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Sanità digitale: tra fascicoli, WhatsApp e AI, l’Italia prova a fare sul serio

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La sanità italiana ad una svolta ‘digitale’ a portata di mano, ma non mancano le criticità. Sulla carta si passa dalla sperimentazione al tentativo di sistema.

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui..

Nel 2024 la Sanità Digitale italiana ha messo radici più profonde: 2,47 miliardi di euro investiti, con una crescita del 12% rispetto all’anno precedente. È il segnale che qualcosa si muove – anzi, che qualcosa si struttura. Grazie al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), sono arrivate le prime infrastrutture abilitanti: le piattaforme di Telemedicina, il Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0, la digitalizzazione ospedaliera. E se i sistemi non sono ancora pienamente operativi, almeno ora esistono.

L’Osservatorio Sanità Digitale del Politecnico di Milano, che ha presentato i risultati della sua ultima ricerca durante il convegno “Sanità Digitale: i germogli della trasformazione”, racconta una svolta possibile, anche se ancora fragile. “I primi germogli della trasformazione digitale del Sistema Sanitario, abilitati dal PNRR, cominciano a essere visibili – dichiara Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio –. Ma i risultati non bastano a poterne raccogliere i frutti”.

Un problema di radici, appunto: i semi ci sono, i germogli pure, ma il terreno (organizzativo, culturale, strutturale) ha ancora bisogno di molta irrigazione. Intanto però, almeno sulla carta, il sistema sanitario italiano sta passando dalla sperimentazione al tentativo di sistema.

Televisite, telemonitoraggio e… WhatsApp

Telemedicina, che passione: almeno sulla carta. Il 36% dei medici specialisti e il 52% dei Medici di Medicina Generale (MMG) ha effettuato almeno una televisita nell’ultimo anno. Percentuali simili per il telemonitoraggio: 30% tra gli specialisti, 46% tra i MMG. Numeri che indicano una diffusione crescente? Sì, ma non un cambio di paradigma. L’uso è ancora sporadico e poco strutturato, quasi sperimentale. E se la struttura manca, la prassi si rifugia nel familiare.

Secondo l’indagine svolta dall’Osservatorio in collaborazione con BVA Doxa, 6 cittadini su 10 continuano a comunicare con il proprio medico via WhatsApp. Niente strumenti dedicati, niente app certificate: solo messaggi vocali, emoji, magari qualche PDF storto fotografato in bagno. I medici, da parte loro, dedicano in media un’ora al giorno alla gestione di queste comunicazioni. Una routine che fa perdere efficienza e tempo, soprattutto in un contesto che prometterebbe tutt’altro.

Eppure, basterebbe un uso più strutturato di strumenti digitali dedicati per recuperare una settimana lavorativa all’anno per ogni medico. Nel caso dei medici di famiglia, il potenziale sale a due. Per ora però si va avanti così, in equilibrio precario tra buone intenzioni digitali e abitudini analogiche.

Intelligenza artificiale, la settimana che (forse) verrà

La Generative AI è già entrata nella pratica clinica quotidiana. Non in modo sistemico, certo, ma c’è. Secondo l’Osservatorio, il 26% degli specialisti, il 46% dei MMG e il 19% degli infermieri ha già utilizzato strumenti di GenAI, quasi sempre su piattaforme generaliste, e non pensate per uso clinico. Niente di certificato, ma ChatGPT e simili sembrano comunque far risparmiare tempo. Una risorsa scarsa e quindi preziosa.

Secondo le stime, ogni medico specialista potrebbe recuperare fino a due giornate all’anno solo nella ricerca di informazioni scientifiche, e una settimana piena in attività amministrative o operative. Il dato raddoppia per i medici di famiglia: con un uso intelligente dell’intelligenza, si parlerebbe di oltre due settimane di tempo recuperato l’anno.

