L'intervento

Safer Internet Day, Nicita (Agcom): ‘Millennials inconsapevoli, l’oblio è un dovere?’

di Antonio Nicita, Commissario Agcom |

Antonio Nicita, commissario Agcom: ‘Ci sono diversi modi per migliorare la sicurezza della rete e il tema della giornata odierna è soprattutto dedicato ad un uso consapevole della Rete da parte dei più giovani’

Oggi è la giornata europea per un Internet più sicuro (internet safer day). Ci sono diversi modi per migliorare la sicurezza della rete e il tema della giornata odierna è soprattutto dedicato ad un uso consapevole della Rete da parte dei più giovani. Intendiamoci, i millennials, anche se giovanissimi, sono molto più abili di coloro che li hanno preceduti nell’uso della rete, nel muoversi tra device alternativi, nel muoversi velocemente da end user in un ambiente digitale nuovo.

Anzi, le innovazioni digitali hanno successo proprio quando superano i trials di bambini, ragazzi e adolescenti che attraverso il loro intuito ‘fanno funzionare’ programmi per loro inediti. Non è quindi l’intuizione digitale che manca ai più giovani, né le abilità per muoversi rapidamente in quel mondo.

Quello che manca – e non solo a loro – è da un lato la consapevolezza di cosa ci sia dietro la rete e di cosa significhi accesso free (insieme libero e gratuito), quando lo scambio implicito nella transazione digitale che avviene nella Rete è tra i propri dati e l’accesso a determinate informazioni.

Ma manca anche, per i più giovani, una certa consapevolezza della dimensione del tempo e dello spazio tra Rete e orizzonte della propria esistenza, della centralità ma anche della ‘relatività’ della rete. Come ha ben scritto Michele Mezza (Giornalismi in Rete, Donzelli 2015), la Rete non è un nuovo media e, di fatto, non media più o, meglio, mediare non è il suo ruolo, essendo la Rete niente più che la società in Rete, con le sue complessità, profonde contraddizioni, steccati ideologici, slanci di umanità, luoghi di contrapposizione, hatespeech, burle, bufale, boutade, veri e falsi scoop e così via.

E’ una consapevolezza che invece hanno coloro che mantengono memoria di un mondo diverso. Quello ‘analogico’ nel quale il giornale di ieri era sostituito da quello di oggi. Un’offesa o uno scherno si dimenticavano con la campanella di scuola, una bugia veniva smentita, dimenticata e spesso perdonata, una foto invecchiata o perduta.

Il tempo e la memoria.

Le cose che passano, che devono passare, superate dall’inaggirabile trascorrere delle ore, delle giornate, degli anni. Il giusto peso delle cose e degli eventi, visti con lo sguardo lungo del tempo che, fortunatamente, passa.

Nei casi di cyberbullismo tra adolescenti che ha ben documentato la Presidente Laura Boldrini (Lo sguardo lontano, 2015, Einaudi) l’insopportabile vergogna o umiliazione che alcuni giovani hanno dichiarato di provare rispetto a foto e commenti ricevuti sui social network erano legate ad una percezione di indefinita ed elastica contemporaneità della rappresentazione di sé. Qualcosa che resta nella Rete per sempre e che non può cambiare, lo sguardo eterno del mondo su di te. Nei casi più tragici, uscire dal mondo è parsa ad alcuni di loro l’unica possibilità per uscire (anche) dalla Rete.

Sono casi estremi, per carità. Ma il senso della consapevolezza della Rete, per un Internet più sicuro, è anche quello di riallineare Tempo e Rete, di saper dimenticare, di esercitare non solo un diritto ma anche un dovere dell’oblio, uno sguardo disincantato su quello che accade nella Rete. Prendere la Rete sul serio, come spazio di libertà, vuol dire anche guardarla con disincanto, quasi con ironia. Le fiammate di like, i commenti a valanga, i contenuti virali sono destinati ad essere ‘dimenticati’, come fenomeni passeggeri di moda, anche se restano in rete o fintanto che lo siano.

Un internet più sicuro non è solo dato da forme (leggere) di autoregolamentazione, ma anche da uno sguardo disincantato sulla (sostenibile) leggerezza della Rete.  Ho cominciato a spiegarlo ai miei figli di otto anni.

Quando mi dicono “l’ho visto su Internet”, gli faccio notare che, con un po’ di pazienza, si può trovare anche una verità opposta. Che Internet serve non a trovare ma a cercare. E che la ricerca finisce quando si sono confrontate cose diverse. Che la Rete è un archivio dilatato nel tempo, in un eterno presente, ma che tocca a noi ordinare le cose che ritroviamo. Dare loro una cronologia. Un senso del tempo.

Tocca a noi, come ha spesso ripetuto Sergio Zavoli, “mettere a posto le parole”. La Rete ci aiuta a ricordare, ma non è la nostra memoria. Né essa è memoria collettiva. La differenza tra archivio e memoria consiste nel fatto che la memoria è un processo selettivo, una scelta. Di un singolo o di molti.

Saper usare la Rete significa anche questo. Nel giorno del safer internet, dobbiamo saper spiegare ai più giovani e a noi stessi che la Rete si deve guidare, proprio come una macchina. Che è cosa ben diversa dall’abilità di usare una tecnologia digitale. Significa scegliere itinerari e punti di arrivo. Ricercare. Non esiste dunque, di per sé, un Internet più sicuro fatte salve tutte le opportune misure di self-regulation. Esistono solo utenti più consapevoli delle meraviglie e degli incubi che la Rete – specchio della società – porta con sé.