diritto d'autore

Tecnolaw. Il diritto d’autore nelle mostre d’arte al tempo dei ‘selfies’

di Marco Ciaffone, (DIMT - Diritto, Mercato, Tecnologia) |

Voci e opinioni dalla giornata di studio ‘Diritto d’autore in mostra. La gestione del diritto d’autore nella organizzazione delle mostre d’arte’ che si è tenuta ieri presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma.

#Tecnolaw è una rubrica settimanale promossa da Key4biz e DIMT – Diritto, Mercato, Tecnologia. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Organizzare una mostra d’arte richiede un’attenta gestione non solo delle opere esposte, ma anche del diritto d’autore che spetta agli autori delle opere. È da questa premessa che ha preso vita la giornata di studio “Diritto d’autore in mostra. La gestione del diritto d’autore nella organizzazione delle mostre d’arte“, ospitata nella giornata di giovedì 4 dicembre presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma con l’intento di fornire agli operatori del mondo dell’arte utili indicazioni di taglio sia teorico-giuridico sia pratico su come conciliare il rispetto della normativa, in continua evoluzione, sul diritto d’autore con l’esigenza di dare massima diffusione, in ogni possibile sede, alle proprie mostre.

Sono molteplici e comuni, infatti, le attività che, nell’ambito di una mostra, possono toccare i diritti degli autori: dall’esposizione in sala alla diffusione sul web, dalla riproduzione nei cataloghi alle divulgazioni informative, le sedi espositive utilizzano le opere, e le loro riproduzioni fotografiche, per un’ampia varietà di finalità culturali. Le possibilità di sfruttamento delle immagini sono poi aumentate negli ultimi anni a causa dello sviluppo delle nuove tecnologie, che offrono un supporto di valorizzazione delle mostre, permettendo inoltre ai visitatori di partecipare attivamente in questa attività di diffusione della cultura. Dinamiche che aprono criticità e quesiti sugli usi consentiti delle opere e sul rapporto tra chi crea e chi espone, tra chi possiede e chi diffonde.

I lavori, promossi con la collaborazione della Direzione Generale Biblioteche, Istituti culturali e Diritto d’Autore del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Centro di Ricerca d’eccellenza per il Diritto d’Autore (CREDA), sono stati così suddivisi tra una mattinata ruotata intorno alle relazioni focalizzate sulla norma giuridica sul diritto d’autore in ambito museale e una tavola rotonda pomeridiana orientata a raccogliere in un unico documento le istanze del settore.

Nel saluto di benvenuto il Dott. Mario De Simoni, Direttore generale dell’azienda speciale Palaexpo, ha sottolineato come “sia centrale per noi il senso di responsabilità nella gestione dei prestiti che ci vengono fatti e ci permettono di allestire le nostre attività”.

Collegandosi anche al convegno dello scorso 29 ottobre “Le nuove frontiere dell’innovazione tra diritto d’autore e brevetto”, Rossana Rummo, Direttore Generale per le Biblioteche, Istituti culturali e Diritto d’Autore del MiBACT ha affermato: “È importante ci siano questi confronti tra i vari settori della cultura, e l’esigenza di una giornata di studio nasce dalle prassi delle sedi espositive. In ogni opera d’arte bisogna innanzitutto tenere distinto l’oggetto che rende fruibile l’opera, sia esso la tela o un cd, regolato a tutti gli effetti dalle norme sul diritto di proprietà, e il bene immateriale, risultato dell’attività creativa dell’artista regolato dal diritto d’autore”.

“Con il CREDA riserviamo massima attenzione a questi temi – ha detto Alberto Gambino, ordinario di Diritto privato presso l’Università Europea di Roma in una relazione incentrata sulle libere utilizzazioni delle opere d’arte nell’ambito dell’attività espositiva – e questo perché la ricaduta degli studi ha un impatto dirompente su prassi, modalità e per certi versi anche sulla tenuta del sistema della tutela dei beni culturali, nell’ambito di una missione che resta quella di trasmettere conoscenza e permettere accesso alla cultura. Il tutto con un concetto di fondo: senza diritto d’autore ci sarebbe una menomazione dell’apporto creativo degli artisti, che hanno bisogno di una remunerazione per potersi esprimere e creare con continuità”.

 

Il Prof. Gambino ha così rimarcato la fondamentale differenza tra le opere dell’arte figurativa e quelle di altri ambiti creativi: “Se per quanto riguarda le prime l’esemplare unico ha un valore di mercato totalmente diverso da quello delle sue riproduzioni, lo stesso non può dirsi per opere come quelle cinematografiche o discografiche. È poi molto differente la stessa capacità e facilità di riproduzione e diffusione. Uno stato di cose da cui discendono non solo diversi diritti per chi acquista il primo tipo di opere piuttosto che il secondo, ma in alcuni casi anche diversi doveri”.

“Per quanto attiene le eccezioni alla tutela di privativa intellettuale nel settore delle mostre – ha proseguito – ho individuato sette tipologie che possono rientrare in tale definizione: le riproduzioni delle immagini e delle opere in mostra nel catalogo; la riproduzione di immagini nei materiali relativi alla promozione della mostra; la visualizzazione delle immagini delle opere in mostra, che può essere statica o dinamica, circoscritta all’interno del polo museale o diffusa su piattaforme, anche online, esterne; le riprese fotografiche e video delle opere in mostra ma per finalità informativa, ambito nel quale occorre distinguere tra le attività di mera promozione dell’evento e attività prettamente pubblicitarie, e dunque lucrative; l’utilizzo delle opere nei video accessori alla mostra, dai backstage alle interviste, con le criticità legate alla eventuale diffusione verso l’esterno e in autonomia rispetto alla mostra; la finalità documentaristica, che si collega all’interesse a creare un archivio nella sede della mostra; gli ulteriori eventi organizzati all’interno della mostra, che servono spesso ad aumentare il numero dei fruitori; in ultimo, i rapporti con gli sponsor e con il merchandising del museo, tema più delicato, perché in quel caso esiste un esplicito intento lucrativo su un bene che ha già un suo valore di mercato ma che lo vede aumentare, insieme all’appeal per il consumatore, se reca una stampa di un’opera. Chi ha diritto a lucrare su quell’opera imprimendola su oggetti destinati alla vendita? Teoricamente l’autore, e quindi in questo caso si entra in una potenziale competizione con le possibilità dell’autore di allestire un suo merchandising sulle sue opere”.

