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Usa, rimpasto nell’amministrazione presidenziale: Steve Bannon rimosso dal Consiglio di sicurezza nazionale

06 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – Il capo della strategia del presidente Usa Donald Trump, Steve Bannon, da ieri non e’ piu’ membro del Consiglio di sicurezza nazionale, mentre sono tornati a farne permanentemente parte il generale John Dunford, capo dello stato maggiore congiunto, e il direttore della National Intelligence, Dan Coats. La decisione e’ stata assunta dal consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, tenente generale H. R. McMaster, e il presidente l’ha controfirmata. La rimozione di Bannon dal Consiglio di sicurezza nazionale e’ ritenuta da alcuni un segno di debolezza del presidente: Bannon, esponente di quel movimento di “Destra alternativa” che e’ stato uno dei principali artefici del successo elettorale di Trump, e’ ritenuto l'”eminenza grigia” di quella cerchia di outsider nazionalisti che l’establishment Repubblicana osteggia quanto, se non piu’ dei Democratici. Voci vicine all’amministrazione citate da l”Wall Street Journal” sostengono che nelle ultime settimane Bannon abbia perso influenza in favore del genero di Trump, Jared Kushner. Questi e’ allineato a esponenti dell’amministrazione come Gary Cohn e Dina Powell: membri della cosiddetta “ala di Goldman Sachs”, ideologicamente piu’ affine all’ideologia “moderata e globalista” della dirigenza repubblicana. Altre fonti, invece, affermano che l’uscita di Bannon dal Consiglio di sicurezza nazionale sia una mossa del tutto ordinaria: Bannon, spiegano, vi era stato ammesso in via eccezionale soltanto per tenere sotto controllo l’ex consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Flynn. Bannon, che resta capo della strategia della Casa Bianca, ha diffuso ieri un comunicato, affermando che “Susan Rice (ex consigliere per la sicurezza nazionale di Obama, ndr) ha dato funzioni operative al Consiglio durante la precedente amministrazione. Il mio ruolo era di garantire la de-operazionalizzazione, e ora il generale McMaster e’ tornato a guidare il Consiglio al pieno delle sue legittime funzioni”.

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Usa, Trump lavora al rilancio delle infrastrutture

