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Semiconduttori, vendite globali stimate in aumento a 600 miliardi di dollari nel 2022

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Cresce il mercato mondiale dei semiconduttori, ma l’offerta di chip langue e le industrie temono nuovi blocchi e ulteriori complicazioni tra pandemia, guerra commerciale USA-Cina e crisi climatica. Approvvigionamento a rischio almeno fino al 2023. Le strategie delle imprese.

Crisi dei chip, trend negativo fino al 2023

La grande domanda di chip a livello mondiale sta creando enormi problemi a diverse industrie chiave per le economie nazionali, non solo dell’elettronica o del settore energetico, ma anche del settore automobilistico, con gravi ritardi nelle forniture, amplificati dall’emergenza sanitaria legata alla pandemia di Covid-19.

Qualche giorno fa su Nikkei Asia è intervenuto il CEO di Intel, Pat Gelsinger, secondo cui le conseguenze dei blocchi alla produzione dovuti al virus sono e saranno principalmente dirette sulle catene di approvvigionamento e il trend resterà negativo almeno fino al 2023.

Della stessa opinione altri manager di altrettante grandi compagnie, come Lisa Su, CEO dell’americana AMD, o Jean-Marc Chery, presidente e amministratore delegato di StMicroelectronics.

Crescono le vendite di semiconduttori

Questo perché ci vuole molto tempo per sviluppare un’adeguata capacità di risposta nei confronti di un picco di domanda molto alto, mediamente da due a quattro anni.

In attesa di questa nuova fase, secondo un Report di Euler Hermes, le prospettive sono favorevoli ad un aumento delle vendite di semiconduttori, nell’ordine di un +9% atteso per il 2022, tali da superare i 600 miliardi di dollari di valore a livello mondiale.

Quindi una nuova fase di crescita che segue quella straordinaria del +26% registrata nel 2021, per un valore complessivo di 553 miliardi di dollari.

I fattori di crescita e di rischio

Questo aumento sostenuto delle vendite di semiconduttori, che sono le materie prime alla base dei chip, è dovuto secondo i ricercatori a tre fattori primari:

  • un’esplosione della domanda di semiconduttori nell’industria dell’elettronica di consumo, come pc, smartphone e tablet o videogame, e parallelamente legata alla grande diffusione dell’Internet delle cose anche in settori finora esclusi dalla transizione digitale e tecnologica;
  • l’aumento dei prezzi generalizzato;
  • lo sviluppo di chip di nuova generazione e in grado di offrire nuove prestazioni.

Ma insieme ad essi coesistono anche dei rischi da non sottovalutare, che sono dovuti alla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, quando è dal grande Paese asiatico che arrivano le maggiori forniture di chip, gli eventi climatici estremi che colpiscono la produzione di chip, gli effetti negativi della pandemia e le restrizioni o i blocchi imposti alle catene di approvvigionamento.

La ricerca dell’autonomia produttiva

Per aggirare tutti questi ostacoli, per le grandi organizzazioni non resta altro che diversificare il più possibile le forniture ed investire in autonomia produttiva, cioè in nuovi impianti di produzione di chip, come hanno fatto in tanti, tra cui Intel, che ha investito 20 miliardi di dollari in nuove infrastrutture e più di 7 miliardi di dollari in una nuova fabbrica in Malesia.

Ugualmente si sono mosse la Samsung, che investirà più di 200 miliardi di dollari in tre anni, la Bosh che ha appena inaugurato un nuovo impianto a Dresda in Germania, la Taiwan Semiconductor (tra i principali produttori mondiali) che spenderà 100 miliardi di dollari sempre nei prossimi tre anni.

Secondo uno studio Boston Consulting Group, infine, si prospetta per tutto il 2022 un gap tra domanda e offerta del 15% circa.