Ma non tutto è rose e sintesi automatizzate. Il 55% degli specialisti e il 47% dei MMG lamentano la mancanza di trasparenza nei processi decisionali dell’AI, mentre 6 medici su 10 segnalano dubbi sulle responsabilità medico-legali in caso di errori. “Un utilizzo più diffuso dell’AI potrebbe contribuire ad alleviare l’attuale stato di saturazione dei professionisti sanitari”, afferma Emanuele Lettieri, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio. Ma nessuno, per ora, ha ancora firmato per farlo.

Nel frattempo anche i cittadini ci si buttano: il 31% ha già usato strumenti di AI generativa, e l’11% lo ha fatto per temi sanitari. Cercano problemi di salute (47%), farmaci e terapie (39%). La rapidità e la facilità d’uso sono le motivazioni principali. L’AI piace, ma inquieta: il 36% teme che riduca il rapporto umano con il medico, il 29% ha paura che lo sostituisca.

SE, CCE e il lungo cammino dei dati (con consenso annesso)

La promessa è semplice: più dati condivisi, più cure efficaci. Ma l’attuazione è, come spesso accade, più opaca. Oggi l’85% delle strutture sanitarie dispone di una Cartella Clinica Elettronica (CCE), ma solo il 62% dei professionisti la utilizza regolarmente. Un dato in lieve crescita rispetto al 2023, ma che ancora non riflette l’impegno infrastrutturale in corso. Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) va un po’ meglio: il 41% dei cittadini lo ha già usato, e tra questi il 60% ha dato il consenso al trattamento dei dati, mentre un ulteriore 25% si dice pronto a farlo, soprattutto per offrire al medico una visione completa e aggiornata della propria storia clinica.

La fotografia tra i professionisti è analoga: il 44% degli specialisti e il 57% dei MMG utilizza il FSE. Le differenze regionali restano marcate, ma gli investimenti locali in formazione e comunicazione stanno producendo effetti. Per quanto a rilascio lento.

Il punto cruciale, però, è un altro. Come sottolinea Paolo Locatelli, “lo sviluppo delle Cartelle Cliniche Elettroniche e del Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0 risultano essenziali anche per l’alimentazione dell’Ecosistema Dati Sanitari”, con l’ambizione di rendere disponibili, in modo omogeneo e protetto, i dati utili a prevenzione, programmazione e ricerca. E di inserirsi, in prospettiva, nell’European Health Data Space. Per ora, la vera sfida non è la raccolta del dato, ma il suo utilizzo. E anche qui, a fianco dei servizi pubblici, i comparatori di offerte assicurative  come SOStariffe.it aiutano a confrontare in modo semplice e rapido i costi e i servizi accessori legati, ad esempio, alla connettività necessaria per accedere ai servizi sanitari digitali, specie per chi assiste familiari anziani o vive in zone dove la banda larga non è garantita.

Priorità strategiche e ostacoli evergreen

A giudicare dalle agende dei decisori sanitari, il 2025 sarà l’anno della cybersecurity, confermata al primo posto tra gli ambiti di investimento dal 69% delle strutture sanitarie. Seguono la Cartella Clinica Elettronica, i servizi di Telemedicina e i sistemi di integrazione con piattaforme regionali o nazionali. Cresce anche l’interesse verso gli strumenti per la gestione dei dati clinici, considerati sempre più strategici: sia per nutrire il Fascicolo Sanitario Elettronico, sia per costruire l’ecosistema digitale sanitario del futuro.

Peccato che, accanto alle priorità, restino ben piantati anche gli ostacoli. Il 55% delle aziende sanitarie segnala la limitata disponibilità di risorse economiche, il 40% la carenza di competenze digitali, e il 34% una scarsa cultura digitale organizzativa. Quest’anno si aggiunge anche una nuova ansia collettiva: l’incertezza sulle risorse disponibili una volta concluso il PNRR, indicata dal 57% delle strutture come una criticità concreta.

La questione, insomma, non è più solo tecnologica. Come sottolinea Chiara Sgarbossa, Direttrice dell’Osservatorio Sanità Digitale, “è indispensabile affiancare agli investimenti in infrastrutture tecnologiche un impegno strutturale sulla trasformazione organizzativa e culturale del sistema”. Non basta installare, bisogna anche cambiare testa; e farlo prima che l’hardware resti senza software umano.

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