Rivoluzione digitale

Sinodo della famiglia: la Chiesa ‘sconvolta’ dal paradigma del network

di Michele Mezza, autore crossmediale |

In occasione del Sinodo della famiglia, i vertici della Chiesa hanno abbracciato per la prima volta il metodo orizzontale della rete, procedendo ad una consultazione di massa sui temi nevralgici della famiglia e della sessualità.

Dal versante meno prevedibile arriva la più spettacolare dimostrazione di come la rete non sia un feticcio, né un prodigio, ma solo un linguaggio che  profila le figure sociali che la praticano esattamente come fu la fabbrica nel secolo scorso.

Il conflitto che sta deflagrando al centro della Chiesa cattolica guidata da Papa Francesco sta sbigottendo il mondo. Il Sinodo sulla famiglia, che si è chiuso domenica, segna forse la prima ed unica (al momento) occasione di un conflitto politico culturale, indotto dall’irruzione della comunicazione a rete in una grande comunità  di pensiero e di attività, quale è la Chiesa.

Sembra davvero stupefacente che i circuiti della comunicazione, a cominciare dai languidi Talk Show televisivi in crisi di astinenza da conflitto, non abbiano ancora registrato e  trovato il modo di raccontare questo passaggio epocale.

E’ segno che ormai il sorpasso da parte degli utenti della comunicazione rispetto ai mediatori è largamente consumato.

Personalmente non sono un esperto di cose cattoliche e tanto meno un attento osservatore dei movimenti che modificano equilibri e senso comune del Vaticano.

Ma, come semplice giornalista, come addetto alla fabbrica della comunicazione, registro uno scossone potente.

 

Il paradigma del network

Già nel luglio scorso, quando fu annunciata la convocazione del Sinodo,  notai una straordinaria novità, di metodo, dunque di merito: il vertice della chiesa. Per la prima volta uno dei poteri più verticali del pianeta per sua stessa definizione (su questa pietra edificherai in nome mio ecc. ecc.) si apriva ad una logica orizzontale da networking, procedendo ad una consultazione di massa sui temi nevralgici della famiglia e della sessualità, in tutta la galassia cattolica.

Papa Francesco sembrava adottare il cosiddetto paradigma Arguilla, dal nome del teorico militare americano che lo ha elaborato, che recita così: “Per battere un network bisogna farsi network”.

 

L’ascolto della community

Il primato del Pontefice si apriva ad una condivisione su temi fondamentali della dottrina con il senso comune dell’intera comunità. Si trattava di una scelta che faceva facilmente prevedere scosse sismiche squassanti. E così è stato.

I circa duecento vescovi chiamati a Roma a discutere nel Sinodo si sono trovati  di fatto  incalzati e insidiati nel loro primato teologico da quanto era affiorato nella consultazione capillare. Non solo, ma il Papa decideva anche di procedere per condivisioni interne successive più che per  rivelazioni  contrattate, e dava al Sinodo un carattere processuale, di una discussione a focus, 10 circoli di confronto, che si sarebbe prolungata oltre i lavori dell’istituzione vescovile, abbracciando nell’anno successivo un ampio dibattito che avrebbe raccolto il senso comune dei fedeli. Solo fra un anno, dopo l’immersione nel Popolo di Dio, si tireranno le conclusioni che saranno verità di fede.

 

Metodo eversivo

 

Vi rendete conto che il metodo, per molti versi, è di gran lunga più eversivo del merito del dibattito. Certo che i nodi del riconoscimento nella famiglia cattolica delle forme di relazioni gay, o fra divorziati, aprono squarci nei dogmi secolari. Ma ancora più dirompente è una procedura che ineluttabilmente smantella gerarchie e poteri, ridisegnando modalità del tutto nuove nella gestione e mediazione del messaggio cristiano.

Il conflitto divampato in questi giorni, per le forme spettacolari che ha assunto e soprattutto per l’assoluta trasparenza a cui ha dovuto piegarsi, dimostra che si sta giocando una partita campale.

La strategia di Papa Francesco  riprende per altro un filo che viene da molto lontano, e che forse era rimasto sospeso. Penso all’intuizione di 50 anni fa di Papa Giovanni XXIII, di indire il Concilio Vaticano II come scelta per ritrovare, disse all’apertura del concilio il papa, una “corrispondenza più perfetta all’autentica dottrina, anche questa però studiata ed esposta attraverso le forme dell’indagine e della formulazione letteraria del mondo moderno”.

La letteratura del mondo è la rete

La letteratura del mondo moderno oggi è la rete, e l’ascolto ne è la sua grammatica. In questo contesto appaiono forse più risibili le incertezze e le domande che solitamente circolano nei consessi sulla comunicazione: ma davvero è questo il nuovo alfabeto? Ma davvero il partito dovrà essere ripensato? Sarà mai possibile una democrazia senza la centralità dei mediatori? Ma la Tv generalista potrà mai essere sostituita? Quali sono le forme di giornalismo che potranno mai assicurare l’autorevolezza dei professionisti?

Temi che diventano patetiche resistenze corporative quando si osserva che una delle comunità più solenni, come appunto la chiesa cattolica, cerca proprio nei nuovi linguaggi condivisi la strada per dare forza e attualità al messaggio divino.

Una forza che vuole mantenersi libera ed autonoma rispetto anche alle suggestioni delle culture più moderne. Pensiamo al tema della riprogrammazione della vita, o delle nuove forme di avere figli, o le nuove configurazioni del nucleo famigliare. Sono temi colossali  che si intrecciano direttamente con le forme di relazioni digitali. Il papa per riconquistare un protagonismo sovrano sceglie quella che cardinal Kasper ha battezzato la teologia dell’ascolto.

La rete può essere appaltata a Stati e algoritmi?

Credo che siamo solo all’inizio di una straordinaria nuova e sorprendente  storia umana. E chi si occupa di comunicazione farebbe bene a seguirla, da molto vicino. Lo stesso dibattito sulla rete partito in questi giorni sulla scia della nuova commissione parlamentare presieduta dal professor Stefano Rodotà, costituita dalla presidenza della Camera dovrebbe decifrarne la lezione: se la rete è strumento e linguaggio di una rivisitazione di principi primari della convivenza può essere appaltata agli stati? E ancora, potrà mai essere guidata da algoritmi privati e speculativi? E non sono questi nuovi irruenti poteri di linguaggi detenuti dai grandi imperi del software la vera minaccia da normare invece di predicare ormai banali diritti di accesso  ad un nuovo mercato?

Chi si occupa invece di politica e di diritti dovrebbe  concentrarsi su questo Sinodo e pensarne uno proprio, condiviso e deliberativo.