Lavoro

Robot. L’Italia come il Giappone, se la manodopera non è qualificata si investirà in automazione

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Dal Festival del Lavoro di Torino una stima delle conseguenze della trasformazione digitale: le macchine non sono una minaccia, ma servono conoscenze e competenze, altrimenti si sarà sostituiti dai robot. L’Henna Hotel di Nagasaki ha già automatizzato gran parte dei servizi.

Il crollo demografico, le scarse competenze dei lavoratori e la mancata inclusione dei migranti sono alcune tra le possibili cause di un avvicendamento tra macchine e lavoratori in diversi Paesi occidentali. Italia e Giappone potrebbero avere un medesimo destino.

Nel Paese asiatico, ad esempio, a causa delle criticità sopra menzionate, le aziende hanno aumentato la spesa in automazione del 9,9%. Non solo, le grandi imprese accresceranno gli investimenti in macchine del 17,5% nell’anno in corso.

In particolare, si legge in un articolo di oggi sul quotidiano La Stampa, c’è un albergo di Nagasaki, l’Henna Hotel, che ha rimpiazzato gran parte del personale con dei robot.

Una situazione che potrebbe verificarsi anche in Italia. Lo studio presentato ieri al Festival del Lavoro di Torino, promosso dall’Osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro, evidenzia la possibilità concreta che il 36,8% dei lavoratori potrebbe essere sostituito dalle macchine nel giro di pochi anni.

Si tratta, principalmente, di mansioni ripetitive e poco o scarsamente qualificate. L’Osservatorio stima che a finire vittima del processo di robotizzazione del mondo del lavoro saranno principalmente manovali e personale non qualificato, uscieri, lettori di contatori, collaboratori domestici, lavoratori dell’edilizia e dell’industria, venditori ambulanti, braccianti agricoli, lavoratori nelle miniere e nelle cave.

Tutte queste professioni nel periodo 2012-2016 hanno già registrato una perdita complessiva di 190 mila occupati. Discorso completamente diverso per quelle altamente qualificate, che hanno visto una crescita dell’occupazione di 141 mila unità lavorative.

La differenza, secondo l’indagine, sta nel fatto che l’impatto tecnologico non ha e non avrà effetti negativi nel mondo del lavoro se le persone avranno modo di adeguarsi alla trasformazione accrescendo le proprie conoscenze e competenze.

Andando a vedere quali sono i profili altamente qualificati più richiesti dalle imprese in questi anni troviamo al primo posto gli analisti e progettisti di software (+22,9 mila); a seguire: i disegnatori industriali (+20,4 mila), le professioni sanitarie riabilitative (+18,9 mila), i tecnici programmatori (+14,1 mila), i tecnici esperti in applicazioni (+13,8 mila), i maestri d’asilo (+12,5 mila), i tecnici del reinserimento e dell’integrazione sociale (+11,8 mila), gli specialisti nell’educazione dei soggetti diversamente abili (+9,6 mila), i tecnici del marketing (+9,4 mila) e gli specialisti nei rapporti con il mercato (+8,1 mila).