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Sexting e minori, il Parental Control passa per l’educazione digitale

Il Parental Control passa per l’educazione digitale? Oggi è lapalissiano affermare che l’avvento di Internet, e nello specifico dei social, ha cambiato il nostro modo di comunicare, di relazionarci e di solcare mete identitarie strutturali rilevanti come i primi rapporti di coppia e l’intimità di un contatto fisico che viene veicolato sempre di più dalle immagini sullo schermo.

Primi amori adolescenziali che solcano la strada dell’onlife, nella costante ricerca di approvazione dell’altro che si traduce in parole molto spesso “non dette”, ma trascritte nel mix enciclopedico di immagini, audio minimal, emoticòn, avatar interattivi, riduzioni sintattiche per stare al passo con i tempi e velocizzare/ampliare il con-tatto relazionale che paradossalmente può far a meno del tatto, dell’incontro di mani e sguardi che segnano la strada dell’acquisizione della sfera sessuale adulta: “metti la nostra foto sul profilo di whatsapp perché così tutti vedono che sei il mio fidanzato”.

Non è invece per tutti così evidente che occorre in termini preventivi osservare, comprendere e nei casi estremi riparare questa nuova modalità comunicativa soprattutto quando ciò che passa in rete non è solo la caricatura ben riuscita di un nostro selfie o dei luoghi familiari dove transitiamo giornalmente ma immagini intime a contenuto sessuale che rimbalzano in rete come sigillo di un’appartenenza relazionale non sana che fa dello schermo veicolo di appropriazione: “Serena mi ha chiesto di inviarle una foto delle mie parti intime dicendomi che solo se lo faccio rimane mia amica. L’ho fatto perché ho avuto paura e perché mi ha promesso che non la farà vedere a nessuno. Mi fido ciecamente di lei, è la mia amica del cuore”, sentenzia Alice 14 anni.

Alice come Teresa, come Mario e Giovanni si scambiano foto intime nella costante rassicurazione della fiducia nell’altro e che invece, nel momento in cui la relazione amicale o sentimentale finisce si trasformano in scettro di potere rivendicatorio per far del male all’altro nella costante leva motivazionale che non riconosce al corpo l’emblema identitario ma un’oggettualità da denigrare e porre alla mercè di tutti.

Parental Control che passa per l’educazione digitale

L’educazione sentimentale, relazionale, sessuale passa oggi per i canali digitali che debbono essere necessariamente compresi ed analizzati per poter proteggere in nostri figli non solo da ciò che possono incontrare in rete sui binari di una navigazione non consapevole e compulsiva, ma anche da ciò che loro stessi possono inserire in rete nella poca consapevolezza di in invio attivato da leve istintuali di debolezze dell’Io che sono esacerbate dalla ricerca del consenso dell’altro e che fa della rete il canale espressivo per eccellenza nel boomerang  patologico dell’apparente neutralità dello schermo che fornisce sicurezza e di rimando riporta insicurezza e, nei casi estremi traumi identitari ai danni al sé.

Il parental control più efficace che ho più volte ridefinito nei miei scritti come parental protection è il seguire la costruzione di una traiettoria educativa digitale che parte dalla nascita fino al compimento dei 18 anni su determinati step evolutivi che tengano conto dei processi di crescita del bambino e dei suoi bisogni evolutivi. Il parental control e il blocco di siti a contenuto pornografico e di violenza non protegge da invii poco responsabili se non si instaura un processo educativo e formativo strutturato sulla comunicazione, sul rispetto per l’altro, sul rispetto della propria intimità e sulla trasmissione di valori formativi che fanno agire nelle relazioni nella presa per mano dell’altro nella globalità della cura, della protezione, della tutela della sua identità e di rimando della nostra come persone, come famiglie e globalmente come società educante e responsabilizzante.

L’agire preventivo del fenomeno del sexting in questa prospettiva parte dell’educazione all’immagine che deve essere un baluardo chiave dell’educazione digitale.

A partire dal selfie

Come adulti responsabili non possiamo non vedere, essere ciechi e passivi spettatori, di un processo che sta portando se non compreso maggiormente e preventivamente arginato (e non come spesso accade riflessivamente condiviso), non solo ad etichettare l’epoca in cui viviamo come fortemente narcisistica e del baluardo selfiano, ma anche a sviluppare una traiettoria di rischio (documentato dalle ricerche) per lo sviluppo di ansia, depressione e fenomeni correlati al benessere psicologico delle nuove generazioni.

Come adulti consapevoli quindi è nostro dovere entrare all’interno di questo nuovo modo di comunicare cercando di fare chiarezza che il pubblico quindi sono è solo uno dei tanti modi di presentarsi all’altro e che non gode dell’esclusività di una forma che cattura e rapisce giudizi e consensi, senza essere basata principalmente sull’ autenticità dello scambio interattivo reale per la quale il nostro parlare, la nostra volontà di comunicazione è nata, vorrebbe e dovrebbe continuare ad esistere. E in questo con-tatto non si ha bisogno di bypassare allo schermo l’intimità in vivo che si struttura nell’incontro con il corpo dell’altro nel rispetto dell’autenticità di un legame che si comprende solo nell’incontro reale tra me e te autentici e veri.

Se il corpo sembra dematerializzarsi nello specchio digitale, l’avatar identitario una volta diffuso in rete può frantumarsi e de-cristalizzare di ritorno il sé arrecando danni alla persona, alla coppia e alla comunità.

Invii virtuosi in rete sempre e comunque da parte di tutti, solo così possiamo bloccare le nefandezze di una gabbia di vetro che frantumandosi invia schegge identitarie poco valoriali e potenzialmente dannose per ognuno di noi, grande o piccolo che sia.

Buona prevenzione!

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