la lettera

Telecom Italia, i fondi temono strapotere Vivendi in cda. Che farà ora Bollorè?

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Secondo gli analisti, le richieste dei fondi potrebbero spingere Vivendi ad incrementare ulteriormente la sua quota di controllo. Lunedì i vertici Telecom Italia in audizione al Senato in merito ai nuovi assetti azionari.

I fondi azionisti di Telecom Italia hanno preso posizione in vista del cda che avrebbe dovuto tenersi oggi (ma è slittato, pare, alla settimana) per decidere sulla richiesta di Vivendi di portare da 13 a 17 il numero di consiglieri per integrare 4 rappresentanti del conglomerato francese, ma la faccenda nelle ultime ore si è complicata non poco.

Una posizione forte, contraria la possibile strapotere del gruppo francese in cda e che, a detta degli analisti, fa guadagnare appeal al titolo e potrebbe spingere Bollorè ad incrementare la quota di controllo nella società.

Il tutto mentre i vertici del gruppo sono stati convocati in Senato per un’audizione informale su richiesta del presidente della Commissione Industria, Massimo Mucchetti.

L’audizione, incentrata proprio sui  nuovi assetti societari dell’azienda si volgerà presso gli Uffici di Presidenza riuniti delle Commissioni Industria, Commercio e Turismo e Lavori Pubblici e Comunicazioni del Senato.

 

La lettera

 

All’inizio di questa settimana Vivendi ha fatto richiesta di integrazione dell’ordine del giorno dell’Assemblea degli azionisti ordinari di Telecom Italia, convocata per il giorno 15 dicembre prossimo, indicando di voler portare il numero dei consiglieri del cda Telecom dagli attuali 13 a 17. Vivendi ha quindi indicato 4 nomi di ‘peso’: il suo amministratore delegato Arnaud Roy de Puyfontaine, il direttore operativo Stephane Roussel, il CFO Hervé Philippe Felicité Herzog, figlia della ‘leggenda’ francese Maurice Herzog, scrittrice nonchè associata della società di consulenza Ondra Partners e con un curriculum che spazia da Lazard a JP Morgan (quest’ultima nel frattempo ha portato la sua quota al 5,1% dal 4,6% di luglio, diventando terzo azionista).

 

Ma il peso che il socio francese andrebbe ad assumere in cda inquieta, e non poco, i fondi azionisti e probabilmente anche una parte del management.

In una lettera al presidente Giuseppe Recchi, Il Coordinatore del Comitato dei gestori, Marco Vicinanza, scrivendo a nome del Comitato e degli investitori istituzionali esteri APG, FIL Investments International, J.P. Morgan, Legal & General Investment Management Limited e Standard Life Investments Limited, solleva “alcune criticità con riferimento ai nuovi assetti di governance della società che potrebbero determinarsi”, qualora fosse accolta la richiesta di Vivendi, di nominare i quattro candidati (tre dei quali con incarichi esecutivi nell’ambito del loro gruppo) indicati da Vivendi come futuri amministratori.

I fondi, che controllano una quota del 15-20% del gruppo, temono innanzitutto che l’approvazione delle proposte avanzate dal gruppo di Vincent Bollorè “verrebbe a determinare una diluizione nell’ambito del consiglio di amministrazione della rappresentanza dei consiglieri indipendenti espressi dagli investitori istituzionali e, contemporaneamente, a realizzare la presenza nel consiglio di amministrazione di tre figure apicali, con ruoli esecutivi, del gruppo Vivendi, svincolate dal divieto di concorrenza ai sensi dell’art 2390 del codice civile, che si aggiungerebbero all’altro componente del consiglio di sorveglianza di Vivendi, già presente”, ossia l’imprenditore franco-tunisino Tarack Ben Ammar.

La presenza di 4 (+1) consiglieri espressi da Vivendi, insomma, andrebbe a creare, secondo i fondi, un fenomeno di “sovrarappresentanza dei soci rilevanti nell’ambito del consiglio di amministrazione a discapito degli azionisti istituzionali”. Fenomeni come questo, già al centro di numerose polemiche sembravano risolti dopo l’approvazione, lo scorso anno, di un documento elaborato dall’ad Marco Patuano e approvato all’unanimità che accoglieva le richieste dei soci di minoranza per una maggiore indipendenza del board nella ‘sostanza’, non solo nella ‘forma’, rispetto sia al management sia all’azionista di riferimento.

Problemi che non avrebbero però dovuto più ripresentarsi, insomma, visto anche che in occasione dell’ultimo rinnovo del consiglio di amministrazione nel 2014, la società, il suo amministratore delegato e i soggetti presentatori della lista degli azionisti rilevanti, avevano presentato forti rassicurazioni “in merito al fatto che il nuovo board sarebbe stato composto senza alcun rappresentante dei soci rilevanti”, si legge ancora nella lettera.

 

Invece rieccoci

Alla luce delle novità previste nella composizione del cda qualora venissero accolte le richieste di Vivendi (‘assolutamente legittime’, dicono comunque i fondi)  al consiglio viene chiesto di valutare in primis “l’effettiva necessità di una integrazione del consiglio di amministrazione che porti il numero dei componenti dello stesso a ben 17”; poi, l’opportunità che nel board “siedano tre rappresentanti operativi di un socio qualificato di “influenza notevole” che sarà così in grado di esercitare una influenza ancora maggiore rispetto a quella derivante dalla percentuale del capitale sociale di Telecom Italia in suo possesso, senza aver lanciato un’offerta pubblica d’acquisto”. La terza richiesta, infine, riguarda “l’opportunità di svincolare dal divieto di concorrenza i tre candidati che svolgono le funzioni di CEO, CFO e Direttore Operativo in Vivendi, la quale opera nello stesso settore di Telecom Italia”.

 

Cosa farà ora Bollorè?

Sulla scia della presa di posizione dei fondi, il titolo Telecom sembra riguadagnare appeal. Le richieste presentate da Assogestioni, spiegano gli analisti di Equita, rendono lievemente più incerto l’esito dell’assemblea straordinaria del 15 dicembre. Queste richieste, che potrebbero anche essere lette come uno scontro tutto interno a Telecom Italia, potrebbero, in ultima analisi, imporre a Vivendi – che al momento controlla una quota del 20,1%, che scenderà al 14% dopo la conversione – “la riflessione sull’opportunità di incrementare ulteriormente la sua quota di controllo e potenzialmente rende lievemente più incerta la conversione delle azioni di risparmio”.

Una valutazione che molti ritengono sia già in corso.

 

Il dossier torri

A spingere il buon andamento del titolo, anche quello di Inwit, la controllata che gestisce le torri di trasmissione, ci sarebbero anche le ultime novità proprio riguardo il dossier delle torri. L’asset, verso il quale recentemente ha mostrato interesse anche la Ei Tower di Mediaset, sarebbe nelle mire del Fondo F2i, che potrebbe fare asse con gli spagnoli di Cellnex.

L’amministratore delegato di F2i, Renato Ravanelli, parlando a Il Sole 24 Ore ha sottolineato l’interesse per Inwit, che in Borsa vale 2,7 miliardi e di cui Telecom controlla una quota del 60%, precisando che  “con gli spagnoli il dialogo è molto forte e positivo”.