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Robot economy, in Italia aumentano i posti di lavoro a rischio automazione. Contratti sempre più ‘atipici’

Il nostro Paese, come tutti gli altri nel mondo, è alle prese con un rapido processo di automazione e trasformazione digitale delle imprese e del mondo del lavoro nel suo complesso. Le macchine aumentano la produttività, ci consentono di vivere una vita più semplice, ci aiutano a cambiare il mondo faticando meno, molto meno, ma allo stesso tempo esigono da parte nostra un maggiore impegno, soprattutto formativo.

Lavorare accanto alle macchine può essere soddisfacente e vantaggioso, a patto che sappiamo starci. Per dialogare con i robot serve una maggiore formazione, competenze avanzate, abilità nuove. Ciò vuol dire che molto del nostro tempo “libero” dovrà esser dedicato allo studio, alla formazione e lo sviluppo delle competenze non più 2.0, ma 4.0.

Il nuovo rapporto dell’Organisation for Economic Co-operation and Development (OCSE), “Job creation and local economic development 2018: preparing for the future of work”, pubblicato stamattina, mette in evidenza alcuni fattori chiave per comprendere fino in fondo in che modo l’automazione e la robot economy potranno plasmare il nuovo mondo del lavoro, in Italia e nel resto del mondo, tra cui l’elemento geografico, quello contrattuale e quello culturale.

In alcune aree del mondo il rischio automazione del lavoro, con la reale possibilità di perdita del lavoro per gli esseri umani a vantaggio delle macchine, può essere molto più alta che in altre.

In Italia, ad esempio, lo studio ipotizza che i posti di lavoro a rischio robotizzazione sono in crescente aumento, con un posto su sei che quasi sicuramente sarà perso a vantaggio delle macchine.

Questo per vari motivi, tutti parte di un panorama economico, culturale e politico nazionale molto particolare e con numerose criticità (prima di tutto la mancanza di una strategia nazionale che vada oltre il concetto di “Industry 4.0”, perché le criticità maggiori riguardano non tanto la produttività, quanto le ricadute sociali di tale progresso).

Lo scenario tratteggiato dall’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, infatti, esamina anche i contratti di lavoro, le nuove forme atipiche di occupazione che anche grazie all’automazione 4.0 prenderanno il sopravvento sul mercato interno ai singoli Paesi industrializzati, dal precariato al part time al lavoro autonomo.

Il 15% dei posti di lavoro in Italia (media OCSE 14%) è ad alto rischio automazione, secondo il Rapporto. In questo caso, ogni lavoratore del nostro Paese ha più del 70% circa delle possibilità di esser sostituito da un robot.

Il 35% circa degli altri posti di lavoro (media OCSE 32%), occupati dai nostri connazionale, soffre un rischio automazione che si aggira tra il 50 ed il 70%.

Se seguiamo la variabile geografica, vediamo che in Slovacchia, ad esempio, il 40% dei posti di lavoro è ad alto rischio automazione, contro il 4% della Norvegia, in special modo dell’area metropolitana di Oslo.

Poi ci sono misurare variazioni più o meno consistenti all’interno dei singoli Stati, come in Spagna, dove tra una regione e l’altra sì possono registrare differenze oltre i 12 punti percentuale.

La “buona notizia”, si legge nel documento OCSE, è che, dal 2011, “la maggior parte dei Paesi è riuscita a creare un numero superiore di posti di lavoro con un rischio inferiore di automazione rispetto a quelli scomparsi nei settori ad alto rischio automazione”.

A fare la differenza, certamente, saranno le percentuali di manodopera qualificata, il livello di istruzione e di urbanizzazione, il tasso di innovazione, i tassi di occupazione e disoccupazione, le tipologie di contratto e le politiche di sviluppo ed incentivazione proposte dai singoli Governi.

Riguardo i diversi contratti di lavoro, è chiaro, hanno spiegato i ricercatori, che i cambiamenti tecnologici in atto potrebbero anche far aumentare i contratti di lavoro temporanei e a tempo parziale in quasi tutti i Paesi OCSE, con maggior coinvolgimento di donne, giovani e lavoratori con basso livello di istruzione e scarse competenze.

Per contenere gli effetti negativi dell’automazione, tra cui ovviamente la disoccupazione tecnologica e l’esclusione/emarginazione di intere categorie sociali, gli studiosi suggeriscono di ideare e mettere in pratica nuove e lungimiranti politiche di sostegno, “che siano in grado di legare tra loro la maggiore produttività dovuta all’automazione, integrando i gruppi di persone più svantaggiati”.

Un’azione considerata essenziale per mantenere alta la coesione sociale e la lotta alle disuguaglianze.

Fondamentale, in questi termini, che il futuro rientri nell’agenda politica nazionale e del Governo.

Molti settori dell’azione governativa, si legge nel Report, dalle politiche del lavoro a quelle dell’innovazione e dei trasporti, possono contribuire concretamente sia alla produttività, sia all’inclusione.

Per riuscirsi, bisogna offrire a tutti percorsi di formazione per acquisire e migliorare le proprie competenze, primi passi fondamentali per entrare o rientrare (e rimanerci) in un mondo del lavoro sempre più tecnologico.

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