L'indagine

Smart working per 2,2 milioni di dipendenti in Italia. Il covid-19 ferma il 66% delle imprese

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Indagine dell’Ordine dei Consulenti del lavoro sull’impatto del coronavirus su aziende e lavoratori nel nostro Paese. Sospese attività imprenditoriali nel 65,5% dei casi al Nord, 66,6% al Centro e 64,9% al Sud. In questo momento non lavorano 8.434.000 addetti.

A seguito dell’epidemia di covid-19 e del blocco delle attività lavorative non necessarie, previsto dai DPCM 11 e 22 marzo (e successive modifiche), unitamente alla chiusura volontaria di altre, ha portato allo stop forzato del 65,9% delle imprese presenti in Italia.

Nello specifico, secondo i dati raccolti da Nord a Sud, la sospensione delle attività imprenditoriali ha toccato il 65,5% al Nord, il 66,6% al Centro e il 64,9% al Sud.

È quanto emerso dall’indagine condotta, tra il 23 e 25 marzo 2020, tra gli iscritti all’Ordine dei Consulenti del Lavoro, con l’obiettivo di valutare l’impatto dell’emergenza coronavirus coronavirus su imprese e lavoratori.

I dati dell’indagine “Emergenza Covid-19: l’impatto su aziende e lavoratori secondo i Consulenti del Lavoro”.

Un impatto è bene dirlo “enorme e senza precedenti”, che riguarda l’intero tessuto produttivo italiano. Secondo le stime fornite da più di 4.463 Consulenti del Lavoro sparsi in tutta Italia, il 65,8% dei dipendenti (si stima circa 8.434.000 addetti) in questo momento non lavora.

Il restante 34,2% (4 milioni 384 mila lavoratori dipendenti), invece, continua a lavorare, nel 17,2% dei casi principalmente o esclusivamente da casa in smart working (2.205.000 dipendenti), in un altro 17% in sede (2.179.000 dipendenti).

Purtroppo, secondo l’indagine, l’impatto dell’epidemia sulle imprese potrebbe anche portare alla chiusura definitiva di molte di queste: “Il blocco produttivo causato dall’emergenza si è manifestato in un tessuto già fortemente affaticato – si legge nel commento ai dati – dove iniziava a farsi strada un nuovo rischio recessione”.

La maggioranza dei Consulenti (40,9%), infatti, stima che il rischio di “chiusura definitiva” potrebbe riguardare tra il 10 e 20% delle attività, mentre il 18,6% pensa che l’emorragia del sistema potrà essere contenuta entro il 10%. Il restante 40,5%, però, reputa che l’impatto possa essere in prospettiva elevatissimo, con più del 20% delle attività costrette a chiudere definitivamente.