il dibattito

Smartphone in classe. Manca la precisazione scientifica e didattica per l’utilizzo

di Gianni Paciariello - Dirigente scolastico dell'Istituto 'G. Sommeiller' di Torino |

Le politiche educative e scolastiche non possono certamente ignorare le nuove tecnologie digitali, ma ogni proposta in merito deve essere preceduta da un’approfondita analisi scientifica, e da una seria valutazione di impatto.

Le politiche sociali ed educative richiedono per il loro successo una ben chiara e precisa vision di lungo periodo, accompagnata da un approccio operativo globale ed integrato al problema, che deve sostanziarsi su una attenta analisi dei dati di contesto, a cui far seguire l’individuazione delle “emergenze educative” e delle priorità.

Se si ritiene che l’approccio sopra descritto sia di “buon senso”, ne consegue, a livello di metodo, che quanto recentemente dichiarato dalla Ministra del MIUR Valeria Fedeli in tema di utilizzo degli smartphone non può che essere qualificato come una semplice e decontestualizzata affermazione, però a rilevante impatto mediatico.

Ciò è grave, perché aggiunge ulteriore “confusione” al Mondo della Scuola, un ambito di primaria importanza per il ben-essere dei cittadini e lo sviluppo economico, sociale, e civile del Paese.

Un esperto di politiche educative e scolastiche, parafrasando i sociologi Weik e Bauman, definì profeticamente, in un Convegno a cui partecipai qualche anno orsono, la Scuola come “un’organizzazione a legami deboli in una Società liquida”; non ho mai più udito o letto un’ affermazione più sintetica e nello stesso tempo esaustiva dei problemi di fondo della scuola italiana.

E’ pertanto necessario ridare “Identità” e “Valore” al Mondo della Scuola, ma ciò può essere fatto solo partendo da una seria riflessione scientifica, pedagogica, e politica sulla stessa.

La Scuola italiana stupisce per i dati statistici che presenta, qualificabili, in apparenza, di “manifesta illogicità”: ad esempio ha il migliore rapporto studenti/docenti dell’Unione Europea (circa 10/1), ma non brilla nei risultati OCSE-PISA; parallelamente la spesa per l’istruzione dal 2008 al 2013 è diminuita del 14%, però sempre i dati OCSE-PISA, nel 2015 hanno evidenziato un miglioramento delle competenze degli studenti, rispetto alle precedenti rilevazioni.

Sullo sfondo alcuni dati:

  • circa il 45% dei minori di età compresa tra i 6 e i 17 anni non ha l’abitudine di leggere libri;
  • il tasso di dispersione scolastica della scuola italiana è del 17%; ogni anno circa 60.000 studenti del primo anno di istruzione secondaria superiore “sparisce” dal Mondo della Scuola;
  • sono circa 3.000.000 gli studenti che negli ultimi cinque anni hanno iniziato, ma non concluso un percorso di scuola media superiore, con un conseguente spreco di risorse stimato in circa 40 miliardi di euro;
  • sono circa 2.000.000 i NEET in Italia, ossia i giovani di età compresa tra i 15 e 24 anni che non si istruiscono, non si formano professionalmente, e non lavorano, con una spreco di risorse stimabile in circa 35 miliardi di euro;
  • il 60% delle strutture educative del Paese non gode di tutti gli standard previsti dagli indicatori OCSE-PISA;
  • il corpo docente italiano è il più anziano dell’Unione Europea, con un’età media dei docenti superiore ai 50 anni;
  • il Paese vive un grave calo demografico (il tasso di fertilità è di 1,3), che non potrà non avere conseguenze “epocali” sul sistema scolastico nazionale.

Tanto si è esposto, semplicemente per sostanziare l’affermazione che le politiche educative e scolastiche non possono certamente ignorare le nuove tecnologie digitali, che possono costituire un positivo supporto didattico, ma che ogni proposta in merito deve essere necessariamente preceduta da un’approfondita analisi scientifica, e da una seria valutazione di impatto.

Pertanto in merito alla dichiarazione della Ministra sarebbe certamente urgente, utile e gradita una precisazione scientifica e didattica a sostegno della sua proposta, inquadrata in una strategia globale rispetto a quanto sopra esposto, che purtroppo rappresenta solo una parte dell’”emergenza educativa e formativa”, che sta attraversando il Paese.