Industria 4.0

Robot e AI, a rischio 66 milioni di posti di lavoro? Di certo non in Asia

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Tra il 2005 ed il 2015 l’innovazione tecnologica ha creato 134 milioni di occupati in 12 Paesi asiatici. Nuovo studio Ocse mette paura all’Occidente: a rischio automatizzazione più del 14% dei posti di lavoro.

Sicuramente l’approccio alla tecnologia e alle sue evoluzioni industriali ed economiche è sempre culturalmente determinato. Masatoshi Ishikawa, docente di robotica all’Università di Tokyo, ha addirittura sviluppato una teoria del tutto singolare: le credenze religiose hanno un grande impatto sul nostro modo di guardare al mondo e quindi anche le macchine.

Il monoteismo tipico dell’Occidente difficilmente sarà disposto a concedere un’anima ad un robot, al contrario dello spiritualismo orientale che invece è più propenso a percepire come ‘vivo’ un corpo inorganico.

Secondo lo studioso, quindi, la differenza tra Occidente ed Oriente nel trattare i robot è tutta in questa predisposizione d’animo: “Qui in Giappone la religione non è un impedimento nel rapporto con i robot, anzi, sono visti come una risorsa per migliorare la vita degli esseri umani”, si legge in un articolo del Financial Times firmato da John Thornhill.

Robot come amici, quindi, a differenza del punto di vista europeo ed americano che ancora è piuttosto diffidente riguardo la diffusione dell’automazione un po’ ovunque, dalla manifattura alla sanità, che potrebbe causare disoccupazione, esclusione e perdita dei diritti.

In un recente Report pubblicato dalla Asian Development Bank, si è calcolato che dal 2005 al 2015 in 12 tra i più sviluppati Paesi asiatici il numero di posti di lavoro creati dall’innovazione tecnologica è molto più alto di quelli distrutti: “La trasformazione tecnologica del mondo del lavoro in questi anni ha prodotto 134 milioni di nuovi occupati contro 101 milioni di posti persi”.

L’Oriente non ha pregiudizi sulle macchine, alcuni Paesi asiatici addirittura preferiscono impiegare i robot piuttosto che gli immigrati nelle fabbriche.

Il problema dell’invecchiamento della popolazione è sentito nelle grandi economie orientali e la sostituzione dei lavoratori pensionabili con nuova forza lavoro avviene anche qui con l’immissione sul mercato del lavoro di uomini e donne provenienti da altri Paesi.

L’automazione sta penetrando rapidamente anche negli ospedali e nelle strutture di cura private, uscendo all’esterno delle fabbriche e degli impianti produttivi e di ricerca e innovazione.

I prossimi passi della robotica in Giappone e in Corea del Sud, ad esempio, vanno nella direzione di investire maggiormente sui robot di terza generazione, combinando hardware e software per ottenere macchine umanoidi, forti, instancabili ed efficaci, ma “emotivamente consapevoli”, ha dichiarato al quotidiano il fondatore della startup GrooveX, Kaname Hayashi.

L’imprenditore, infatti, è capo del progetto “Lovot”, fusione tra le parole “Love” e “Robot”, che ha lo scopo di sviluppare un robot appunto umanoide, che sappia comprendere lo stato d’animo dei suoi amici umani e all’occorrenza ci sappia far ridere e ci aiuti a sentirci meglio, più sicuri di noi stessi, in alcuni casi magari anche felici.

Come ha spiegato bene il direttore generale DG Connect della Commissione europea, Roberto Viola, in un tweet a commento dell’articolo: “Dobbiamo sviluppare nuova tecnologia per sfruttarla a nostro vantaggio”, “siamo sempre a noi a dover dire ai robot cosa fare” e mai il contrario possiamo affermare.

D’altronde, non tutti sono d’accordo in questa parte di mondo sull’utilizzo massiccio di robot nell’industria e in altri settori prodottivi. Le persone temono di perdere il lavoro e forse è rimasto nel nostro DNA il terribile trauma sociale dovuto alla prima e la seconda rivoluzione industriale in Europa.

In uno studio dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) di aprile, si stima che più di 66 milioni di posti di lavoro sono a rischio in tutto il mondo con l’introduzione dell’automazione, dell’intelligenza artificiale e dei robot.

Per la precisione, è a rischio il 14% dei posti di lavoro considerati “altamente automatizzabili” (tra cui quelli in fabbrica, ovviamente, con l’industria 4.0, ma anche in agricoltura e nel terziario), mentre il 32% subirà una notevole trasformazione nelle mansioni e le competenze richieste proprio a causa della robotica.