l'analisi

Streaming e cinema, come sarà il post-pandemia?

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Ha fatto scalpore, a questo proposito, il numero non esaltante di nuovi abbonamenti dell’ultimo trimestre Netflix, che molti hanno interpretato come la fine dell’“epoca d’oro” del lockdown – quando anche per la mancanza di alternative le piattaforme streaming hanno fatto registrare il record del fatturato.

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Netflix, Prime Video, Disney+, Apple Tv+, Hulu, HBO Max, Chili, DAZN, Peacock, per citare solo i più grandi: il panorama dei servizi di tv streaming (ricordando che su SOSTariffe.it si possono comparare tra di loro per scegliere quelli più convenienti) è sempre più frammentato. Alcuni di queste piattaforme in Italia non sono ancora disponibili e non si sa quando arriveranno, ma è indubbio che oltreoceano la pandemia abbia già accelerato il processo di spostamento dell’attenzione delle grandi case dal cinema alla visione casalinga. Una bella opportunità per chi non vuole alzarsi dal divano, ma allo stesso tempo un vero labirinto di offerte e cataloghi da compulsare attentamente (e ci sono già i siti che fungono da motore di ricerca, come JustWatch) per sapere chi trasmette il contenuto che ci interessa, con la speranza che cinque o sei abbonamenti streaming, ciascuno sui dieci euro al mese, siano più convenienti di un’offerta della pay tv “classica”. In realtà, a farsi bene i conti in tasca, non cambia poi molto.

Se la spesa è più o meno la stessa rispetto a qualche anno fa, è però vero che l’offerta è molto più ampia, e i lockdown sembrano aver ulteriormente consolidato un modello che privilegi la creazione di contenuti originali direct-to-video, sovvertendo quella logica tipica degli anni Novanta e dei primi Duemila in cui ciò che non passava dalle sale erano sostanzialmente prodotti di serie B, a basso budget, destinati a creare un modesto incasso con le VHS prima e i DVD poi. Oggi invece i migliori attori e registi sembrano abbracciare con entusiasmo le produzioni di Netflix o Amazon nate e pensate per la visione sulla televisione (quando non addirittura sugli schermi degli smartphone e dei tablet), per quanto girate con larghissimi mezzi, esaltati anche grazie a schermi e impianti audio di qualità altissima, in grado di rivaleggiare tecnicamente coi cinema più all’avanguardia. Ma è davvero così?

Streaming o cinema? Vincerà la voglia di uscire o la comodità di casa?

È normale farsi questa domanda tenendo conto che, grazie ai vaccini, la fine delle restrizioni è in arrivo un po’ per tutti i Paesi più ricchi del mondo e milioni di persone attendono di tornare a tutti gli effetti alla vita di prima, anche per quanto riguarda i consumi culturali. Il dilemma è presto servito: ci sarà un ritorno in massa alle sale cinematografiche (come sembrano voler indicare le code in Italia già dal mattino per i primi cinema riaperti, al centro di un video di Nanni Moretti che apre nuovamente le porte del suo cinema Nuovo Sacher diventato rapidamente virale) o staccarsi dai nostri salotti sarà più difficile di quanto siamo disposti ad ammettere? È un tema non da poco, perché su questo si basano molte delle strategie delle case di produzione, sia quelle tradizionali che quelle nate come piattaforme streaming, come appunto Netflix.

Alcune analisi di AF Digitale hanno mostrato come la questione della transizione dalle sale allo streaming sia tutt’altro che risolta e univoca, per il semplice motivo che, in soldoni, coi film distribuiti al cinema le case guadagnano di più: se è vero che i costi di distribuzione su una piattaforma online sono molto più bassi, è altrettanto evidente che la formula all you can eat di Netflix, Disney+ e soci porti per forza di cose a “spalmare” il guadagno dagli abbonamenti su più prodotti.

Detto in altre parole: quante persone che non l’avrebbero fatto sono disposte a rinnovare il proprio abbonamento – o a farlo per la prima volta – per uno specifico titolo in arrivo su una piattaforma? Così, se i cinema tornassero a riempirsi, l’industria tirerebbe un sospiro di sollievo, anche quella che ha abbracciato con maggiore entusiasmo il dualismo tra la visione via Internet e quella direttamente in sala. Per questo con ogni probabilità uno dei titoli più attesi del 2021, il nuovo Dune (Warner Bros), non uscirà in contemporanea su HBO Max, come era stato dichiarato non più di qualche mese fa; e la partnership con la Warner finirà del tutto nel 2022, quando, con la pandemia (si spera) oramai alle spalle, si potrà nuovamente sperare in grandi incassi al botteghino.

La “finestra” di esclusiva e i conti di Netflix

Una delle variabili su cui si può lavorare è il periodo di esclusiva per i cinema. Quando era necessario aspettare sei mesi o giù di lì perché un film uscisse in DVD dopo aver terminato la programmazione nelle sale, non c’erano molti dubbi: chi voleva godersi il prodotto “fresco” organizzava una serata al cinema, magari alimentando l’indotto degli esercizi commerciali vicini. Ora si ragiona – come appunto sta facendo Warner Bros con HBO per il futuro – su una finestra di 45 giorni, che rende assai più sostenibile l’attesa per chi reputa più che tollerabile un mese e mezzo per vedersi un film con la comodità di casa. Si tratta insomma di trovare il giusto compromesso tra la necessità di non far crollare gli incassi cinematografici (pare che l’uscita praticamente in contemporanea di Mulan su Disney+ e nelle sale sia stato un vero tracollo finanziario) e quella di mantenere la propria offerta streaming sufficientemente ricca di novità da invogliare al rinnovo dell’abbonamento.

Ha fatto scalpore, a questo proposito, il numero non esaltante di nuovi abbonamenti dell’ultimo trimestre Netflix, che molti hanno interpretato come la fine dell’“epoca d’oro” del lockdown – quando anche per la mancanza di alternative le piattaforme streaming hanno fatto registrare il record del fatturato – e anche come la possibilità, per quanto remota, che la stessa Netflix stia per cedere la corona a qualcun altro. In realtà l’azienda guidata da Reed Hastings continua a spendere parecchio (ben 465 milioni di dollari per i due sequel del delizioso Knives Out di Rian Johnson, una cifra altissima per un film che è stato sì un inaspettato successo ma non è esattamente un blockbuster) ma soprattutto i competitor, per quanto agguerrito, non sono così pronti a reclamare il trono: anche perché al momento Netflix ha una situazione finanziaria molto florida, al di là degli ultimi risultati al di sotto delle aspettative, e di recente è andata per la prima volta in attivo, mentre la concorrenza sta ancora spendendo più di quanto guadagna nello streaming.