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Smart city, 200 progetti pilota in Cina tra orti urbani e Internet of Things

Per il terzo anno consecutivo le grandi città cinesi sono risultate tra le più inquinate al mondo. Il livello di PM 2,5 ha raggiunto la soglia di 1000 microgrammi per metro cubo, contro il limite di 10 fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

Il PM 2,5 è un particolato molto fine ed è in grado di penetrare profondamente nei polmoni, specie durante la respirazione dalla bocca. Si stima che questo particolato rappresenti tra il 50% ed il 60% del totale del ben più noto PM 10.

La salute dei cittadini è pesantemente messa in pericolo (secondo uno studio della Nanjing University oltre 3,3 milioni di morti in 75 città monitorate nel 2013, tra ictus, tumori e malattie cardiache, il peggior dato al mondo) e la stessa economia risente della totale insostenibilità di questo modello di sviluppo, vecchio e troppo sbilanciato sui combustibili fossili, con continui interventi da parte delle amministrazioni pubbliche, con aumento dei costi e il blocco del traffico automobilistico e aereo, soprattutto per la densa nebbia di smog che ha avvolto molte delle città del Nord Est del Paese.

In un altro studio condotto dall’americano Massachusetts Institute of Technology, dalle Università cinesi di Tsinghua e Peking, con la collaborazione della Hebrew University di Gerusalemme, si conclude che la pessima qualità dell’aria respirata in città è così nociva da accorciare la vita media dei cinesi di quasi 6 anni.

Vale la pena ricordare che in Europa muoiono ogni anni quasi mezzo milione di cittadini a causa dell’aria avvelenata dalle emissioni nocive degli impianti di riscaldamento e delle automobili che ancora ci ostiniamo ad utilizzare per spostarci.

Nonostante la diffusione dei dati sui drammatici effetti dell’inquinamento sull’uomo e sull’ambiente, colpisce la scarsa sensibilità sul tema dimostrata dai cittadini dei Paesi europei e del Nord America, che conoscono il fenomeno, ma tardano a cambiare i propri modelli di comportamento.

A riguardo, in un’intervista all’Independent, il professor Frank Kelly del King’s College London ha affermato che la pessima qualità dell’aria che si respira nelle città dell’Europa e degli Stati Uniti “è 27 volte più tossica di quella dei centri urbani cinesi.

Il risultato è frutto di un modello previsionale che stima la mortalità aumentare del 6% ogni 10 microgrammi di particolato in più rispetto il limite stabilito dall’Oms.

Un inquinamento diffuso e persistente che non riguarda solo l’aria cittadina che respiriamo, ma anche le risorse idriche e la terra: “Si calcola che un quinto della terra coltivabile sia pesantemente inquinata, con conseguenze davvero difficili da stimare per quanto riguarda la sicurezza dei prodotti agricoli e la salute degli animali negli allevamenti”.

Le cause di questo disastro ambientale sono da rintracciarsi specificatamente nell’estrazione e l’utilizzo del carbone e nell’eccessivo traffico automobilistico privato (si stima che ogni giorno tra Pechino e Shanghai si riversano in strada oltre 20 milioni di veicoli). Per questi motivi il Governo di Pechino ha stabilito nuove priorità per l’economia nazionale, con piani di investimenti di quasi 100 miliardi di dollari in mobilità elettrica e trasporti ferroviari.

Un altro problema grosso per la Cina è la crescita incontrollata del fenomeno di inurbamento, con la costruzione di altri due grandi agglomerati urbani che dovrebbero attirare più di 100 milioni di abitanti. Ben 13 su 14 megalopoli nel mondo saranno situate in Cina entro il 2030.

Oggi Shanghai conta 24 milioni di abitanti, praticamente più persone che tutta l’Australia messa assieme.

L’anno scorso è stato lanciato il 13° Piano quinquennale finalizzato a delineare gli obiettivi di crescita e quindi di sostenibilità ambientale da raggiungere per il 2021. Al suo interno, infatti, per la prima volta si faceva esplicito riferimento alle tematiche ambientali e dei cambiamenti climatici. È stato fissato come obiettivo strategico la riduzione del 18% delle giornate in città con superamento dei livelli di PM 2.5, mentre si sta prendendo in considerazione la possibilità di obbligare l’industria dell’acciaio e l’alluminio (e quella dei fertilizzanti) a tagliare drasticamente le emissioni di CO2.

Al momento sono stati lanciati 200 progetti pilota smart city con lo scopo di trasformare le città in ambienti più sani e tecnologicamente avanzati, con una migliore qualità della vita per i cittadini e i viaggiatori, più aree verdi, l’impiego di mezzi alimentati con carburanti considerati a basso impatto ambientale (idrogeno, metano, energia elettrica) per la mobilità sostenibile e alternativa (a piedi e in bicicletta) .

Uno di questi è in corso d’opera nel futuro centro urbano di Meixi City, nella provincia di Hunan, uno dei più rilevanti progetti di green development urbano con l’impiego di soluzioni Internet of Things (oggetti intelligenti interconnessi tra cui smart bins e sensori per vari utilizzi, hot spot multiservizi, hardware per semafori e parcheggi intelligenti, l’uso diffuso di applicazioni mobili e molto altro).

La smart city in questione, per un massimo di 200 mila persone, sarà suddivisa in quartieri abitati da non più di 10 mila cittadini e alternati ad aree verdi attrezzate e orti urbani. L’energia sarà gestita e distribuita attraverso le smart grid (che prevede l’integrazione delle fonti energetiche rinnovabili) e anche le risorse idriche saranno gestite in maniera efficiente, sfruttando le soluzioni di riciclo e riuso offerte dagli odierni smart water systems.

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