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Scuola, la cittadinanza incompiuta. Perché su Istruzione e formazione il PNRR sta fallendo

La scorsa settimana giornali e TG hanno rilanciato diffusamente le forti riserve messe per iscritto dalla European Court of Auditors (la Corte dei Conti della Ue) sulle modalità, i tempi e l’efficacia con le quali procede, nei paesi membri, l’attuazione del Recovery Found UE.

Il testo della relazione parla di ritardi diffusi, risultati non soddisfacenti, fragilità dei meccanismi di controllo e rendicontazione, difficoltà nel focalizzare gli obiettivi e nel valutarne l’effettivo conseguimento.

La Commissione Europea ha replicato riconoscendo l’esistenza di una divergenza di opinioni con gli Auditors europei, ma circoscrivendone le cause a una “diversa interpretazione di concetti giuridici”, come a dire che la questione sarebbe più formale che sostanziale.

In realtà, stando alle dichiarazioni rilasciate dalla croata Ivana Maletic, già membro del Gruppo PPE del Parlamento europeo, ed oggi membro dell’Audit UE, l’allarme lanciato dalla Corte è motivato da circostanze di fatto difficilmente controvertibili: “I paesi UE hanno attinto a meno di un terzo dei finanziamenti previsti e sono avanzati per meno del 30% verso i 6mila traguardi e obiettivi prefissati”.  Quindi il tema sul tappeto è ben più concreto e la domanda vera è: qual è l’effettivo stato di avanzamento dei progetti e cosa c’è da aspettarsi da qui ad un anno o poco più, allorché il Piano arriverà alla sua scadenza naturale?

Ignoro come stia andando negli altri paesi UE, ma da qualche tempo mi capita di cercare di capire come vadano le cose in Italia, al riguardo, anche perché siamo – come è noto – il Paese che è stato più largamente beneficiato dal Recovery Found europeo.

Se ci si sofferma sull’andamento della spesa nell’ambito di Missione 4 del PNRR (Istruzione e Ricerca), un ambito che ha immediate ricadute nei settori della cultura, della formazione e della comunicazione, probabilmente più affini e congeniali agli interessi dei lettori di Key4biz, si scoprono cose di un certo interesse, e facilmente intrecciabili a temi quali l’alfabetizzazione digitale e la media literacy, che sono il pane quotidiano, tra gli altri, di questa rivista.

Qualche settimana fa Save the Children ha pubblicato una Guida dal titolo “Educare al digitale”, un documento ricco di informazioni, per larga parte elaborato su dati ISTAT, che illustra entità, frequenza e caratteristiche dell’uso di tecnologie e device digitali da parte di bambini e adolescenti.

Le risultanze dello studio confermano trend piuttosto noti. Un terzo dei bambini tra i 6 e i 10 anni usa lo smartphone quotidianamente (sei anni fa eravamo al 18%) e nella fascia di età superiore (11-13 anni) i 2/3 risulterebbe disporre di un account social. Tali dati si inscrivono in uno scenario che sulla rete vede in costante peggioramento i fenomeni più allarmanti (cyberbullismo, furto di identità, sicurezza, disinformazione, truffe online).

Si tratta peraltro di fenomeni e numeri che hanno carattere globale. L’ultima ricerca in tema da parte del Pew Research Center (Teens, Social Media and Technology, 2023) stima che in dieci anni la percentuale di adolescenti che dichiara di essere online “quasi costantemente” è pressocché raddoppiata, passando dal 24% del 2014 al 46% del 2023. È chiaro che con questi numeri, in crescita costante, il rapporto che si stabilisce tra il mondo della scuola e la rivoluzione tecnologica è uno snodo essenziale per la formazione dei cittadini di domani.

Fare i conti con questo fenomeno, ossia con l’utilizzo massivo di device e tecnologie digitali già in età scolare preadolescenziale, chiama dunque, inevitabilmente, in causa la qualità del nostro sistema scolastico e formativo (infrastrutture, didattica, offerta) e la sua capacità di costituire un punto di riferimento forte per i giovanissimi immersi quotidianamente nel bagno delle tecnologie digitali; impone una riflessione su quale debba essere in ambito scuola, istruzione e ricerca la reazione più efficace a questo fenomeno e quale funzione di supporto e guida debba saper svolgere il sistema scolastico nazionale di fronte ai travolgenti processi di innovazione tecnologica; richiede di concentrare l’attenzione sulle ingenti risorse messe in campo al riguardo dal PNRR, sul loro utilizzo effettivo e sulla efficacia delle soluzioni prescelte.

Le risorse finanziarie messe a disposizione dell’Italia dal PNRR ammontano complessivamente a 194,4 miliardi di euro, suddivise in 7 Missioni fondamentali. Per il fabbisogno della Missione 4 (Istruzione e ricerca) sono stati pianificati in origine circa 30 miliardi di euro di spesa.

Il più aggiornato studio disponibile sul PNRR e sulle sue dinamiche (pianificazione e spesa) è quello predisposto dal Centro studi di Confindustria (Lo stato di avanzamento del PNRR, misura per misura, di Stefano Olivari, 20 febbraio 2025). Esso fonda le proprie elaborazioni sui dati ufficiali del Regis (il sistema gestionale unico del PNRR) e di fonte MEF (Piano strutturale di bilancio, DEF).

