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Risolvere la crisi migratoria: quale contributo dall’ICT?

Nessuno dubita che la crisi migratoria sia una delle più gravi emergenze che ci si trova ad affrontare in questa prima parte del XXI Secolo; anzi, molti ormai cominciano a pensare che questo problema sarà destinato ad attanagliare l’Europa per molti decenni. A fianco delle misure emergenziali, però, si devono quanto prima identificare e mettere in atto soluzioni di medio-lungo termine tali da consentire alle popolazioni povere del Sud del Mondo di trovare un proprio percorso di crescita economica stabile.

Nell’aprile 2016 il Governo italiano ha avanzato alla Commissione europea una proposta denominata “Migration Compact”. La proposta è stata accolta generalmente in modo favorevole, proprio perché tenta di tracciare anche un percorso di iniziative coordinate tra Paesi europei e africani, al fine di creare le condizioni economiche per fermare questa immane tragedia. Da questo punto di vista, il documento del Governo suggerisce alcune misure, fra cui le seguenti: “La UE può offrire progetti di investimento con un alto impatto sociale e infrastrutturale da identificare insieme al paese partner (…) e dovrebbe essere stabilito un nuovo Fondo europeo per gli investimenti nei paesi terzi. (…) La UE può chiedere cooperazione su rientri e riammissioni, concentrandosi su accordi operativi, distacco reciproco di ufficiali di collegamento nei Paesi terzi e negli Stati membri per accelerare l’identificazione e il rilascio di documenti di viaggio. La UE dovrebbe finanziare questi distacchi, nonché i programmi di reinserimento per i rimpatriati. (…) La UE dovrebbe fornire assistenza nello sviluppo di basi di dati biometriche e sistemi IT per i registri civili”.

Si ritiene che i sistemi IT (o, più propriamente, ICT) dovrebbero svolgere un ruolo ampio in queste politiche, in considerazione del loro basso costo e alto ritorno economico. La Banca Mondiale ha stimato da tempo (2009) che ogni aumento del 10% di penetrazione della banda larga produce un aumento di 1,4% di crescita del PIL nei paesi a basso-medio reddito. Peraltro, è ben noto che l’avvento delle comunicazioni mobili ha rappresentato nel decennio trascorso uno dei principali propulsori della crescita economica nei paesi in via di sviluppo, in generale, e nel continente africano, in particolare: in certi paesi è maggiore il numero delle persone che possiedono un telefonino di quanti abbiano l’energia elettrica in casa.

D’altra parte, gli studi dell’economista peruviano Hernando de Soto, famoso attivista contro la povertà, attribuiscono alla mancanza di adeguata documentazione dei diritti di proprietà il punto critico dell’incapacità di crescita nei Paesi in via di sviluppo. In particolare, de Soto stima in almeno 20.000 miliardi di $ l’economia “resa invisibile” e quindi inutilizzabile dalla mancanza di documentazione delle persone che “non consente loro di possedere un conto in banca, impedisce di assumere prestiti fornendo a garanzia la casa di proprietà, nega loro l’accesso alle assicurazioni e ne indebolisce seriamente la posizione contrattuale nei confronti di tutti coloro la cui vita, le proprietà e le attività commerciali sono legalmente documentate”, come spiega Michael Casey del MIT MediaLab, che definisce questa condizione “un tragico fallimento dell’economia globale”.

Se questa analisi è vera, esistono oggi le tecnologie delle basi di dati distribuite e concatenate (il Blockchain introdotto per la prima volta dal sistema Bitcoin) in grado di fornire un supporto in modo da accelerare la soluzione. Il Blockchain è sempre più considerato una delle principali tecnologie che cambieranno il mondo da oggi al 2025: si tratta di una fondamentale innovazione, un protocollo che permette il trasferimento digitale immediato, sicuro, diretto (cioè senza intermediari) di valore economico, beni e attività: si pensi, in altre parole, non solo al denaro (o suoi surrogati), ma a contratti, titoli, proprietà materiali e immateriali. Esso consente la registrazione trasparente e certa dei beni e, se viene anche collegato a una tecnologia di identità digitale (come, ad esempio, la eResidency recentemente sviluppata dal Governo estone), sta già permettendo applicazioni mai in precedenza neppure pensate. Ad esempio Nasdaq, la più grande Borsa tecnologica mondiale, sta sperimentando il sistema di voto in assemblea combinando il Blockchain e la eResidency.

Per fare un esempio di applicazioni istituzionali, la Repubblica di Georgia ha avviato una collaborazione con un’impresa multinazionale americana impegnata sulle tecnologie Bitcoin per fare accrescere i livelli di trasparenza attraverso lo sviluppo di un sistema di registrazione dei titoli di proprietà della terra, utilizzando il Blockchain nell’ambito della Agenzia Nazionale del Registro Pubblico: de Soto si sta impegnando come consulente per lo sviluppo della piattaforma.

Tuttavia, sarebbe un errore pensare che il Blockchain sia una bacchetta magica per i paesi in via di sviluppo, così come non lo può essere l’impiego di qualsiasi tecnologia presa a sé stante. Occorre una complessa operazione di sistema che includa interventi normativi, economici e culturali. Ma, l’uso delle tecnologie ICT – fra cui un posto chiave dovrebbe assumerlo il Blockchain – dovrebbe essere considerato in questo quadro di azioni integrate, e questo dovrebbe essere fatto con urgenza. La proposta del Governo italiano potrebbe essere un’occasione per avviare una riflessione in merito.

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