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Suicidio assistito, in Svizzera si propone l’IA al posto del medico

Suicidio

Il suicidio assistito in Svizzera

Oggi, chiunque voglia porre fine alla propria esistenza, qualsiasi sia la motivazione dietro una così tragica, insondabile ed insindacabile decisione, lo può fare in Svizzera con l’assistenza di uno o più medici che devono seguire il paziente fino al momento ultimo, quando c’è l’assunzione di sodio pentobarbital prima di addormentarsi per sempre.

Circa 1.300 persone hanno scelto questa modalità di fine vita nel 2020, tramite le due principali organizzazioni svizzere che offrono questo particolare tipo di servizio ai cittadini, anche di altri Paesi, Exit e Dignitas.

Una volta ingerito il farmaco letale si impiega tra i due e i cinque minuti prima di perdere conoscenza ed entrare in coma profondo, che poi è seguito rapidamente da morte. Non si soffre, non ci si accorge di niente, ha spiegato a swissinfo.ch il dottor Philip Nitschke, fondatore dell’azienda australiana Exit International (società distinta dall’ente Exit sopra citato).

L’idea di morire grazie ad una capsula tecnologica intelligente: Sarco

Nitschke, che da 30 anni e più si dedica a questo specifico ambito medico, quello del suicidio assistito, ha annunciato in Svizzera una nuova tecnologia: la “suicide capsule“, che potremmo tradure come la capsula del suicidio.

A tutti gli effetti si tratta di un pod, di un abitacolo molto simile ad un sarcofago, chiamato “Sarco, che potrebbe rivoluzionare il modo in cui un essere umano vuole porre fine volontariamente alla propria esistenza.

La capsula deve essere stampata in 3D, anche dalla stessa persona che fa richiesta del servizio. Una commissione medico-scientifica a livello nazionale, presieduta dall’accademico e giurista svizzero Daniel Hurlimann, sta valutando se questa tecnologica stia rispettando tutti i termini di legge sulla disciplina relativi ai trattamenti medico-farmaceutici e più in generale il codice penale.

Al momento, quindi, non si evidenzia nessun tipo di violazione del codice penale, motivo per cui è molto probabile che Sarco sia ufficialmente riconosciuto come metodo di suicidio assistito, ma con una particolarità ulteriore.

Demedicalizzare la morte con l’impiego dell’intelligenza artificiale

Secondo Nitschke è fondamentale demedicalizzare la morte assistita, proprio grazie alle tecnologie più avanzate, come l’intelligenza artificiale (IA).

Al momento, la procedura di suicidio assistito prevede il coinvolgimento di uno o più medici, per prescrivere il sodio pentobarbital e confermare il pieno possesso delle facoltà mentali del soggetto. Noi vorremmo rimuovere qualsivoglia valutazione psichiatrica e lasciare al singolo individuo il controllo sulle modalità con cui togliersi la vita”, ha detto il medico.

Il nostro obiettivo è sviluppare un sistema di screening tramite intelligenza artificiale per stabilire le facoltà mentali del soggetto”, ha affermato Nitschke.

Prima di entrare nel pod si deve fare un test e solo dopo averlo superato si riceverà il codice per attivare il Sarco e poterci entrare dentro.

Una volta al suo interno, il paziente non dovrà fare altro che seguire le istruzioni, fino al momento in cui non rimane altro che premere il pulsante che azionerà il rilascio di gas azoto, che porterà l’individuo in uno stato di apossia (assenza di ossigeno) e infine alla morte.

E se all’ultimo momento non si vuole più morire? La tecnologia lascia sempre una via di uscita, se ben pensata, e all’interno del pod c’è un pulsante che consente di arrestare il processo e di offrire al paziente una via di fuga.

C’è chi dice no (più che alla morte, all’intelligenza artificiale)

La possibilità di sfruttare questo sistema di fine vita volontaria non sarà facile per tutti. Non perché costi troppo, anzi, rispetto ai 12 mila euro necessari oggi per il suicidio assistito in Svizzera, Sarco è molto più economica come soluzione, ma non sarà accessibile a chi ha meno di 50 anni e prima di ottenere il via libera dall’IA il paziente dovrà sottoporsi a diversi screening.

Il dottor Nitschke propone questa soluzione per democraticizzare la morte, sottrarla agli speculatori e consegnarla all’individuo, come suo ultimo potere decisionale sulla propria esistenza, che gli appartiene in maniera assoluta.

Un approccio che però ha sollevato dubbi e critiche, anche tra le stesse organizzazioni in Svizzera che lavorano alla morte assistita, volontaria o meno, come Dignitas, ce rifiuta la demedicalizzazione del suicidio.

Contraria anche Algorithmwatch, organizzazione non profit che effettua studi e ricerca sull’applicazione delle tecnologie dell’automazione, tra cui l’IA.

La tecnologia in sé non è mai neutrale: è sviluppata, testata, implementata e utilizzata dagli esseri umani e, nel caso dei cosiddetti sistemi di intelligenza artificiale, si basa in genere su dati preesistenti“, ha affermato la direttrice di Algorithmwatch, Angela Müller.

Fare affidamento su questi dati e su queste tecnologie, temo, potrebbe minare la nostra autonomia e autostima piuttosto che rafforzarle, potrebbe anche dare molto più peso a stereotipi e pregiudizi, appunto preesistenti, al momento della decisione di porre fine alla propria vita”, ha precisato la Muller.

La situazione in Italia

In Italia, come riporta stamattina l’Ansa, le Commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera hanno approvato il ddl sul suicidio assistito, in attuazione della sentenza della Corte costituzionale del novembre 2019.

Il testo quindi tornerà in aula lunedì prossimo 13 settembre.

Possibile l’obiezione di coscienza, se precedentemente dichiarata, da parte del personale sanitario, anche ausiliario, che in base a questo diritto può non prendere parte al servizio di assistenza al paziente che vuole porre fine alla propria vita.

L’emendamento che ha consentito questa modifica al testo, cioè l’obiezione di coscienza, è stato commentato come un passo indietro, con giudizio negativo da parte di Marco Cappato e Matteo Mainardi dell’Associazione Luca Coscioni, ma anche del deputato Riccardo Magi (+Europa), che parla di un documento gravemente insufficiente, che non scioglie i nodi più grandi di un tema che certamente rimane divisivo, ma che un Paese democratico non può permettersi di non affrontare.

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