La sperimentazione

Robot viventi, negli USA si sperimentano “nuovi organismi” fusi alle macchine

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Biologi ed esperti di robotica americani hanno dato vita ad un organismo di nuovo tipo, una macchina “quasi viva”, ottenuta a partire da cellule di rana. "Living robots" biologicamente strutturati, utili alla scienza, soprattutto alla medicina, ma su cui è necessario aprire una questione etica.

La vita può essere programmata come un qualsiasi software? O un robot? A quanto pare sì. Il matrimonio tra robotica e biologia è avvenuto e ha dato vita ad una nuova forma di organismi, che possiamo considerare come sconosciuti sul nostro pianeta: il living robot.

Dall’Allen Discovery Center della Tufts University di Medford, nel Massachusetts, è arrivata la notizia della nascita di un nuovo tipo di macchina e allo stesso tempo di un nuovo tipo di esseri viventi: “Si tratta di forme di vita completamente nuove, mai apparse prima sulla Terra. Sono organismi viventi programmabili”, ha spiegato Michael Levin, direttore del centro di ricerca.

Gli xenobot

Si tratta di una macchina “quasi viva”, chiamata “Xenobot”, una sorta di Frankenstein del XXI secolo, frutto del lavoro di due esperti di robotica, Sam Kriegman e Josh Bongard, e due biologi, il già citato Levin e Douglas Blackiston, che hanno assemblato cellule prelevate dal cuore e dalla pelle di una rana africana (Xenopus laevis) con nanorobot lunghi meno di un millimetro.

Il risultato è stato pubblicato sulla rivista scientifica “Proceedings of the National Academy of Sciences”. Invece di plastica e metalli, i ricercatori hanno preferito studiare i vantaggi dei tessuti biologici da integrare alla robotica: “Quando vengono danneggiati, i robot viventi possono curarsi da soli le ferite e, una volta terminato il loro compito, decadere, proprio come fanno gli organismi naturali alla loro morte”.

Il programma di ricerca è partito da configurazioni 3D casuali relative a 500 e 1.000 cellule della pelle e del cuore. Il tutto, grazie all’utilizzo di un supercomputer, è sviluppato inizialmente all’interno di ambienti virtuali.

Sfruttando la naturale capacità di contrazione delle cellule del cuore, gli scienziati hanno trovato il modo di far muovere i nanorobot. Le stesse cellule hanno un potenziale energetico da trasferire alle macchine, che varia tra sette e dieci giorni.

Al momento, si legge in un articolo pubblicato sul quotidiano The Guardian, questi living robot stanno nuotando in soluzioni idriche speciali: “Si stanno muovendo, alcuni in linea retta, altri in tondo, altri ancora infine si stanno unendo in gruppo”.
Insomma, sono vivi.

Nel progetto di ricerca americano, gli xenobot potrebbero un giorno essere costruiti anche a partire da vasi sanguigni, sistemi nervosi e cellule sensoriali (senza contare l’integrazione con l’intelligenza artificiale di prossima generazione), così da arrivare a formare occhi rudimentali e altri organi tipici dei grandi animali. In teoria, realizzandole a partire da cellule di mammiferi, queste macchine “quasi viventi” potrebbero presto arrivare ad adattarsi e muoversi su terra ferma, insieme a noi.

Impieghi

Come prevedibile, attorno a questa sperimentazione, è stata subito sollevata la questione etica/morale relativa al concetto di vita e sul come classificare questi organismi di nuova specie. D’altronde, si tratta di un progetto sostenuto dal Governo, tramite la US Defense Advanced Research Projects Agency, quindi anche con fondi pubblici, e mirato a sviluppare programmi per l’apprendimento permanente delle macchine, con l’obiettivo di ricreare i processi di apprendimento biologici, tipici degli animali e degli esseri umani, anche nelle macchine.

Oggi, spiegano i ricercatori, gli xenobot potrebbero avere diversi impieghi nel nostro mondo, per migliorare l’ambiente e gli ecosistemi, ma soprattutto in medicina, in chirurgia e in particolar modo nelle cure di malattie genetiche: “Si pensi alle malattie genetiche, ai difetti alla nascita, al cancro e alle malattie legate all’età, a partire dagli xenobot tutte queste cose potrebbero essere risolte se sapessimo creare strutture biologiche alternative e avere il massimo controllo sulla loro crescita e sulla forma”.

I dubbi

Le biotecnologie e la biorobotica da anni stavano accumulando test e tentativi per arrivare a creare la vita dalle e con le macchine. Di fronte al progresso tecnologico e il suo sviluppo (sempre difficile da decifrare e valutare in termini di conseguenze dirette sul benessere degli esseri viventi, umani compresi), su questi temi è necessario tenere sempre aperto un confronto tra il modo della ricerca, dell’industria, della finanza, della politica e delle Istituzioni pubbliche, con la società nel suo complesso (senza contare il punto di vista religioso).

Presto si passerà da poche migliaia di cellule (come nel caso degli xenobot) a diverse centinaia di migliaia, spostando così la nostra attenzione anche sulla grandezza fisica che questi nuovi organismi biorobotici potranno raggiungere (al momento ancora molto lontani dalla vecchia idea di cyborg e replicanti, visto che un uomo mediamente è composto da migliaia di miliardi di cellule).

Le domande attorno a questi progetti di ricerca scientifica sono comunque molte. Chi controlla la nascita e la riproduzione di questi nuovi organismi tecnologicamente potenziati? A che cosa serviranno davvero i robot viventi? Dobbiamo considerarli vivi o “quasi vivi” e che differenza c’è? Che tipo di implicazioni etiche o morali comporteranno? Che livello di sicurezza è stato preso? Potrebbero un giorno rappresentare una minaccia per noi e le altre specie viventi? Avranno un giorno dei diritti?
È necessario che l’etica guidi certi percorsi di ricerca?
Posto che principi e valori sono mutevoli nel tempo, un intervento culturale e regolatorio in questo settore è più che mai indispensabile, visti i pericoli che comunque sono insiti in certe attività.