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Smart working, il 60% vuole continuare anche dopo il lockdown. Ma sulle donne pesa di più

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Donne meno convinte e uomini più propensi a proseguire con lo smart working anche dopo la fine del lockdown. Ma servono competenze specifiche.

Il 60% delle persone vuole continuare con lo smart working anche dopo la fine dell’emergenza virus, ma per la stragrande maggioranza servono delle competenze specifiche che forse per mancanza di tempo non sono state impartite. Lo smart working è molto più pesante per le donne che per gli uomini, perché con la permanenza in casa aumentano per le mamme che lavorano i carichi di lavoro sul fronte famigliare, visto che i figli e i mariti a casa si aspettano da loro una serie di cose (pranzo, compiti, appoggio emotivo, spesa ecc) che almeno quando lavorano gli vengono risparmiate. Questi in sintesi alcuni dei principali risultati dell’indagine ‘Quando lavorare da casa è… SMART?’, la prima Indagine Cgil/Fondazione Di Vittorio sullo Smart working (scarica il documento in PDF), questionario online diffuso a partire dal 20 aprile e chiuso il 9 maggio, contenente 53 domande articolate in quattro aree di ricerca: (1) socio-anagrafica (che rileva alcuni aspetti individuali e dell’abitare), (2) smartworking (che rileva modalità di attivazione, aspetti organizzativi, informativi, condizioni e strumenti, competenze e aspetti individuali), (3) cura (di sé, della casa, di altri), (4) percezioni e atteggiamenti (paure, rischi, opportunità). L’indagine ha coinvolto più di seimila persone.

Il 66% di chi ha partecipato lavora nel settore privato, il 34% nel pubblico.

Lo smart working non è semplice home working

“Quello che abbiamo vissuto in questo periodo di lockdown non è smart working ma home working – ha detto a Key4biz Esmeralda Rizzi, dell’Ufficio politiche di genere della Cgil nazionale – perché è stata una decisione unilaterale del Governo quella di promuovere il lavoro da casa a partire dall’inizio del lockdown”.

Ed è così che 8 milioni di persone si sono trovate a casa da un giorno all’altro, a causa dell’emergenza, senza alcuna preparazione.

Lo smart working vero e proprio è normato all’interno sul Jobs Act legge n.81 del 2017 e prevede invece che sia frutto di un accordo fra le parti, al di là dell’emergenza Covid-19. “La legge che istituisce lo smart working si dava come obiettivo l’aumento della produttività e della conciliazione fra tempi di vita e di lavoro” ed era destinata principalmente alle donne, come mezzo per facilitare loro la vita dopo la maternità.

Ma lo smart working rischia ora, dopo la sua diffusione di massa, di diventare uno strumento di discriminazione se verrà imposto dal datore di lavoro senza una contrattazione, che va mediata peraltro da una terza parte incarnata dal sindacato, visto che in fase di trattativa il singolo lavoratore è molto più debole del datore di lavoro. Ed è appunto questa la richiesta avanzata dalla Cgil al Governo, quella di normare lo smart working per evitare il rischio di discriminazioni nei confronti dei lavoratori che si trovano a casa.

In generale, dall’indagine condotta online è emerso che la formula ideale dello smart working è l’alternanza fra casa e ufficio: per il campione interpellato, non si deve perdere il contatto con il luogo di lavoro e con i colleghi e quindi la formula ideale sarebbe di alternare giornate di lavoro a casa e al lavoro.

I numeri

Prima dell’emergenza Covid, in Italia, lavoravano da remoto circa 500mila persone. In queste settimane di lockdown si stimano siano state più di 8 milioni.

Smart working, quando e come

• L’82% ha cominciato a lavorare da casa con l’emergenza, di questi il 31,5% avrebbe desiderato farlo anche prima. Si registra una prevalenza delle donne nell’aver cominciato con le disposizioni di contenimento (+10% rispetto agli uomini) e una prevalenza del settore pubblico (+15% rispetto al privato), senza averlo desiderato.

• Il 18% ha cominciato prima, 8% per scelta personale (soprattutto gli uomini +5% rispetto alle donne) e nel settore privato (+4% rispetto al pubblico); per scelta del datore 5%; per esigenze di conciliazione 5%. Una leggera prevalenza dell’inizio per scelta nei titoli di studio più alti (+3% rispetto a quelli più bassi). • Nel 37% dei casi è stato attivato in modo concordato con il datore di lavoro

• Nel 36% dei casi in modo unilaterale dal datore di lavoro

• Nel 27% dei casi in modo negoziato attraverso intervento del sindacato

Smart working all’epoca del Covid, in pratica Home working!

