Il CDM

Riforma Rai, CDM al lavoro. Pd diviso sui due modelli di governance

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Primo passaggio in CDM per la riforma della governance Rai. Al vaglio due modelli, ma il Pd diviso sulla scelta più giusta per la TV pubblica.

Il Consiglio dei Ministri al lavoro sulle linee guida di riforma Rai. Al vaglio del CDM di oggi le due proposte sulla governance presentate dal Sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli.

Due i modelli, uno ordinario e uno duale. Una scelta difficile. Pare che il Premier Renzi propenda per il primo ma all’interno del Pd c’è anche chi è convinto che il secondo modello potrebbe funzionare per la Tv pubblica.

Il prossimo step sarà poi la discussione in Parlamento.

Il confronto sarà intenso perché ci sono diversi nodi da sciogliere. E’ quindi possibile che stasera ci sia solo un primo passaggio e che l’approvazione del disegno di legge slitti al prossimo CDM.

In questi giorni sono circolate diverse ipotesi su questa riforma ma, come ha precisato Giacomelli all’Ansa, “piuttosto che continuare a elencare possibili modelli converrebbe aspettare il testo del governo. Peraltro, secondo gli obiettivi apertamente dichiarati dal Presidente del consiglio, non si tratta di una astratta discussione tra modelli e schemi societari ma di una riforma di sostanza che punta a riaffermare la dimensione di azienda della Rai, a semplificare i processi, a determinare la chiara identificazione di responsabilità e ruoli, la separazione tra gestione e controllo e la ridefinizione del concetto di servizio pubblico”.

Quello che appare sicuro è che questa riforma dovrebbe procedere rapidamente per poter arrivare al rinnovo dei vertici della Tv pubblica prima della scadenza del mandato in primavera. Questo è l’obiettivo del Governo.

Due le vie da seguire, come è emerso dalla riunione al Largo del Nazareno dove erano presenti Renzi, Giacomelli e i parlamentari del Pd della Vigilanza e della Commissione Trasporti.

Intanto bisogna ricondurre la Rai nel solco del codice civile, creare un capo azienda con ampi poteri e inserire un rappresentante dei lavoratori nel consiglio di amministrazione.

Fermo restando l’obiettivo di ricondurre la società nell’alveo delle regole del codice civile, in modo da renderla più facilmente gestibile, e quello di dar vita alla figura di un amministratore delegato al posto del direttore generale.

Un amministratore forte, “figura apicale del management”, come ha spiegato Vinicio Peluffo, capogruppo del Pd in Vigilanza, presente alla riunione al Largo del Nazareno.

Inoltre si punta a un Cda più snello, con riduzione dei membri che attualmente sono nove.

Le opzioni in campo sono il modello Spa e il sistema duale con un consiglio di sorveglianza e uno di gestione. Nel primo caso, con un consiglio ridotto a cinque membri e meno invasivo, cambierebbero le fonti di nomina. Un membro sarebbe espresso dai lavoratori e un altro verrebbe votato da un organismo esterno, come la conferenza stato-regioni. Resterebbe poi un ruolo del Parlamento, nel rispetto delle sentenze della Consulta.

L’altro modello prevede la nascita di un consiglio di sorveglianza con una decina di membri eletti anche questi in parte dal Parlamento e in parte da organismi come la Conferenza Stato-Regioni, l’Anci, ma non l’Agcom, in quanto soggetto controllore. Tale organismo, oltre al poter di nomina, avrebbe compiti non solo di controllo ma anche operativi nella gestione societaria. A guidare l’azienda sarebbe però un consiglio di gestione composto da tre membri: un amministratore delegato di nomina governativa, un membro con deleghe sulla parte editoriale e un membro con deleghe su quella finanziaria.

Secondo indiscrezioni, pare che Renzi preferisca il primo modello ma c’è anche chi nel Pd propenderebbe per il sistema duale, ridimensionando anche gli attuali poteri della Commissione di Vigilanza.

Una cosa è certa, ha ribadito Peluffo, “bisogna togliere la politica e i partiti dalla gestione dell’azienda”.

Vittorio Di Trapani (Usigrai): ‘Ok all’amministratore, ma con annuncio pubblico’

Intanto si registrano i primi commenti in merito alle proposte sul tavolo del Governo. Il segretario Usigrai, Vittorio Di Trapani, ha dichiarato all’Ansa d’essere favorevole alla figura dell’amministratore delegato.

Il nodo è però – ha evidenziato il segretario del sindacato dei giornalisti Rai – chi lo nomina. La Rai deve essere libera dal controllo dei partiti ma anche dei governi. La nostra ipotesi è quella di annuncio pubblico, con la griglia di competenze indispensabili per guidare la più grande azienda culturale del Paese, e poi una selezione pubblica fondata sui curricula e il programma che chi si candida vuole attuare alla guida della Rai. E’ una procedura di merito e trasparenza, che può consentire ai cittadini di verificarne l’attuazione”.

Di Trapani ha detto anche che “è assolutamente necessario liberare la Rai dai lacci burocratici”, aggiungendo però che “è indispensabile il controllo della Corte dei Conti, perché chi maneggia denaro pubblico ne deve rispondere in prima persona”.

“Il primo elemento positivo – ha osservato – è che stanno immaginando fonti di nomina diversificate, come da noi più volte auspicato, compresa l’indicazione di un nome da parte dei lavoratori”.

 

Roberto Zaccaria (ex presidente Rai): ‘L’Ad non può essere scelto dal governo’

 “La Corte costituzionale ha sempre espresso pareri nitidissimi: gli organi di governo della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo non possono essere espressione esclusiva o prevalente del potere esecutivo”, ha commentato l’ex presidente della Rai Roberto Zaccaria al Corriere della Sera.

“A mio modo di vedere – ha spiegato Zaccaria – se lo schema per i vertici è quello che si dice, appare improponibile che l’amministratore delegato, nelle cui mani dovrebbe andare la massima concentrazione dei poteri, possa essere non solo indicato dal Ministero dell’Economia ma soprattutto votato dal Consiglio dei Ministri”.

“Si potrebbe anche accettare l’idea che uno o due consiglieri siano designati dall’esecutivo, ma non certo il detentore del governo aziendale. Il Cda, così come avviene nella gran parte delle tv pubbliche europee, dev’essere espressione della complessità sociale”. Per l’ex presidente della Rai, inoltre, “non può essere il legislatore a decidere una riunione delle Camere in seduta comune, ipotesi contemplata dalla Costituzione per casi ben specifici e chiaramente indicati”.