l'alleanza

Telco e OTT: conviene allearsi, ma bisogna andare oltre gli annunci

di |

Ben vengano gli accordi tra telco e OTT. Forse però gli operatori dovrebbero sfruttare maggiormente i loro punti di forza al momento di definire i termini commerciali degli accordi.

‘Se non puoi sconfiggere il tuo nemico, fattelo amico’ diceva giulio Cesare. Ed è questo il motto che sembra sottostare le strategie di molti operatori nei confronti degli OTT. Lo dimostra l’ennesima partnership annunciata la scorsa settimana tra una decina di operatori di diversi continenti: battezzata Partnering Operator Alliance, riunisce MTS, BT, Deutsche Telekom, Reliance Jio Infocomm, Millicom, Orange, Rogers, TeliaSonera e TIM e con l’obiettivo dichiarato di facilitare e accelerare la collaborazione tra telecom e società internet (tra i primi partner AirBnB, Celltick, Disconnect, Idoomoo, Magisto, Mojio e Spotify)

Le collaborazioni con società di internet e media sono state tar le priorità strategiche degli operatori negli ultimi anni: secondo la società di analisi Ovum dal 2013 a oggi sono state siglate oltre 700 partnership. Di queste, molte si basano sul modello ‘zero-rating’ ossia l’accesso illimitato a specifiche applicazioni internet come parte dell’abbonamento ai servizi mobili. L’accesso a queste app non viene calcolato nel limite di traffico (1, 2, 4 giga) compreso nel pacchetto sottoscritto con gli operatori. Altri accordi prevedono l’unione tra l’abbonamento mobile e un servizio OTT a pagamento.

Dal punto di vista degli operatori, questi accordi hanno senso in quanto permettono di differenziare i servizi rispetto a quelli dei concorrenti, di ridurre il tasso di abbandono e di attrarre nuovi clienti. Ma non sempre a questi accordi si accompagna anche un incremento dei profitti, anzi. Secondo Ovum, gli operatori che hanno incluso nella loro offerta app anche molto popolari come come Spotify o Deezer ci hanno rimesso perché i soldi versati ai provider dei servizi streaming sono stati di gran lunga superiori ai ricavi dagli abbonamenti.

Nonostante questo, però, Ovum sostiene il principio che spinge a stringere queste partnership. Forse però gli operatori dovrebbero sfruttare maggiormente i loro punti di forza al momento di definire i termini commerciali degli accordi. Innanzitutto, spiegano gli analisti, le telco possono contare su una forte capacità di distribuzione, branding e marketing: hanno i negozi, gestiscono poderose campagne pubblicitarie e, cosa più importante, dispongono di meccanismi di fatturazione. In secondo luogo, sono proprietari delle reti e gestiscono i servizi di rete: possono offrire la qualità del servizio, l’accesso alle API nella loro rete e sistemi informatici e servizi di comunicazione come SMS, voce, e banda larga. tutti servizi che eventuali parttner possono utilizzare per costruire relazioni con i loro utenti.

Alleanze come la Partnering Operator Alliance hanno senso, ma se i membri offrissero le stesse API o negoziassero gli accordi collettivamente: le telco, secondo Ovum, dovrebbero quindi abbandonare gli approcci individuali per quanto riguarda, ad esempio, i prezzi o le prerogative strategiche, così da far valere la loro forza.

Solo così e allargando le partnership al più alto numero possibile di operatori, si potrà andare al di là del semplice annuncio annuale della creazione di una nuova alleanza e cogliere davvero i frutti dell’unione in termini di aumento dei ricavi.