06 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha concesso un’intervista a Maggie Haberman e Glenn Thrush, del “New York Times”. L’intervista spazia dal muro contro muro al Senato per la nomina di Neil Gorsuch a giudice della Corte Suprema, alle ultime rivelazioni sullo spionaggio ai danni di Trump e del suo team di transizione da parte della precedente amministrazione internazionale, sino all’attacco chimico nella provincia siriana di Idlib, che Washington imputa con assoluta certezza al regime di Damasco; un’ampia porzione dell’intervista e’ dedicata agli ambiziosi progetti del presidente per l’ammodernamento delle infrastrutture statunitensi. L’intervista si apre con un accenno all’ostruzionismo opposto dai Democratici alla nomina di Gorsuch: diversi senatori democratici, spiega il presidente, gli hanno confessato in privato d’essere tutt’altro che contrari alla nomina del giudice, che del resto era stato nominato giudice federale col sostegno bipartisan di entrambi i partiti. Secondo Trump, l’opposizione intransigente dei Democratici e’ una reazione alla sconfitta rimediata alle elezioni presidenziali. “Pensavano avrebbero vinto. Per un repubblicano, ottenere la maggioranza dei collegi elettorali e’ quasi impossibile, e a me e’ riuscito piuttosto facilmente. Credo si stiano ancora riprendendo da quella batosta, ma si stanno riprendendo”. Trump contesta piuttosto ai suoi intervistatori e al loro quotidiano di non dare un adeguato rilievo alle clamorose rivelazioni degli ultimi giorni sul ruolo di Susan Rice, consigliere per la sicurezza nazionale dell’ex presidente Barack Obama, nelle intercettazioni ai danni del team di transizione di Trump e nella successiva disseminazione di informazioni riservate che pure – stando alle fonti citate da “Bloomberg” e da “Wall Street Journal” nei giorni scorsi – non contenevano alcun elemento in qualche modo connesso alle indagini sui presunti contatti tra lo stesso Trump e la Russia; al contrario, i documenti riservati includevano, pare, dettagli in merito ai programmi e alle attivita’ politiche di Trump e della sua squadra. “E’ una storia davvero gigantesca per il mondo intero ad eccezione del ‘New York Times’, afferma Trump, provocando i suoi intervistatori, prima di puntare l’indice contro la stessa Rice: “Ieri la sua performance e’ stata orribile (Rice, intervistata dall’emittente Nbc, e’ tornata a dirsi all’oscuro di qualunque attivita’ di spionaggio ai danni di Trump, ndr). Eppure la intervistava Andrea Mitchell, che e’ delle pubbliche relazioni di Hillary Clinton”. Trump evita di fornire anticipazioni precise, ma avverte che la vicenda avra’ sviluppi ancor piu’ clamorosi, e suggerisce che coinvolgera’ altre figure di primo piano dell’amministrazione Obama: forse – pare suggerire Trump – lo stesso ex presidente. “Credo sia una delle storie piu’ grosse di sempre. Quella sulla Russia e’ tutta una montatura. Non ne e’ uscito assolutamente nulla. Cio’ che e’ davvero emerso e’ la storia di cui stiamo parlando ora, Susan Rice. Quel che e’ accaduto e’ terribile. Non ho mai visto gente cosi’ indignata, inclusi tanti democratici miei amici. Per loro, che tengono alle liberta’ civili, e’ davvero un affronto”. Trump rifiuta di chiarire se la sua amministrazione disponga di ulteriori elementi che dimostrino lo spionaggio politico ai suoi danni da parte del precedente governo; ma si dice certo che quanto ha fatto Rice costituisca “un reato”. L’intervista si concentra poi sui piani dell’amministrazione per le infrastrutture. Trump esprime l’intenzione di anticipare i piani, magari inserendo i primo provvedimenti nella legge di bilancio o in altri interventi legislativi di alto profilo che il Congresso dovrebbe approvare nei prossimi mesi. Il presidente menziona numeri impressionanti: circa mille miliardi di dollari, afferma il presidente, sono stati concessi dal governo federale agli Stati e alle amministrazioni locali per l’ammodernamento delle infrastrutture, ma sono rimasti perlopiu’ inutilizzati a causa degli ostacoli burocratici e dell’assenza di supervisione da parte del governo. “Potremmo riutilizzare quei mille miliardi, e ricorrere alla collaborazione tra pubblico e privato. Ma in generale, parliamo di un investimento di mille miliardi di dollari in ponti, strade, e molte altre cose”. Il presidente sottolinea la necessita’ di pianificare attentamente i progetti e affidarne la supervisione ad esperti: “In larga parte, si trattera’ di rimodernare le infrastrutture esistenti. Potremmo ad esempio costruire nuove autostrade, e costerebbe molto di piu’. Ma talvolta questi progetti si trasformano in autostrade verso il nulla. Come la metropolitana sotto la Second Avenue (a New York, ndr). Hanno speso 12 miliardi di dollari, e non avevano nemmeno idea di dove la metropolitana fosse davvero diretta”. Trump ritiene che il ruolo dei finanziamenti privati nel rilancio infrastrutturale del paese sara’ contenuto: “I tassi di interesse sono molto bassi. Quando puoi prendere in prestito a prezzi cosi’ convenienti, non e’ necessario ricorrere alla combinazione pubblico-privato, perche’ puo’ essere una soluzione molto costosa”. Trump sottolinea infine che il piano di rilancio infrastrutturale della sua amministrazione sara’ importante anche e soprattutto per la semplificazione delle procedure burocratiche. “Per un’autostrada e’ necessario passare attraverso 17 agenzie. Centinaia e centinaia di approvazioni. Da statuto, alcune obbligano a un’attesa di sei mesi prima di poter presentare la domanda successiva. Quando ci occuperemo delle infrastrutture, sara’ importante concedere miliardi di dollari agli Stati, come New York e la California o qualunque altro, e far si’ che inizino a spendere quei soldi. Dovranno ricevere le approvazioni entro 120 giorni”. Trump commenta anche l’attacco chimico in Siria. Si dice “deluso” del sostegno russo al regime di Damasco che, afferma, e’ senza dubbio il responsabile dell’attacco nella provincia di Idlib. “Tutte le informazioni puntano al governo siriano. Perche’ l’hanno fatto? Chi lo sa. Anzitutto, non dovevano disporre di quelle armi. Obama aveva assicurato, ‘e’ tutto risolto’. Beh, ecco un’altra cosa che non ha fatto”. Il presidente ribadisce che non intende discutere i piani militari della sua amministrazione con la stampa. E conclude l’intervista esprimendo la convinzione che i Democratici collaboreranno con la sua amministrazione, specie sul fronte delle infrastrutture.