Sul presupposto comunemente accettato che è la spesa effettivamente sostenuta a testimoniare il reale stato di avanzamento di un disegno strategico finanziario, Confindustria documenta un diffuso stato di sofferenza della capacità di spesa sul PNRR e preconizza la sostanziale impossibilità di giungere alla scadenza naturale del Piano (giugno-dicembre 2026) avendo soddisfatto integralmente le previsioni di investimento. A riprova della solidità di questo argomento, proprio in queste ultime settimane sono circolate suggestioni di proroga e ipotesi di spostamento dei finanziamenti del PNRR su altri Fondi.

Per quanto di interesse in questa sede, non si può non osservare come tra le prime 20 misure per spesa prevista, quella più in ritardo riguarda la spesa per asili nido e scuole d’infanziache al 31.12.2024 vede una spesa effettuata pari a 817 milioni a fronte di una previsione di 1.706 (48%). Anche le spese effettuate per riqualificazione dell’edilizia scolastica (scuole, asili, mense, palestre) sono tra le più basse dei primi 20 obiettivi rispetto alla previsione (1066 milioni rispetto a una previsione di 1.705, pari al 63%).

Tra i valori più bassi nel rapporto tra previsione e spese effettive troviamo anche i Partenariati estesi (quindi i progetti di ricerca qualificati), al 47%; il contrasto al divario e all’abbandono scolastico (46%); la costruzione di nuove scuole (31%); la formazione per il preavviamento al lavoro (7%); i dottorati innovativi, ossia i percorsi di alta specializzazione post laurea (8%).

Questa difficoltà a mettere effettivamente in campo i finanziamenti previsti dal PNRR a beneficio del sistema nazionale di istruzione e ricerca, a tutti i livelli, non è, però, il solo campanello di allarme.

Esiste anche, è del tutto ovvio, un problema di efficace ed equilibrata distribuzione della spesa. Al riguardo il recente Rapporto “Scuole diseguali” di Save the Children (settembre 2024), elaborato su dati ufficiali di fonte ministeriale, si incarica di rilevare come in Italia solo 2 bambini su 5 della scuola primaria hanno accesso al tempo pieno, mentre meno della metà degli alunnidella primaria e secondaria può utilizzare una palestra o una mensa scolastica.

In particolare, il Rapporto registra una situazione fortemente differenziata a livello regionale, con il Centro-Sud in perdurante e crescente situazione di svantaggio. E qui non si può non ricordare che uno degli obiettivi strategici del PNRR è proprio quello della riduzione delle asimmetrie e degli squilibri regionali. Mancare l’obiettivo di dotare massivamente la scuola dell’obbligo di palestre, laboratori didattici, nuove tecnologie e tempo pieno, sarebbe imperdonabile. Farlo, lasciando che il divario Nord-Sud addirittura si accresca, sarebbe esiziale.

Esiste, infine, un problema di qualità della spesa. Non basta che i soldi arrivino dove devono arrivare e siano effettivamente spesi. Serve un controllo sulla reale efficacia e utilità di quella spesa. Prendiamo la piattaforma formativa PNRR denominata “Scuola Futura”.  Il Ministero informa che essa contiene qualcosa come 120mila percorsi formativi e che 800mila utenti (dirigenti, docenti e personale tecnico e amministrativo) ne hanno già fruito. Ora, pur trascurando il fatto che 800mila accessi in circa due anni (che non significano necessariamente 800 mila corsi effettivamente fruiti) su un parco docenti e non docenti che supera il milione di persone, sono davvero poca cosa.

Ma siamo davvero certi che in assenza di un obbligo di formazione in capo ai docenti, in un contesto largamente demotivato (per ragioni storiche, di carattere economico e culturale), con un’offerta formativa largamente concentrata su soli due temi (nuove tecnologie e lingue straniere), questa imponente (e dispendiosa) offerta formativa sia la chiave di volta per la formazione del personale della scuola? Sarebbe molto utile disporre di dati ufficiali sulla reale frequenza dei corsi e magari anche di survey tra i diretti interessati e tra i dirigenti scolastici per conoscerne il grado di soddisfazione.

I dati OCSE diffusi a dicembre 2024 (si veda il Programme for the International Assessment of Adult Competencies – PIAAC) ripropongono, per quanto ci riguarda, l’istantanea di un paese in cui oltre un terzo della popolazione adulta può definirsi “analfabeta funzionale” in quanto incapace di comprendere i contenuti di un testo appena complesso (una polizza, un contratto, l’informativa di un istituto di credito, un modulo INPS o dell’Agenzia delle entrate).

E quanto ai bambini e ai ragazzi in età scolare, siamo invasi da Rapporti e Ricerche che mettono in guardia su una vera e propria emergenza che non si risolve solo con le campagne mirate di media education, ma che richiede edifici scolastici funzionali e moderni, didattica innovativa, tempo pieno, mense, palestre.

Se il PNRR fallisce su questo fronte il Paese perde una scommessa fondamentale col suo futuro e alimenta uno stato di diffusa cittadinanza incompiuta che, alla lunga, rappresenta un problema per la stessa democrazia.

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