economiche, comprimendo l’inflazione. Un’altra incognita importante e’ data dalla politica monetaria della Federal reserve statunitense che si riunira’ questo mercoledi’ e che potrebbe decidere di ridurre le proprie politiche espansive, non sostituendo le obbligazioni in essere e scadute. La Banca centrale Usa potrebbe rafforzare ulteriormente l’euro nei confronti del dollaro. Una soluzione di compromesso potrebbe pertanto essere proposta anche in occasione della riunione del 26 ottobre. Attualmente sono in programma acquisti mensili nell’ordine di 60 miliardi fino alla fine dell’anno. Resta pertanto poco tempo per decidere cosa accadra’ in seguito.

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