l'analisi

Silicon Valley Bank. Banche digitali, distorsioni social e instabilità finanziaria

di Maurizio Baravelli, Università di Roma “La Sapienza” e Luciano Pilotti, Università di Milano |

Per capire l’Internet Bank Run di queste settimane, occorre considerare che la reingegnerizzazione della banca tradizionale non ha considerato come siano cambiati non solo gli aspetti organizzativi, ma anche i modelli di business quale conseguenza dei nuovi comportamenti della clientela e dei mutamenti del contesto sociale.

Nei recenti default negli Stati Uniti di Silicon Valley Bank (SVB) e Signature Bank e in Europa di Credit Suisse, la combinazione tra Internet banking e social media si è rivelato un cocktail fatale in un contesto che ha reso più fragili modelli di business in apparenza sostenibili, ma comunque con alti rischi impliciti. Infatti si è determinata una fulminea crisi di liquidità per il ritiro in massa dei depositi, situazioni di panico con la fuga dei clienti e conseguente vendita delle azioni delle banche in difficoltà sancendo così il loro definitivo collasso.

Se una nuova crisi sistemica è stata evitata grazie al pronto intervento delle banche centrali e delle autorità di vigilanza, restano interessanti interrogativi sul futuro della stabilità del sistema bancario internazionale nella prospettiva di sviluppo delle banche digitali, di attività finanziarie online, globalmente interconnesse, e di comportamenti della clientela e degli operatori finanziari sempre più attenti e sensibili ai rumor e alle informazioni che circolano sui social network prima ancora delle comunicazioni (comunque in grave ritardo) delle banche.

Che i modelli di business delle banche fallite fossero a rischio per strategie aggressive ma anche speculative, nel perseguire più alte performance, è venuto allo scoperto con il modificarsi delle condizioni di mercato in seguito a una politica monetaria di contrasto all’inflazione, passata sia Usa sia in Europa da lungamente espansiva con tassi prossimi allo zero a restrittiva con un rapido innalzamento dei tassi. I rumor sulle possibili perdite da parte delle banche più esposte alle conseguenze del rischio di tasso, avendo investito la maggior parte dei depositi a vista in obbligazioni a lunga scadenza (come SVB), hanno creato le condizioni per una crisi di liquidità di tali banche e il conseguente default per effetto di quella che potremmo chiamare una “rapid internet bank run”. E ciò per la semplice ragione che questa è stata resa improvvisa e di massa dalle notizie allarmanti sulle possibili crisi, che si sono rincorse sui social network, con risonanza planetaria e reazioni immediate.

La rapida fuga dei depositanti si è avuta con il ritiro in massa dei depositi online da parte di una clientela, soprattutto imprese, che non ha esitato a prosciugare i propri conti traferendoli altrove in modo istantaneo; nel fronteggiare questi notevoli esborsi (in un solo giorno SVB ha subito uscite per oltre 40 miliardi di dollari) con la vendita dei titoli a lungo termine, si determinavano ulteriori perdite dopo quelle relative ai titoli a breve, ma la liquidità non risultava comunque sufficiente a coprire gli esborsi; inducendo così le autorità di vigilanza a decretare la risoluzione delle crisi. Nel caso di Credit Suisse, la fuga dei clienti era già in atto per una crisi che il colosso bancario elvetico si trascinava da tempo, ma che ha subito il colpo di grazia in seguito alle dichiarazioni del presidente della Saudi National Bank (tra i principali azionisti che già aveva contribuito alla ricapitalizzazione del gruppo bancario elvetico una prima volta), di non essere disponibile a ulteriori investimenti nel gruppo stesso.

Le crisi sono state sedate (per ora) e la stabilità assicurata da soluzioni di concentrazione; mentre Credit Suisse è destinato alla fusione con Ubs, SVB è stata acquisita da First Cytizen Bank & Trust Company, e Signature Bank è stata assorbita da Flagstar Bank, una controllata di Community Bancorp. Nel fare il bilancio delle cause spiccano le condotte opportunistiche del management, l’assunzione di eccessivi rischi, nonché attività illecite; tutte circostanze ormai note e che si presentano regolarmente nelle crisi bancarie. L’aspetto nuovo e più rilevante di questi fallimenti sono le modalità con cui si sono verificati, sulle quali proponiamo una riflessione con le seguenti brevi considerazioni.

