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Sanità digitale, il Fascicolo Sanitario Elettronico ancora poco utilizzato in Italia. I dati

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Sebbene l’attuazione tecnologica del servizio sia completata nella quasi totalità delle regioni, con una media nazionale che sfiora il 97%, l’effettivo utilizzo del FSE appare ancora estremamente disomogeneo lungo la Penisola. Secondo i dati Agid, se in alcune regioni l’alimentazione sfiora o raggiunge il 100%, tra cui la Toscana (100%), l’Emilia-Romagna (98,15%), ma anche la Sicilia (86%), un quadro completamente differente viene dalla Calabria che riporta un’alimentazione del sistema praticamente nulla (0,90%).

In Italia la diffusione del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) risulta ancora parziale e frammentata a livello regionale, con conseguenti limitazioni in termini di efficienza ed interoperabilità. L’eventuale apertura a parti terze potrebbe garantire una gestione più efficiente delle informazioni cliniche e un incremento nella qualità dell’assistenza.

Sono questi alcuni degli spunti contenuti nello studio dal titolo “Il fascicolo sanitario elettronico come leva della sanità digitale” realizzato dall’Istituto per la Competitività (I-Com) e presentato nel corso di un dibattito promosso insieme a Doctolib, tech company nata in Francia nel 2013 e attiva in Italia dal 2021, tra i principali player europei nella sanità digitale. Parte del ciclo di tavole rotonde “Salute Digitale: nuovi paradigmi per la sanità”, l’iniziativa ha avuto lo scopo di approfondire opportunità e criticità dell’impiego del FSE come tecnologia abilitante la digitalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale.

Ad oggi il Fascicolo sanitario elettronico non fornisce ancora una rappresentazione puntuale delle condizioni di salute dell’assistito, del contesto sociosanitario e dei piani socioassistenziali. Sebbene l’attuazione tecnologica del servizio sia completata nella quasi totalità delle regioni, con una media nazionale che sfiora il 97%, l’effettivo utilizzo del FSE appare ancora estremamente disomogeneo lungo la Penisola. Secondo i dati Agid, se in alcune regioni l’alimentazione sfiora o raggiunge il 100%, tra cui la Toscana (100%), l’Emilia-Romagna (98,15%), ma anche la Sicilia (86%), un quadro completamente differente viene dalla Calabria che riporta un’alimentazione del sistema praticamente nulla (0,90%).

Nell’ultimo trimestre del 2023 gli unici medici che hanno alimentato il FSE con il Profilo Sanitario Sintetico del paziente sono quelli della Valle d’Aosta (60%) e della Sicilia (21%). Nonostante in molte regioni come Lombardia, Emilia, Valle d’Aosta e Sardegna il personale medico abilitato all’utilizzo del Fascicolo lo abbia utilizzato almeno una volta nell’ultimo trimestre, nessuno tra gli specialisti lo ha aggiornato o ha inserito nuovi profili sanitari. In Toscana, Abruzzo, Molise e Lazio sono invece meno del 30% i medici abilitati che lo hanno usato almeno una volta da quando è stato introdotto. Queste diseguaglianze ne limitano la fruibilità e l’efficacia come strumento di supporto, diagnosi e prevenzione.

Le problematiche legate all’implementazione del Fascicolo da parte del personale sanitario sono da attribuirsi principalmente al fatto che molti medici di medicina generale (MMG) sono spesso poco abituati a lavorare con la tecnologia e hanno scarse competenze digitali, oltre che alla mancata integrazione di cartelle cliniche con il FSE,limitando così la sua alimentazione e la consultazione dei documenti in esso presenti, e alla scarsa diffusione di software orientati alla gestione nativa del dato clinico.

Anche per quanto riguarda l’utilizzo da parte dei cittadini esistono grandi differenze regionali. Sempre secondo stime Agid, nel 3° trimestre del 2023, infatti, solo il 22% dei cittadini ha provveduto ad accedere ai propri FSE nei quali è stato reso disponibile almeno un nuovo documento negli ultimi 90 giorni. La regione più virtuosa è l’Emilia-Romagna dove l’81% dei cittadini ha visualizzato il proprio FSE, mentre chiudono la classifica Campania (3%), Sicilia (3%) e Marche (1%).

Utilizzando un approccio comparativo, lo studio presenta inoltre un’analisi a livello europeo (in particolare su Francia, Spagna, Italia e Germania) degli Electronic Health Records (EHR) come strumento digitale nel settore sanitario evidenziando come tutti questi casi si inseriscano nella cornice comunitaria, in particolare nell’ottica della rinnovata attenzione a come la raccolta e l’uso dei dati in sanità possano contribuire a fornire, tramite interoperabilità ed efficienza, servizi sempre più efficaci e vicini alle esigenze dei pazienti.

In attesa di un framework condiviso e applicabile, gli stati europei si stanno infatti attrezzando con strumenti di registri sanitari elettronici di portata nazionale. Dall’indagine emerge che diversi paesi UE hanno aperto a collaborazioni e partnership con parti terze per la gestione delle proprie cartelle sanitarie digitali, elemento che sembra agevolare interoperabilità, oltre alla definizione e raggiungimento di standard di sicurezza estremamente elevati. Tra i casi presi in considerazione, il piano del governo francese offre un modello funzionale: il 92% dei francesi con un’assicurazione dispone di un profilo Mon Espace Santé, in più i documenti scambiati sono aumentati da 10 milioni del 2021 a 250 milioni del 2023 e si stima arriveranno a 400 milioni entro il 2026.

L’eventuale apertura a parti terze nella gestione dei servizi sanitari è infatti ancora elemento di contrasto in Italia, con discussioni sul tema che sono ancora perlopiù caratterizzate da tabù e pregiudizi e non da rigorose valutazioni su costi e benefici. Tuttavia, come rivelato da un’indagine Quorum/Youtrend per Doctolib, il 65% dei medici ha già sfruttato servizi privati esterni per facilitare le interazioni con i pazienti e l’88% di essi si ritiene soddisfatto del servizio. Anche il 56% dei pazienti è favorevole a ricorrere ad applicazioni di terze parti per la gestione della loro sfera privata in ambito sanitario.

L’apertura del mercato della gestione dei dati anche al settore privato, ad esempio mediante l’utilizzo di contratti di partenariato pubblico-privato (PPP), rappresenta una possibile soluzione per lo sviluppo della digitalizzazione del sistema sanitario nel nostro Paese e favorire un incremento del capitale digitale dei cittadini nell’ottica di una personalizzazione delle cure e della presa in carico dei pazienti.


[1] Fonti utilizzate per l’elaborazione dell’analisi: Statista, Ministère de la Santé et de la Prévention (Francia), Ministerio de Sanidad (Spagna), Bundesgesundheitsministeriums (Germania).