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Regno Unito, il governo si muove in segreto per rilanciare le relazioni con la Russia

06 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – Il governo del Regno Unito, rivela il quotidiano britannico “The Independent”, sta tentando, con un approccio discreto, di migliorare le relazioni con la Russia. L’iniziativa e’ stata presa in seguito all’insediamento alla presidenza degli Stati Uniti di Donald Trump, dal quale ci si aspetta un avvicinamento al presidente russo, Vladimir Putin. Il segretario agli Esteri, Boris Johnson, si sta preparando per una visita a Mosca, la prima da cinque anni per un titolare del Foreign Office. La Siria, l’Ucraina, la Libia e il terrorismo islamico saranno i temi all’ordine del giorno. Il viaggio dovrebbe svolgersi nelle prossime settimane, dopo essere stato rinviato a causa della riprogrammazione di una riunione dei ministri degli esteri della Nato, l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, dovuta all’impegno del segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, a Washington per l’arrivo del presidente cinese, Xi Jinping. Alcuni governi dell’Europa occidentale sono stati informati privatamente dell’iniziativa britannica; in diverse capitali, infatti, c’e’ preoccupazione per la conflittualita’ tra Gran Bretagna e Russia, che riduce le possibilita’ di aprire un dialogo con Mosca su alcune questioni di comune interesse. Fonti del quotidiano spiegano che non si tratta di revocare la condanna per l’annessione della Crimea, ma che “e’ essenziale tenere conto della crescente presenza della Russia nel Medio Oriente e in Nord Africa”. Quando annuncio’ per la prima volta la sua visita a Mosca, Johnson accenno’ a un tono “forte”; potrebbe essere piu’ dialogante dopo gli attentati di Londra e San Pietroburgo? Per le fonti consultate dal giornale, il dialogo e’ necessario: i recenti attacchi dimostrano che c’e’ una minaccia comune e non si puo’ parlare di terrorismo senza cercare di risolvere i conflitti in Siria e in Libia. Sulla crisi libica il Regno Unito potrebbe essere costretto a cambiare posizione, dopo l’intervento franco-britannico, sotto Nicolas Sarkozy e David Cameron, che porto’ alla deposizione di Muammar Gheddafi, a una situazione di anarchia e a gravi ripercussioni in termini di emergenza migratoria per i paesi dell’Europa meridionale. La Russia sta espandendo il suo ruolo in Libia, dove sostiene il generale Khalifa Haftar, che si oppone al governo di Tripoli riconosciuto dalle Nazioni Unite. Mosca ha inviato forze speciali in una base egiziana vicino al confine libico. Il segretario alla Difesa del Regno Unito, Michael Fallon, ha recentemente messo in guardia la Russia dall’interferire in Libia, ma nel suo stesso Partito conservatore c’e’ chi la pensa diversamente: un gruppo di deputati Tory ha incontrato Haftar a Bengasi, un incontro organizzato da un think tank dell’ala destra, all’inizio di marzo, seguito da quello tra il generale e Peter Millett, l’ambasciatore britannico in Libia (con sede a Tunisi), sempre a Bengasi, che un portavoce del ministero degli Esteri ha definito positivo e parte di una piu’ ampia azione diplomatica per promuovere la stabilita’. La Russia non e’ l’unico paese straniero ad appoggiare Haftar, che gode anche del sostegno dell’Egitto e degli Emirati Arabi Uniti. L’Unione Europea vorrebbe un accordo tra l’esecutivo di Fayez al-Sarraj, che sostiene insieme all’Onu, e Haftar, che finora ha rifiutato. Cio’ implica un dialogo con Mosca. Riguardo alla Siria, invece, Johnson probabilmente porra’ la questione delle vittime civili degli attacchi aerei del regime di Damasco, aiutato dalla Russia. Londra, comunque, ha di fatto accantonato la richiesta che il presidente siriano, Bashar al Assad, venga deposto prima di un qualsiasi accordo di pace, uno dei punti di maggior contrasto con Mosca. La Gran Bretagna, infine, e’ stata tra i principali sostenitori dell’Ucraina, una voce chiave per la prosecuzione delle sanzioni contro la Russia; fornisce, inoltre, addestramento militare e consulenza anticorruzione. Ora, pero’, si attende di vedere quale posizione assumera’ Trump, dopo l’appoggio del presidente ucraino Petro Poroshenko a Hillary Clinton; al momento i rapporti tra Washington e Kiev non sono positivi.