Digitalizzazione e stabilità delle banche

Il presidente della FED, Jerome Powell, ha osservato, durante una conferenza stampa, che la corsa ai depositi presso SVB è stata “più veloce di quanto suggerirebbe il record storico” e che la situazione è molto diversa da quella sperimentata in passato; ma anche top manager, come Jane Fraser, di Citigroup, hanno fatto dichiarazioni simili sul fatto che siamo a “un punto di svolta completo rispetto a ciò che abbiamo visto in passato”. Ci troviamo dunque di fronte a uno scenario che, nel passaggio dalla banca tradizionale alle banche di nuova generazione, presenta nuovi pericoli che possono derivare da contagi “informativi e social” da distorsione comunicativa a una via, cioè da assenza dal lato bancario?

Infatti, vi è da chiedersi, in generale, se la reingegnerizzazione della banca tradizionale abbia messo in secondo piano la circostanza che si modificano non solo gli aspetti organizzativi, ma anche i modelli di business quale conseguenza dei nuovi comportamenti della clientela e dei mutamenti del contesto sociale. Non si deve peraltro dimenticare che l’attività bancaria, comunque sia organizzata, risponde a dei principi che, se non rispettati, comportano rischi che conducono al dissesto per cui non ci si può meravigliare di fallimenti dovuti a eccessiva concentrazione di rischi in uno stesso settore, pericolosa trasformazione delle scadenze, rilevante peso di attività speculative. Le responsabilità sono manageriali ma anche del supervisore che non è intervenuto con azioni preventive per evitarle.

Ciò che però ha fatto la differenza nel determinare l’instabilità, a prescindere dagli errori gestionali e dalla scarsa efficacia dei controlli di vigilanza, sono la criticità dei fattori contingenti dei modelli bancari, la rapidità di circolazione delle informazioni sui social e la rapidità di esecuzione delle operazioni sulle piattaforme tecnologiche che le banche mettono a disposizione dei clienti.

La volatilità dei depositi, i sistemi di pagamento e le criptovalute

Va attentamente valutato che la banca online e il mobile banking stanno prendendo il sopravvento sulla banca tradizionale nella raccolta dei depositi e nei servizi di cash management ma anche nelle operazioni di finanza mobiliare; si pensi ai bonifici istantanei e al trading online oltre che agli altri tipi di transazione che la clientela è in grado di compiere, 24 ore su 24, in modo autonomo operando online.

La tecnologia sta rivoluzionando i comportamenti sia dei clienti sia delle banche e le operazioni ultraveloci rappresentano certamente un fattore rilevante nell’evoluzione del settore bancario. Se l’online banking esiste ormai da tempo, esso non è mai stato però così diffuso in modo capillare (con la diffusione di smart phone) e soprattutto utilizzato nei momenti di panico bancario come via di fuga. Le banche di nuova generazione – cioè completamente digitali – non possono essere quindi indifferenti al rischio di volatilità dei loro depositi online così come quelle che stanno diventando sempre più digitali e puntano alla raccolta in remoto soprattutto dalle imprese che sono la clientela più attenta alla gestione dei rischi finanziari. Se la stabilità è sempre stato un fattore firm generic – quasi scontato – ora sta diventando un fattore competitivo firm specific e le banche si trovano ad affrontare nuovi problemi nella fidelizzazione della clientela e nelle politiche di marketing in un contesto molto più dinamico e incerto dove tassi di volatilità e tassi di infedeltà si avvitano inestricabilmente.

La fiducia verso le banche tradizionali non pare (per ora) essere stata scalfita; la maggior parte dei risparmiatori tende a conservare le proprie disponibilità nei depositi bancari standard, si può dire a tempo indeterminato anche se per motivi spesso solo di comodità. Questa stabilità non si riscontra nelle criptovalute, come si è evidenziato nel 2022 in seguito ai velocissimi prelievi dei depositi presso le società di asset digitali andate in bancarotta (Celsius Network, FTX e Voyager Digital), quando i depositanti hanno percepito il crollo del loro valore per l’aumento dei tassi, l’incertezza economica per la guerra in Ucraina, e per lo scarso uso come strumento di pagamento.

