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Sviluppo 4.0: nuovo decreto del Mise. L’Italia ce la farà?

A partire dai dati diffusi dalla società di consulenze Roland Beger, l’industria 4.0 svilupperà entro il 2030 in Europa un fatturato di 500 miliardi di euro e darà lavoro a più di 6 milioni di persone. L’Unione europea ha inserito l’industria 4.0 tra le priorità fondamentali, assieme a banda ultralarga, efficienza energetica, crescita dell’occupazione e sostegno alle imprese innovative.

A riguardo, Fondi strutturali e d’investimento europei (Sie), per il periodo 2014-2020, sono stati già erogati a 274.000 aziende, per 60 miliardi di euro di risorse. Cifra che a settembre 2016 è arrivata a 130 miliardi di euro.

L’Ue è quindi pronta sul versante innovazione, imprese e lavoro, e in Italia la risposta è stata la Legge bilancio 2017, con focus proprio sulla smart factory. Ieri, presso il Ministero dello Sviluppo Economico, il ministro Carlo Calenda ha illustrato quale sarà l’iter procedurale per i nuovi ‘Contratti di sviluppo’.

I primi dieci sono stati firmati ieri, dal Ministro e dall’amministratore delegato di Invitalia, Domenico Arcuri, per circa 350 milioni di euro di investimenti nelle Regioni Campania, Basilicata, Puglia, Sicilia, Sardegna e Lombardia.

Il decreto firmato da Calenda riduce sensibilmente i tempi per accedere alle agevolazioni previste e favorisce la partecipazione di tutte le amministrazioni pubbliche interessate nella selezione e nel finanziamento dei contratti di sviluppo di maggiori dimensioni e ritenuti strategicamente rilevanti.

Ad Invitalia il compito di gestire i “Contratti di sviluppo”, accettare le domande, valutare i progetti ed erogare le agevolazioni.

Il governo, ha informato il Ministro, “incentiverà solo le imprese che investono”. La sfida ora “è chiudere 51 Contratti di sviluppo entro giugno 2017 che genereranno investimenti per 2,5 miliardi”.

Un significativo impatto occupazionale, la capacità di attrazione di investimenti esteri, la coerenza con gli investimenti di Industria 4.0, sono i principali obiettivi del nuovo “Contratto di Sviluppo”, le cui risorse ammontano complessivamente a 1.9 miliardi di euro.

Ora c’è da chiedersi se davvero ce la faremo a portare il Paese nell’epoca dell’industria 4.0. In un recente convegno tenuto a Milano dal titolo “La via italiana al manifatturiero del futuro”, organizzato dal Cluster Tecnologico Nazionale Fabbrica Intelligente (Cfi), in occasione della fiera BiMu, Stefano Firpo, direttore generale per la politica industriale, la competitività e le Pmi del ministero dello Sviluppo Economico, come riportato da industriaitaliana.it, ha enunciato una serie di vulnerabilità nazionali sulla via per l’innovazione.

Firpo, sostanzialmente, sosteneva che siamo molto indietro nei confronti dell’Europa ed il primo problema “è recuperare il ritardo”: “Siamo indietro sull’integrazione di sistema: manca, infatti, chi sappia mettere a fattore comune le nostre eccellenze”. Se è vero che l’industria manifatturiera nazionale è candidata a fattore guida e a motore dell’economia dei servizi, è altrettanto vero che “la nostra competitività è calata, sono diminuiti gli investimenti sia in quantità che in qualità”.

C’è inoltre da segnalare, sostiene il dg del Mise, che mentre “la medio-grande impresa italiana si è rafforzata su tutti i fronti”, dopo la crisi, la piccola-media ha tenuto solo laddove ha saputo innovare e internazionalizzarsi, soffrendo pesantemente quando non lo ha fatto”.

Il nostro Paese, in ultima analisi, rimane ancora uno degli attori più importanti al mondo nel panorama del manifatturiero, ma le criticità rimangono molte e il processo di internazionalizzazione è inesorabile, ha spiegato Firpo, “crea un solco netto tra chi ce la fa e chi non ce la fa”.

 

Presentazione del Ministro

Il nuovo Contratto di Sviluppo

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