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Scontro verbale Antonello Soro-Vincenzo Visco, perché l’ex ministro ha torto

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Andiamo punto per punto, per capire bene il senso di questo scontro e per verificare chi “ha girato la frittata”. Perché lo scontro verbale innescato da Vincenzo Visco, l’ex ministro del Tesoro (che al convegno ha parlato in veste di presidente di NENS, Nuova Economia Nuova Società), a cui Antonello Soro, presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, ha prontamente risposto, ha radici antiche e denota uno scontro tra differenti culture in materia di diritti della persona.

Vincenzo Visco: “Obiettivo del Garante sembra sia tutelare cittadini dallo Stato”

L’accusa di Vincenzo Visco al Garante privacy è stata lanciata ieri durante il convegno dal già polemico titolo “Tutela della privacy ed efficienza della Pubblica Amministrazione: obiettivi in conflitto?” organizzato, da NENS (Nuova Economia Nuova Società), il centro studi di cui l’ex ministro è presidente.

Visco ha tirato le fila del convegno, dopo una serie di interventi critici e anche polemici, parlando dell’influenza che certe interpretazioni del Garante possono provocare nel funzionamento dell’amministrazione pubblica.

In particolare, Visco ha detto “…È emerso dal convegno che ci sono interferenze continue del Garante sulle attività dell’Agenzia delle Entrate, dell’Inps, dell’Istat, della Banca d’Italia e della ricerca scientifica in generale…C’è un problema molto serio”, ha continuato, “per stabilire criteri e limiti di un’attività e sembra che l’obiettivo del Garante sia quello di tutelare i cittadini dall’attività dello Stato, mentre”, ha concluso, “il suo compito dovrebbe essere esattamente il contrario e magari dovrebbe tutelarlo dai giganti del web e dall’invadenza dei social network”.

Singolare l’ex ministro parli dell’attività di una importante autorità regolatoria indipendente che opera sul terreno dei diritti della persona come un soggetto che genera elementi di disturbo se non di ostacolo all’attività di altre istituzioni. Se lo Stato, attraverso alcune sue amministrazioni viola dei principi di legge e lede alcuni diritti dei cittadini, il Garante ha il dovere di intervenire e non di ignorare ciò che accade.

Soro: “Le dichiarazioni di Visco denotano assoluta ignoranza di quello che è preciso dovere degli organi di garanzia”

”Le dichiarazioni di Vincenzo Visco sul presunto intralcio opposto dal Garante all’azione di controllo, in particolare in materia fiscale e sul lavoro, sono gravi e sconcertanti”. Così il Garante della privacy, Antonello Soro, ha risposto a Vincenzo Visco sui presunti ostacoli posti dall’Autorità all’efficienza della Pubblica amministrazione.

“Gravi perché”, ha spiegato Soro, “denotano assoluta ignoranza di quello che è un preciso dovere degli organi di garanzia, come appunto l’Autorità Garante, ovvero tutelare, secondo puntuali norme nazionali ed europee, le libertà rispetto allo scorretto esercizio del potere, sia esso privato o pubblico”.

“Sono anche sconcertanti”, ha continuato il Garante, “perché esprimono una concezione totalitaria e illiberale del potere, per cui non sarebbero i cittadini a dover essere tutelati dalle ingerenze dello Stato, ma lo Stato a doversi liberare dal presunto orpello delle garanzie democratiche”.

“Vincenzo Visco”, ha concluso Soro, “è lo stesso che da ministro, nel 2008, aveva messo on line i redditi di tutti i cittadini rendendoli accessibili a chiunque nel mondo, per giunta in formato scaricabile e modificabile”.

Affermazioni inequivocabili che hanno riportato l’attenzione sulla grave vicenda delle dichiarazioni dei redditi accessibili a tutti in violazione non solo delle norme vigenti, ma delle più elementari regole di rispetto della riservatezza e della persona.