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Il Parlamento europeo adotta la risoluzione sulla Brexit aprendo a un “accordo di associazione”

06 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – La premier del Regno Unito, Theresa May, riferisce il “Financial Times”, ha utilizzato la sua visita in Medio Oriente per ammorbidire la posizione sull’Unione Europea, ammettendo che alcune regole comunitarie potrebbero essere mantenute, almeno per un periodo, dopo l’uscita, nel 2019. La Gran Bretagna ha accettato l’idea di non poter concludere un accordo commerciale prima del divorzio e la necessita’ di una fase di transizione. Parlando a Riad, in Arabia Saudita, la prima ministra britannica ha dichiarato che “una volta concordata quale sara’ la nuova relazione per il futuro, sara’ necessario un periodo di tempo in cui le imprese e il governo si adeguino”. Nel frattempo a Strasburgo, il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione sui negoziati per la Brexit, aprendo la strada alla possibilita’ di un “accordo di associazione”, che implicherebbe la collaborazione su alcune politiche fiscali, commerciali e sociali, un’ipotesi che non piace a una parte dei Brexiter. La risoluzione non e’ vincolante, ma il Parlamento puo’ opporre un veto all’intesa negoziata in base all’articolo 50. Il dibattito parlamentare, a tratti aspro, si e’ concluso con l’adozione della risoluzione con 516 voti favorevoli e 133 contrari. Il testo prevede che fino all’uscita lo Stato membro uscente dovra’ rispettare tutti i suoi obblighi, finanziari e non, sottostare alla giurisdizione della Corte europea di giustizia, sostenere la politica commerciale comunitaria e non concludere accordi con altri paesi; soprattutto, prima della futura partnership, dovranno essere definite le condizioni di uscita. Il concetto e’ stato ribadito anche dal capo negoziatore della Commissione, Michel Barnier, che ha sottolineato che non si tratta di una scelta tattica ma logica. Riguardo agli oneri finanziari, ha detto che “saranno saldati i conti, ne’ piu’ ne’ meno”, rispondendo cosi’ a Nigel Farage, ex leader dell’Ukip, il Partito per l’indipendenza del Regno Unito, che aveva paragonato l’Ue a 27 alla “mafia” per la richiesta di denaro: “Pensate che siamo in ostaggio. Non lo siamo. Siamo liberi di andarcene”.

