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Riforma Rai, troppe tensioni. Il voto slitta a dopo le Feste?

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Tensioni al Senato per la mancanza del numero legale per ben due volte. Il voto slitta alla prossima settimana o al rientro dalle Feste.

Slitta alla prossima settimana, se non addirittura a dopo le festività di Natale, il voto al Senato sulla riforma della governance Rai.

Così ha deciso ieri sera la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama convocata dal presidente Pietro Grasso dopo che per due volte è venuto a mancare il numero legale in Aula.

Si corre però anche il rischio che si arrivi al nuovo anno.

Il senatore di Forza Italia, Antonio D’Alì, ha infatti dichiarato di non essere d’accordo con la decisione della capigruppo e di proporre di votare la riforma dopo la pausa natalizia, alla ripresa dei lavori a gennaio. Avendo verificato una volta di più l’assenza del numero legale in Aula, la proposta di modifica di calendario del senatore sarà votata martedì 22 dicembre.

In ogni caso il via libera arriverà dopo quello alla Legge di Stabilità che sbarcherà lunedì in commissione bilancio al Senato, e che contiene anche la norma sul canone Rai in bolletta sulla quale continua a esserci alta tensione.

Il voto finale dovrebbe arrivare tra martedì sera e mercoledì mattina, altrimenti si andrà a gennaio. Dopo l’ok del Senato il testo di riforma sulla governance Rai diventerà legge perché si tratta della terza lettura, quella definitiva.

Palazzo Madama aveva, infatti, votato a luglio il testo in prima lettura che è stato poi modificato a ottobre dalla Camera.

La più grossa novità di questa riforma è l’istituzione dell’amministratore delegato al posto del direttore generale. Una volta approvata la Legge, all’attuale Dg, Antonio Campo Dall’Orto, andranno i poteri previsti per l’Ad, cioè quelli di nomina per tutti i dirigenti, compresi quelli editoriali ma, in questo ultimo caso, sentito il parere del Consiglio d’amministrazione, vincolante, se espresso dai due terzi, per i direttori di testata. L’Ad viene nominato ogni tre anni dal Cda su proposta del Ministero dell’Economia e non deve aver ricoperto cariche di governo fino a 12 mesi prima della nomina.

Resiste la figura del presidente di ‘garanzia’, eletto dal Cda tra i suoi membri, che diventa tale solo dopo il voto favorevole dei due terzi tra i componenti della Commissione di Vigilanza.

Il Cda diventa più snello passando a sette membri dagli attuali nove. Quattro verranno nominati da Camera e Senato, con un avviso pubblico di selezione da emettere 60 giorni prima della nomina e con invio dei curricula trenta giorni prima. Due saranno nominati dal governo e un altro componente sarà designato dall’assemblea dei dipendenti.

Per quanto riguarda la trasparenza si stabilisce che sul sito della Rai dovranno essere pubblicati gli investimenti destinati all’audiovisivo e alle coproduzioni internazionali, i curricula e i compensi lordi dei consiglieri di amministrazione e dei sindaci nonché ‘dei dirigenti di ogni livello’ e dei soggetti, non titolari di contratti di natura artistica, compresi i giornalisti, con trattamento annuo pari o superiore a 200 mila euro.

Non sono mancate le critiche specie da Usigrai. Il Segretario nazionale Vittorio Di Trapani, in occasione del passaggio alla Camera del testo, ha dichiarato a Key4biz: “Questo Ddl non risponde agli obiettivi fissati prima che da noi dal Presidente del Consiglio quando disse ‘libereremo la Rai dai partiti e dai governi’. Questo Ddl non c’entra questo obiettivo, non restituisce la Rai ai cittadini e non risolve i problemi che da anni denunciamo, quelli del controllo della politica sul servizio pubblico”.

Le nuove norme cambiano gli equilibri dei poteri ai vertici di Viale Mazzini con il rischio di sfaldature interne che peseranno come un macigno in vista del rinnovo della concessione del servizio pubblico che scadrà il prossimo maggio.

Con un emendamento approvato in Aula, è stata prevista una consultazione pubblica prima del rinnovo che dovrà avviare il Ministero dello Sviluppo economico una volta che passerà la legge. Subito dopo scatterà la procedura per il nuovo contratto di servizio. Intanto con le nuove norme passano da tre a cinque gli anni di durata dei contratti nazionali per lo svolgimento del servizio pubblico. Acquista un potere maggiore il governo, che prima di ogni rinnovo dei contratti deve indicare gli indirizzi.

Intanto però i tempi stringono e subito dopo governance e canone ad infiammare il dibattito nazionale sarà la definizione della mission del servizio pubblico rimasto finora ai margini della discussione governativa seppur caldeggiato trasversalmente in Parlamento.