La sostituzione delle reti mobili terrestri con soluzioni satellitari LEO (Low Earth Orbit) è possibile?
SI distingue l’uso di smartphone standard, sia in configurazione D2C, Direct to Cell, che in configurazione D2D, Direct to Device. Inoltre, si indaga sulla possibilità di uso di nuovi smartphone ad alta potenza nella modalità D2D.
Nella modalità D2C, quando lo smartphone delle comunicazioni radiomobili cellulari 4G e 5G entra in zone non coperte dal segnale terrestre (zone d’ombra), il collegamento della sua antenna commuta automaticamente verso il satellite usando le stesse frequenze terrestri cedute dagli operatori radiomobili all’operatore LEO con una banda di modesta entità al fine di consentire telefonate e scambio dati a bassa velocità (qualche Mbit/s).
Nella modalità D2D l’operatore LEO possiede frequenze terrestri e agisce come un operatore radiomobile autonomo con smartphone commerciali e offre trasmissione dati a velocità superiore rispetto al D2C, dell’ordine delle decine di Mbit/s .
Elon Musk pubblicò nel 2024 i risultati di una misura delle prestazioni D2C. Con uno smartphone 4G Samsung Android non modificato è stata raggiunta una velocità di download di picco di circa 17 Mbit/s: questo è il data-rate massimo per cella LEO condiviso tra tutti gli utenti attivi nell’enorme area di copertura satellitare (ISPreview, 2024).
La narrazione di una completa obsolescenza delle torri mobili è irrealistica. I sistemi LEO D2C e LEO D2D anche con smartphone modificati non possono sostituire le reti terrestri, ma sono destinati a ricoprire un importante ruolo complementare.
LEO D2C e D2D con Smartphone standard
Il principale ostacolo per la sostituzione è la perdita di propagazione nello spazio libero, dovuta alla distanza tra il satellite LEO e il dispositivo (550 km), rispetto a una torre terrestre (assumendo una distanza massima di 2,5 km). La distanza del LEO è 220 volte più grande e si traduce in una perdita di segnale di circa 50.000 volte maggiore (equivalente a 47 dB) per il collegamento satellitare. Per compensare questi 47 dB con dispositivi consumer non modificati, la tecnologia satellitare attuale richiederebbe un aumento della potenza di trasmissione del satellite fino a circa 48 kW: questo è impraticabile a causa dei vincoli di potenza di bordo che tipicamente è di poche centinaia di Watt. D’altra parte un miglioramento del guadagno dell’antenna del ricevitore dello smartphone di 47 dB è irrealistico.
Il collegamento in Uplink (smartphone- satellite) è infatti l’anello debole del D2C/D2D. I dispositivi mobili standard trasmettono a potenze molto basse, 23-30 dBm, rendendo estremamente difficile l’arrivo del segnale al satellite LEO. Infatti, i servizi sono inizialmente limitati a messaggistica di testo e chiamate vocali.
LEO D2D con Smartphone ad alta potenza
L’introduzione di un terminale ad hoc ad alta potenza può alterare radicalmente il bilancio di collegamento per l’Uplink. Sia tramite un aumento della potenza di trasmissione: i terminali portatili specializzati possono trasmettere fino a 20Watt, 43 dBm, o superiore, rispetto ai 0,2 Watt, 23 dBm, di uno smartphone commerciale. Sia tramite un miglioramento del guadagno dell’antenna: l’integrazione di un’antenna direzionale ad alto guadagno (per esempio, 5-10 dB) concentra l’energia verso il satellite.
Quindi, con terminali specializzati, è possibile raggiungere un bilancio di collegamento Uplink a 550 km di distanza spaziale sufficiente per supportare servizi ad alta velocità (analogamente al 4G/5G), ferma restante una latenza di 20-40ms rispetto a 1-20 ms del 4G/5G. Rimane comunque il problema delle emissioni elettromagnetiche dello smartphone ad alta potenza sul proprietario, il peso e il costo elevato, nonché il rischio di interferenza con le reti terrestri, specialmente nelle aree urbane.
Le sfide (Downlink e capacità)
Se l’Uplink è risolvibile tramite terminali ad alta potenza e antenne direttive, i problemi fondamentali relativi al Downlink, alla capacità e all’implementazione su vasta scala rimangono intatti. L’uso di terminali ad alta potenza sposta il problema da un “impossibile fisico” a un “impossibile economico e di capacità”. L’ostacolo più critico che non viene risolto dal terminale ad alta potenza è il Downlink (satellite-dispositivo). Il satellite LEO è intrinsecamente limitato in potenza. La limitazione fondamentale della potenza di trasmissione del satellite riduce la capacità di trasmissione massima che può essere offerta a ogni utente.
La sostituzione completa delle reti terrestri è impossibile a causa della capacità limitata del satellite. Le reti 4G/5G dipendono dall’alta densità di celle radio per il riutilizzo della frequenza e per servire contemporaneamente un elevatissimo numero di utenti in aree urbane. Un satellite LEO copre invece un’area geografica (footprint), una macro cella di centinaia o migliaia di chilometri quadrati. La sua capacità totale (misurata in Gbit/s, qualche migliaio con i satelliti di seconda generazione) deve essere suddivisa tra tutti i terminali in quell’area. Un singolo satellite LEO non può sostituire le centinaia o migliaia di celle terrestri necessarie per servire una singola metropoli.
Ruolo della tecnologia LEO
La tecnologia satellitare LEO (sia D2C che D2D) è una soluzione supplementare, non una sostituzione, per le reti mobili terrestri.
In particolare per i servizi LEO con smartphone standard si consente, sia l’estensione della connettività di base nel D2C (voce e testo) in aree remote o rurali, colmando le lacune di copertura (“white spots”), sia la trasmissione dati a capacità crescente passando dai terminali D2C ai D2D.
Con terminali ad alta potenza i servizi LEO D2D permettono di creare dei mercati verticali in aree remote a bassa densità. Ideale per applicazioni marittime, aviazione, emergenze o IoT industriale, senza stringenti requisiti di latenza, e in zone dove il costo del terminale è accettabile e la densità di utenti è bassa.