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Presidenziali Ecuador, l’opposizione raccoglie le prove di presunti brogli

06 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – La squadra di Guillermo Lasso, candidato sconfitto alle elezioni presidenziali in Ecuador, non si da’ per vinta. I ricorsi presentati alle autorita’ danno ancora la speranza che si possa rettificare l’esito delle elezioni che hanno decretato la vittoria del candidato della maggioranza, Lenin Moreno, con un margine molto ristretto di voti. Argomento forte delle opposizioni, e portato in questi giorni all’attenzione della stampa internazionale da Lasso, sarebbe soprattutto una anomalia registrata in una manciata di seggi (il 4,7 del totale). Se nella maggioranza delle urne si e’ registrato il quasi pareggio proiettato a livello nazionale, questo sparuto gruppo di seggi ha segnato la vittoria schiacciante del partito di maggioranza. Seggi posti in zone rurali e che secondo le opposizioni, presenterebbero risultati marcatamente diversi da quelli di collegi adiacenti. Nel frattempo Lenin Moreno, il vincitore, ha ribadito alla stampa internazionale il suo impegno nel portare avanti le politiche del presidente Rafael Correa, pur promettendo di impiegare il “suo stile”, di uomo dialogante e incline alla mediazione.

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Spagna: l’Eta depone tutte le armi e si interroga sul suo futuro

06 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – Sabato l’organizzazione terroristica dell’Eta consegnera’ le ultime armi in suo possesso, tappa finale del processo di pace iniziato nel 2011. Da quel momento in avanti si aprira’ la discussione sul futuro del gruppo che per decenni ha segnato la storia dell’indipendentismo del Paese Basco e della sicurezza in Spagna. Il dibattito durera’ diversi mesi, assicura il quotidiano “El Pais”, e non sara’ di facile gestione. Le opzioni in campo sono tre. Deposte le armi, l’Eta potrebbe comunque mantenere la sua natura di organizzazione socio-politica, ma la strada non e’ agevole. Fonti attendibili dell’universo “etarra” dicono che occorrerebbe uno statuto e un portavoce, istituti difficilmente compilabili nel momento in cui l’organizzazione e’ quasi disarticolata. Inoltre, mantenere attivo il profilo dell’Eta come “banda”, rappresenterebbe un problema per la sinistra “abertzale”, parte politica basca considerata tradizionalmente vicina all’Eta: se un tempo i terroristi indirizzavano la politica abertzale, ora e’ proprio quest’ultima a voler voltare chiudere definitivamente con la violenza e l’ombra di una organizzazione legata all’Eta sarebbe scomoda. La seconda ipotesi e’ quella di una dissoluzione silenziosa, che eviterebbe ai membri dell’Eta “l’umiliazione” di un riconoscimento pubblico della sconfitta. Ma senza questo passaggio, terza via di cui si discute, il governo del Partido popular non e’ disposto a concedere ai membri dell’Eta in carcere l’atteso cambio di regime penitenziario. Il processo durera’ mesi, anche per le distanze fisiche tra i membri dell’organizzazione nelle varie carceri, ma dovrebbe concludersi entro il 2017.

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Germania, fino a che punto deve spingersi la guerra informatica?

06 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – Il ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Leyen (Cdu), ha formalmente inaugurato ieri una nuova fase della Difesa nazionale: la Germania ha dotato le sue Forze armate di un comando informatico, cui spettera’ il compito di proteggere le altre Armi nazionali e il paese da attacchi informatici militari e, se necessario, di condurre a sua volta azioni offensive. Il commando e’ stato inaugurato a Bonn e andra’ ad affiancare Esercito, Aeronautica e Marina. A pieno regime, contera’ su 13.500 specialisti militari e 1.500 civili. L’organico sara’ completato entro il 2021. Al momento, il comando puo’ contare su soli 260 uomini, e quella del reclutamento e’ una sfida complicata. Il comando e’ stato dotato di un centro ad hoc a Euskirchen, vicino Colonia. Anche la definizione delle funzioni e’ difficile, e non ha mancato di generare attriti con le altre Armi: il rappresentante militare Hans-Peter Bartels (Spd) ha criticato il dispendio di mezzi e risorse necessari a istituire il nuovo centro, che rischia di “cannibalizzare” il resto delle Fa, che continuano ad avere bisogno dei loro esperti informatici. Il capo del Cybercommando, il generale Ludwig Leinhos, ha dichiarato ieri che nelle prime 9 settimane del 2017 le Forze armate tedesche sono state bersaglio di ben 284 mila attacchi informatici. L’esperto di sicurezza informatica Andreas Koenen, del ministero dell’Interno tedesco, e’ tornato invece a lanciare l’allarme per la vulnerabilita’ delle infrastrutture strategiche del paese, a partire dalla rete di distribuzione energetica. Sia il ministero della Difesa che quello dell’Interno premono per apportare modifiche al quadro giuridico nazionale, in modo da consentire attacchi informatici preventivi, monitorando i canali di comunicazione del nemico e distruggendo e bloccando i loro sistemi. Ad oggi qualunque genere di operazione offensiva, anche informatica, necessita del consenso esplicito del Bundestag e di un mandato giuridico.