Il sistema di data-minig ‘Savio’ per le visite fiscali non bloccato dal Garante privacy, ma l’INPS non ha implementato le indicazioni dell’Autorità

Per comprendere meglio la dichiarazione di Visco occorre spiegare che durante il convegno Edoardo Di Porto – Direttore ufficio studi e ricerche dell’Inps, ha spiegato, sostanzialmente, che l’Inps ha interrotto a marzo 2018 “per colpa” del Garante privacy il servizio denominato Savio, ovvero il sistema di data-minig per la programmazione mirata delle visite fiscali da parte dell’Inps, con l’obiettivo di individuare preventivamente possibili assenze ingiustificate dal lavoro per malattia. Il non utilizzo di Savio, ha concluso Di Porto “ha causato una perdita monetaria per l’Istituto di circa 335.000 euro mensili, pari a 4,1 milioni di euro annui”.

Tuttavia, occorrerebbe chiedere a Edoardo Di Porto perché mai l’INPS non abbia voluto ottemperare alle indicazioni del Garante per far sì che il servizio Savio potesse operare nel rispetto delle normative vigenti.

Andando a rivedere sia l’audizione in Senato di Antonello Soro sia il nostro articolo del 18 settembre 2018 scopriamo che il Garante privacy non ha bloccato per sempre il sistema Savio, ma ha rilevato che ‘…Il modello messo a punto e adottato negli ultimi 5 anni dall’Inps realizza una vera e propria profilazione dei lavoratori interessati, non conforme al GDPR…’. Al tempo stesso l’Autorità ha indicato all’INPS anche le nuove regole da introdurre (sono elencate in questi 3 punti) per rendere il sistema Savio a prova di privacy per i cittadini che lavorano nel settore pubblico e privato. Ma l’INPS, evidentemente, ha preferito non implementare il sistema con le indicazioni fornire dal Garante e così è stato l’Istituto di previdenza sociale a bloccare Savio, non l’Autorità.

Sarebbe da chiedersi perché mai l’INPS abbia generato una così grave omissione: o il servizio non serviva più di tanto e si cercava un capro espiatorio o sarebbe stato meglio ottemperare e non privare il controllo sulle assenze dei lavoratori di uno strumento così apparentemente efficace.

In questo caso chi è “causa del suo male pianga se stesso”, ma, avendo l’INPS dismesso unilateralmente il servizio senza averne usufruito appieno, sarebbe forse utile sapere quanto sia costato un servizio non più utilizzato in risposta a legittime osservazioni del Garante.

Il Garante non ha bloccato il censimento permanente. Ha detto sì all’Istat, ma “con pseudonimizzazione dei dati”

“La seconda esperienza negativa” nei confronti del Garante della privacy indicata nel convegno organizzato da Vincenzo Visco, è stata testimoniata da Vittoria Buratta, capo Dipartimento per lo sviluppo metodi e tecnologie dell’Istat, che ha spiegato, scrive l’AdnKronos, “…come il Garante abbia ostacolato i lavori del Censimento permanente nell’ambito del Programma Statistico Nazionale”. “Dopo la fase di raccolta dati durata due anni”, continua il resoconto dell’agenzia, “il Garante ha mandato pochi giorni fa un parere con aggiornamenti e ha di fatto bocciato il codice unico adottato dall’Istat utilizzato per collegare i dati tra loro, obiettando che ‘genera un rischio di potenziale identificazione e ha sospeso alcuni processi”.

Anche in questo caso facciamo un po’ di fact checking.

Andando sul sito del Garante privacy si può prendere atto che l’Autorità non ha “…ostacolato  i lavori del Censimento permanente nell’ambito del Programma Statistico Nazionale…”, ma ha invece dato l’ok condizionato all’Istat invitando l’ente “…a procedere con i trattamenti necessari alla realizzazione del censimento permanente, ma dovrà adottare ulteriori misure per rafforzare la tutela dell’ingente mole di informazioni raccolte, in particolare migliorando le tecniche di pseudonimizzazione dei dati”.

Se si utilizza una modalità di raccolta dei dati, in modo permanente, dei cittadini italiani che non rispetta la normativa sulla Data Protection (il GDPR) il provvedimento del Garante privacy come può essere giudicato di “ostacolo all’efficienza dell’Istituto nazionale di statistica”?

C’è qualcosa che non torna nelle gravi affermazioni fatte in corso di convegno e sarebbe utile chiedersi perché mai tutto ciò avvenga ora, pochi giorni prima del rinnovo del Collegio, ripescando fatti del passato e riproponendoli con ricostruzioni imprecise e incomplete pro domo propria.

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