La stragrande maggioranza di chi ha risposto al questionario è “precipitato” nel lavoro SMART in corrispondenza dell’avvio delle misure di contenimento del virus. Non c’è stata, molto probabilmente per ragioni di gestione dei tempi, in emergenza, una riflessione sull’organizzazione del lavoro, sugli spazi, sul lavorare per obiettivi, in gruppo, né un’adeguata preparazione. Un vuoto che ha condizionato la percezione complessiva del lavoro da casa. Infatti:

Competenze. La quasi totalità di chi ha partecipato al questionario ritiene che per lavorare da casa occorrano competenze specifiche. Nella maggior parte dei casi tali competenze erano già sviluppate, come ad esempio l’uso di strumenti e tecnologie informatiche: il 69% le aveva già ma il 31% non ne era in possesso. O per usare piattaforme/software per il lavoro a distanza, per organizzare il proprio lavoro, per relazionarsi con colleghi e responsabili. Per gestire lo stress.

Poca attenzione al diritto alla disconnessione

Secondo l’indagine, nel lavorare da casa si presta poca o nessuna attenzione al diritto alla disconnessione (56%) (un tema delicato come sottolinea anche il Garante Privacy), al controllo a distanza (55% + le donne). Si presta invece abbastanza o molta attenzione al ricircolo d’aria (85%), alla tutela della privacy (73%, + le donne), alla correttezza della postazione di lavoro (66%, + gli uomini), alle pause di lavoro (54%, + gli uomini).

Tecnologie. È diffuso il possesso del PC prevalentemente fornito dall’azienda per gli uomini e personale e/o in condivisione con altri in casa per le donne, dello smartphone e delle cuffie. Meno diffusi tablet, e stampanti (di più tra gli uomini che tra le donne)

Quello sperimentato durante l’emergenza non è lo Smart working ex Legge n.81/2017, una modalità di lavoro senza vincoli spazio temporali ma organizzata per fasi, cicli e obiettivi, né Telelavoro, più rigido soprattutto su luoghi della prestazione e orari, ma nella maggior parte dei casi il mero trasferimento a casa dell’attività svolta fino a qualche giorno prima in ufficio. Un HOME WORKING in pratica, come dimostrano i dati sulla percezione del cambiamento.

Lavoro non cambiato per il 45% del campione

Nel 45% dei casi infatti il lavoro è percepito come non cambiato, nel 32% cambiato solo parzialmente. Appare cambiato appena nel 23% dei casi. Ad incidere sulla percezione o meno del cambiamento giocano un ruolo importante alcuni fattori: il rapporto con il diretto responsabile/capo, i carichi di lavoro, la diffusione dello Smart Working nell’azienda in cui si lavora, le condizioni logistiche-tecnologiche-organizzative del lavoro da casa.

• Il lavoro è cambiato laddove il rapporto con il diretto responsabile per l’organizzazione del lavoro è diventato più complicato (+15% rispetto a chi non percepisce alcun cambiamento, +11% rispetto a chi percepisce un cambiamento parziale).

• Il lavoro è cambiato soprattutto laddove sono aumentati i carichi di lavoro (+23% rispetto a chi afferma che il lavoro non è cambiato, +17% rispetto a chi afferma che è cambiato solo parzialmente).

• Il lavoro non è cambiato se nella medesima azienda tutte o quasi tutte le persone hanno iniziato a lavorare da casa.

Smart working anche dopo l’emergenza?

Non si può rispondere con un semplice sì o no. Con un se tutt’al più. E con uno sguardo alle differenze di genere. Infatti per le donne, questa modalità di lavoro è meno indifferente e soprattutto più pesante, complicata, alienante e stressante. A differenza degli uomini per i quali, oltre ad essere più stimolante e soddisfacente, è maggiore l’indifferenza rispetto al lavoro tradizionale.

Il 94% delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno risposto al questionario sono d’accordo sul fatto che lo Smart Working faccia risparmiare tempi di pendolarismo casa-lavoro, consenta flessibilità nel lavoro, renda efficace il lavoro per obiettivi , permetta il bilanciamento tempi di lavoro, cura e libero, consenta di stare al passo con i cambiamenti in atto 58% (+6% uomini), riduca lo stress lavoro-correlato 55%, consente di organizzare al meglio i diversi aspetti della vita e di avere tempo per la cura della casa e dei cari e avere tempo per sé.

Dello Smart working fa paura il fatto di avere meno occasioni di confronto e di scambio con i colleghi, l’aumento dei carichi familiari 71%.

Complessivamente il 60% degli intervistati vorrebbe proseguire l’esperienza di smart working anche dopo l’emergenza, il 22% no, resta una quota di indecisi. Da rilevare che anche tra i favorevoli e i contrari si reitera quella differenza di genere che vede le donne meno convinte e gli uomini più propensi.