La divulgazione e la riproduzione delle opere d’arte nel contesto disegnato dalle nuove tecnologie è stata poi al centro dell’intervento di Andrea Giussani, ordinario di Diritto processuale civile presso l’Università di Urbino: “Lo sviluppo della tecnologia per un verso influisce sulle modalità di produzione e realizzazione dell’opera d’arte, per un altro favorisce di fatto la violazione dei diritti d’autore, ma al contempo consente anche di proteggere più efficacemente il titolare di diritti nei confronti di utilizzazioni improprie. Questa ambivalenza mi è utile per far osservare come sia possibile intravedere una linea di fondo nel modo in cui le tecnologie hanno influito sulla disciplina: tutelare l’opera non significa più principalmente garantire al proprietario il controllo sulla quantità di esemplari presenti sul mercato ma garantirgli un equo compenso sullo sfruttamento e sulla riproduzione delle opere. In questo senso cresce progressivamente il ruolo delle società di gestione collettiva dei diritti, ed è la direzione verso la quale il legislatore comunitario si è in larga parte orientato”.

È stata così la volta di Paolo Agoglia, capo dell’ufficio legislativo e dei rapporti istituzionali della SIAE, il quale nell’ambito di una relazione sul ruolo dell’ente di gestione collettiva nello sfruttamento delle opere dell’arte visiva ha posto l’accento, tra gli altri, sul tema dell’Online Art e del diritto di seguito; anche a fronte del mancato riconoscimento di tale importante diritto in USA e Cina, “si rileva la necessità di un ampio coordinamento internazionale affinché gli autori ne possano beneficiare”.

Paolo Marzano, presidente del Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore, ha da parte sua fornito uno spaccato della triangolazione che si genera tra titolari dei diritti d’autore, sede espositiva pubblica e autori delle opere, puntualizzando la distinzione tra il corpus mysticum, il bene immateriale rappresentato dall’opera dell’ingegno, e il corpus mechanicum, il supporto tangibile che incorpora l’opera: “Essere proprietari del secondo non significa essere titolari dei diritti sul primo”.

Dopo aver passato in rassegna i vari diritti che insistono sulle due fattispecie, Marzano ha posto l’attenzione su un fenomeno esploso negli ultimi anni sulle piattaforme di condivisione di contenuti online: i selfies. “All’estero sono di recente sorte delle controversie, con molti musei che consentono ora i selfies davanti alle opere di pubblico dominio ma non sulle temporary exhibitions per ragioni legate al diritto d’autore. Credo che qualcosa dipenda anche dalla centralità dell’opera immortalata nello scatto. In questo senso, un ruolo potrebbe averlo la dottrina del de minimis use o usus de minimis, se il selfie riproduce in posizione defilata o poco rilevante economicamente l’opera. In ogni caso penso sia meglio affidarsi alle regole all’ingresso“.

Il nuovo rapporto che si genera tra opere e fruitori è delineato anche di Federico Mastrolilli: “Oltre agli interessi dei proprietari delle opere e degli autori non bisogna dimenticare una terza figura, sempre più rilevante soprattutto in un momento di crisi, anche culturale oltre che di cassa, come quello attuale: il pubblico. Non si può più organizzare una mostra senza tenere in considerazione il fatto che il pubblico non ritiene più sufficiente una visione passiva dell’esposizione, ma richiede di esser coinvolto maggiormente. In questa direzione va la cosiddetta liberalizzazione delle fotografie all’interno delle mostre, che consente di scattare foto alle opere anche nelle modalità al momento particolarmente di moda. La portata di questa norma è cruciale, perché non si è aperta la strada ad un piccolo sentiero, cioè quello della fotografia, ma all’autostrada della condivisione sui social network, ormai quasi istantanea”.

“Nel momento in cui chiunque di noi posta una foto scattata in un museo che ritrae anche solo un frammento di un’opera, aggiungendo magari elementi estranei all’opera stessa, innesca la circolazione del contenuto condiviso fino a generare una sorta di post-produzione che soppianta la produzione originale. L’effetto è che oramai nel mondo digitale anche il mondo dell’arte è entrato in quello che è il canone dell’utilizzazione dell’opera dell’ingegno, cioè l’indifferenza delle fonti. Ma questo non va letto in un’ottica negativa, perché il fine ultimo del diritto d’autore è quello di diffondere la cultura e permettere uno scambio culturale che arricchisca la società; non dobbiamo dunque aver paura di questo tipo di fenomeni che fanno parte dello zeitgeist attuale, che prevede la fruizione dell’arte non più nel proprio privato ma in una dimensione di condivisione dell’esperienza. Questo può rappresentare l’occasione, per le sedi espositive, di allargare la platea di riferimento, inventando modelli di business che aumentino il novero delle modalità di fruizione, contatto e relazione con le opere. Organizzare una mostra oggi – conclude Mastrolilli – significa dunque anche organizzare una serie di attività collaterali che intersecano i temi del diritto d’autore, ed è importante essere stati qui oggi ad approfondire queste centrali tematiche”.