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Telecom Italia. Giuseppe Recchi: ‘Presenza Vivendi rafforza il cda’

Giuseppe Recchi

“Credo che l’idea in sé che un socio col 20% decida di far parte del consiglio di amministrazione sia del tutto naturale soprattutto con un’azionista che ha investito in un’azienda abbastanza sinergica e da cui ritenga di avere un contributo di valore aggiunto”.

Questo fatto esprime un esempio di “buona governance perché il cda di Telecom si arricchisce di nuove competenze e si rafforza. Certo non si indebolisce”. Al contrario, “…l’assenza di Vivendi – ha aggiunto –sarebbe stata letta come un segnale di disinteresse o di volontà di rimanere estraneo alla gestione di telecom Italia”.

Lo ha detto il presidente Telecom Italia Giuseppe Recchi nel corso del convegno “Telecom Italia: la sfida di restare una public company”, organizzato da Asati, l’associazione dei piccoli azionisti di Telecom.

Intervenendo a margine del convegno, anche l’ad Marco Patuano, ha sottolineato, che “avere a bordo un’azienda ha comprato il 20%, “…è solo un esempio di buona governance”.

Quello di cui il board si deve preoccupare è che la richiesta di Vivendi di integrare 4 suoi rappresentanti in cda sia “legittima secondo le norme del codice, dei regolatori e dello statuto e formalmente corretta”.

Ed è su questo che domani il consiglio di amministrazione è chiamato ad pronunciarsi, valutando anche se “esprimersi su altre questioni di merito o qualità”, ha detto ancora Recchi.

L’attuale posizione di Vivendi, ha ricordato Recchi, è stata costruita solo in parte minoritaria con un’azione di mercato perché il primo 8% derivò dalla vendita di GVT a Telefonica. Le restanti quote sono state acquisite progressivamente sul mercato nel corso degli ultimi mesi.

“Il mercato è la parola chiave”, quindi, perché il “mercato è garanzia di buona gestione” e per questo non avrebbe senso per una public company ostacolare le operazioni di mercato, salvo che non si manifesti un intervento di parte – le cosiddette operazioni ostili – a detrimento dell’azienda.

Il punto centrale, ha aggiunto, non è poi tanto se c’è o non ‘è un’azionista di riferimento “ma è come si comporta”: una public company, ha detto Recchi, “non cessa di essere tale nel momento in cui una società entra in possesso di una quota rilevante del suo capitale. Proprio in virtù dell’azionariato diffuso è  implicito che ci si debba confrontare col fatto che un singolo investitore sia interessato ad acquistare sul mercato una quota rilevante. Ciò è insito nella natura della public company”. Il famoso tema “della contendibilità che crea valore”.

L’apertura a operazioni di mercato – ha ricordato – “è nell’interesse degli azionisti piccoli e grandi perché in queste occasioni il titolo si rivaluta”.

Se la presenza di un soggetto con quota rilevante non è dirimente, quindi, a giudizio di Recchi, il nodo è la modalità in cui l’impresa viene gestita: “la differenza la fa la divisione dei ruoli”.

Proprietà e gestione, quindi, non devono mischiarsi perché quando gestione e proprietà non sono separati un azionista può abusare del ruolo dominante.

L’intervento al convegno di oggi richiama per molti versi quanto affermato ieri in audizione al Senato, quando il presidente ha ricordato che Vivendi non è l’unico azionista Telecom, che risponde ad una pluralità di soggetti: dai grandi fondi ai piccoli azionisti. Il management opera coerentemente per massimizzare la creazione di valore a vantaggio di tutti gli azionisti”.

E un esempio di questo agire a vantaggio di tutti è proprio la decisone di procedere con la conversione delle azioni risparmio. Decisione presa dal cda senza consultare gli azionisti e portata avanti nell’interesse di tutti, perché come ha ricordato oggi il presidente Recchi, il significato profondo di public company è “di società che appartiene a tutti gli azionisti e proprio per questo deve essere gestita nell’interesse della società”.

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