Ma dopo i recenti fallimenti, non si può escludere che anche le banche tradizionali ampiamente digitalizzate, siano soggette a rischi di volatilità dei propri depositi online quando i social media alimentano voci su possibili vulnerabilità delle banche. Con la connessione Internet, i clienti, anche quelli sparsi nel mondo, possono istantaneamente trasferire e proprie disponibilità da una banca all’altra o al di fuori del sistema bancario a favore di altri intermediari, come i fondi monetari; vi è allora da chiedersi come siano percepite le differenze tra conti correnti bancari e altri innovativi strumenti, come appunto le criptovalute, che hanno dei collaterali altamente incerti o mobili.

Certamente sono poco sostenibili le affermazioni delle autorità pubbliche secondo le quali le criptovalute non sarebbero un’opzione sicura per i risparmiatori mentre lo sarebbero i depositi delle banche; in effetti, nonostante le dichiarazioni del presidente Joe Biden e del segretario del tesoro Usa Yellen che tutti i depositi delle banche fallite (anche quelli superiori a 250 mila dollari) saranno rimborsati, una tale sicurezza resta inficiata dal fatto che è la conseguenza di una situazione di emergenza tesa a rassicurare i risparmiatori ma che non modifica le condizioni di solidità del sistema bancario che dipende dalla condotta delle banche e dall’efficacia della vigilanza prudenziale.

E ora quali prospettive?

I social media sono ritenuti responsabili di aver diffuso voci che hanno creato panico tra i risparmiatori ma delle quali in realtà sono i manager bancari i primi responsabili. Non solo per non essersi dimostrati attenti a ciò che accadeva sui social media monitorando la comunicazione tra le proprie banche e il pubblico per creare e mantenere la necessaria fiducia, ma anche perché se le banche hanno debolezze sostanziali e i risparmiatori corrono dei pericoli, non si può dire che i social network non svolgano una funzione utile da questo punto di vista. D’altra parte, è anche vero che le rassicurazioni fornite al pubblico dalle autorità di controllo sono viste con diffidenza proprio perché esse sono tenute a farlo; ma certo andrebbero fatte con modalità comunicative più coinvolgenti e diffuse. capaci di penetrare in profondità facendo “barriera efficace” soprattutto alle “fake news” che auto-cumulandosi diventano una valanga distruttiva se non trova filtri adatti a frenarne la corsa.

La questione è effettivamente problematica perché, se è vero che diffondere informazioni non sempre confermate che turbano i mercati finanziari è un reato che va sanzionato, si deve prendere atto che in situazioni di incertezza, il libero confronto delle idee può essere un utile ausilio nei confronti dei risparmiatori. Nel cercare protezione, essi possono trasferire i propri risparmi dalle banche piccole a quelle più grandi, se ritenute più sicure, o verso altri intermediari. Aumentano così i problemi di liquidità e le pressioni competitive; le banche si possono vedere costrette a aumentare i tassi sui depositi per impedire di essere disintermediate con ulteriori effetti, come un maggior costo dei prestiti per le imprese e conseguenti ricadute penalizzanti sull’economia

Appare quindi evidente l’urgente necessità di indagini sulle relazioni tra Internet, social network e instabilità; in passato hanno interessato i mercati finanziari e ora riguardano anche le banche. L’attività bancaria può trarre benefici dai social network con strategie comunicazionali dirette a migliorare la reputation, promuovendo nuovi prodotti tra la clientela attuale e potenziale e interagendo con essa per raccogliere opinioni, rispondere a critiche e migliorare sia la customer experience che la customer satisfaction.

Quale condotte hanno (o non hanno) seguito i manager delle banche fallite nel relazionarsi sui social in modo da evitare le crisi? Sono i risparmiatori a essere stati irrazionali nella “corsa agli sportelli” o gli amministratori ad essere stati poco tempestivi a prevenirla? Probabilmente abbiamo assistito a un mix di irrazionalità da parte della clientela e di sottovalutazione della forza dei social nonché dell’importanza di comunicare e dialogare con trasparenza e responsabilità da parte dei manager. Così possono fallire le banche, senza che nessuno voglia evidentemente questo risultato? O ci sono altre interpretazioni e risposte?