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Francia, a destra e sinistra tutti uniti per nazionalizzare i cantieri di Saint Nazaire

06 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – Chi avrebbe mai immaginato una simile unanimita’ sui cantieri navali Stx di Saint Nazaire? Se lo chiede il quotidiano francese “Le Monde” registrando con un qualche stupore che la proposta di “nazionalizzazione temporanea” avanzata dal candidato presidenziale socialista Francois Hamon, e pensata come una “proposta di sinistra” per distinguersi nel corso del dibattito pre-elettorale in tv la sera di martedi’ 4 aprile, ha invece raccolto l’immediato sostegno di quasi tutti gli altri 11 candidati presenti sull’affollato palco televisivo. D’accordo si e’ detto il candidato di centro-destra Francois Fillon, convinto dal suo “braccio destro” Bruno Retailleau ad accettare su questo punto un’eccezione alla sua dottrina liberista: Retailleau, che e’ presidente del Consiglio regionale dei Pays de la Loire, sin dall’inizio si e’ mostrato assai diffidente nei confronti di Fincantieri, la societa’ italiana scelta dal tribunale di Seul come acquirente dei cantieri di Saint Nazaire nel quadro della procedura fallimentare della casa-madre sudcoreana STX; come gran parte degli amministratori locali ed i sindacati, teme un trasferimento del know-how francese all’estero, e particolarmente in Cina dove Fincantieri ha creato una joint-venture, nonche’ il rischio che in caso di riduzione dell’attivita’ in futuro l’azienda italiana privilegi i suoi cantieri nella Penisola a detrimento di quelli francesi. Anche Fillon dunque + d’accordo sul fatto che la societa’ di Trieste dovrebbe accontentarsi di una quota di minoranza nel capitale di Stx France; e se rifiutasse, sull’idea che ad intervenire sia lo Stato francese, che gia’ possiede il 33 per cento, utilizzando il suo diritto di prelazione sul restante 65 del capitale. Sarebbe questa la famosa “nazionalizzazione temporanea”, finalizzata ad aprire un tavolo di trattative con nuovi possibili acquirenti, come ad esempio le compagnie crocieristiche che gia’ hanno riempito il carnet degli ordini dei cantieri di Saint Nazaire. Il consenso su questa soluzione vede schierati anche la presidente del Front national di estrema destra Marine Le Pen, il leader dell’estrema sinistra Jean-Luc Me’lenchon, il candidato “sovranista” Nicolas Dupont-Aignan e persino quello “ultra-gollista” Jacques Cheminade. Paradossalmente, nota il “Monde”, le riserve sul piano di “nazionalizzazione temporanea” vengono invece dal governo francese: per la Francia infatti il costo maggiore di una tale soluzione non sarebbe tanto finanziario quanto politico, su piano internazionale. Come potrebbe la Francia giustificare l’altola’ opposto ad un investimento italiano quando tante societa’ francesi fanno shopping in Italia? A quale titolo opporsi alla creazione di un “campione europeo” delle costruzioni navali vantato dal governo di Roma? Aldila’ della campagna elettorale, restano tutti i dubbi sulla sorte dei cantieri di Saint Nazaire.

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Francia, Marion Mare’chal-Le Pen lascia davvero il Fn o e’ un bluff?

06 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – Marion Mare’chal-Le Pen sta seriamente pensando di non ripresentarsi alle elezioni parlamentari che nel giugno prossimo in Francia faranno seguito allo scrutinio presidenziale: l’anticipazione del settimanale satirico “Le Canard Enchaine'” in edicola ieri mercoledi’ 5 aprile e’ stata ampiamente ripresa dal quotidiano di sinistra “Libe’ration”, che oggi giovedi’ 6 dedica un lungo articolo di inchiesta e di analisi al possibile abbandono della politica attiva da parte della giovanissima nuora della leader del Front national (Fn) Marine Le Pen. Il paventato divorzio nell’estrema destra francese sarebbe dunque dovuto alla sostanziale emarginazione di Marion Mare’chal-Le Pen dai vertici del Fn, al profondo dissenso con la linea “moderata” portata avanti dal “numero due” del partito Florian Philippot e dalla freddezza nei suoi confronti ostentata dalla presidente Marine Le Pen. Secondo “Liberation”, la rinuncia a ripresentarsi in Parlamento dopo l’elezione del 2012 in Provenza come la piu’ giovane deputata nella storia francese ed con una maggioranza trionfale, sarebbe un colpo estremamente dannoso per il Fn: Marion Mare’chal-Le Pen infatti e’ popolarissima tra i militanti di base, perche’ “parla chiaro” su quei temi etici che sono al centro dei valori fondanti del partito. Un parlar chiaro che e’ invece proprio la ragione della sua emarginazione: il duo Marine Le Pen-Florian Philippot, infatti, su questi temi negli ultimi due anni ha preferito ammorbidire i toni, o addirittura ribaltarli, nel quadro di una strategia politica che punta a disinnescare la “demonizzazione” del Fn allo scopo di conquistare il voto di elettori della destra moderata, del centro e persino della sinistra, con l’obbiettivo di vincere il primo turno delle elezioni presidenziali del 23 aprile e poi il secondo turno di ballottaggio del 9 maggio prossimo. L’abbandono di Marion Mare’chal-Le Pen, che per il “Canard Enchaine'” vorrebbe passare al settore privato, indebolirebbe proprio quella strategia: secondo “Libe’ration”, infatti, esso indebolirebbe la capacita’ rivendicata da Marine Le Pen di federare attorno a se’ le diverse sensibilita’ non solo della destra, ma di tutti i francesi. Ammenoche’, sospetta il quotidiano di sinistra, la notizia non sia stata fatta filtrare intenzionalmente dalla giovane deputata della Provenza: insomma, potrebbe essere un bluff per pesare di piu’ nel partito.

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Germania, l’ex ad di Linde sospettato insider trading

06 apr 11:08 – (Agenzia Nova) – Wolfgang Reitzle, presidente del consiglio della multinazionale dei gas tecnici Linde, quotata al Dax di Monaco, e’ sospettato di insider trading. Reitzle aveva guidato l’azienda nella veste di amministratore delegato dal 2002 al 2014. Da presidente del consiglio di sorveglianza, quasi un anno fa, era tornato a Monaco di Baviera e aveva acquistato un pacchetto importante di azioni dell’azienda. Poco dopo, nel mese di agosto, si e’ saputo che lo stesso Reitzle aveva negoziato la fusione di Linde con la statunitense Praxair: un affare che era parso tramontare per l’opposizione dei dipendenti, ma che nelle ultime settimane e’ parso tornare in auge. Pertanto L’autorita’ di vigilanza finanziaria BaFin ha avviato un’indagine formale sull’operazione nel mese di gennaio, con l’accusa di insider trading. L’indagine e’ stata completata, e i risultati sono stati passati alla divisione criminale economica dell’ufficio del procuratore pubblico a Monaco di Baviera. Quando i dipendenti si erano opposti alla fusione, che darebbe vita al piu’ grande gruppo mondiale nel settore del gas industriale, Reitzle si era detto deciso a utilizzare il proprio potere di voto doppio per forzare la conclusione dell’affare. Se quest’ultimo andasse in porto, proprio Reitzle diverrebbe presidente del gruppo, con un incarico paragonabile a quello di capo del Consiglio di vigilanza nelle aziende tedesche, mentre Steve Angelo diverrebbe ad dell’azienda negli Stati Uniti.

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