l'analisi

Ricerche online, lo smartphone supera il web. Ma noi siamo meno liberi

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I sistemi operativi mobili non sono 'neutrali' come i browser. Quelli dei nostri cellulari sono in realtà gli schermi attraverso cui Apple e Google possono influenzare i nostri movimenti

Sembra passata un’eternità, ma in realtà non è troppo lontana l’epoca in cui per navigare il web occorrevano un Pc, una tastiera, un mouse e un browser web. Nel giro di poco più di un decennio le cose sono completamente cambiate: pochi giorni addietro, per dire, Google ha annunciato il sorpasso storico delle ricerche effettuate dagli smartphone su quelle effettuate dal computer fisso.

Poco male si dirà: navigare dallo smartphone è comodo e pratico e puoi farlo ovunque, anche mentre sei in fila alla posta. A ben vedere però, non si tratta soltanto di un cambiamento di abitudini. E di sicuro, non un cambiamento è di poco conto.

La differenza tra quel mondo, in cui era il web la ‘piattaforma’, e non il sistema operativo, e la gente creava servizi per il web e non per Windows o MacOs, è stata tracciata molto bene da Benedict Evans, della società di venture capital Andreessen Horowitz.

“Il browser – spiega Evans – era una piattaforma neutrale. La tecnologia può essere cambiata – rendendo possibili nuovi servizi come Google Maps, ma i produttori di browser non erano kingmaker”, non avevano cioè il potere di influenzare scelte e decisioni di chi li utilizzava creando o abilitando nuovi modelli di interazione.

Cosa cambia, quindi, col passaggio al mobile di tutte quelle attività che un tempo si svolgevano prevalentemente sul Pc fisso? Cambia che “il sistema operativo diventa piattaforma per i servizi internet molto più del browser, e il sistema operativo non è neutrale”.

Il primo segno di questo cambiamento, dice Evans, si ha con le app di messagistica, che trasformano il cellulare, o meglio lo smartphone stesso, in una piattaforma di social messaging: “Non è tanto che si usa un’app invece di una pagina web, ma che l’app può sfruttare specifiche interfacce di programmazione (API) sulla piattaforma che sul web non sono mai esistite”.

Le API sono infatti controllate dal fornitore della piattaforma che prende decisioni, abilita o disabilita opzioni, crea o rimuove opportunità. Nello specifico, le piattaforme mobili sono in mano a Google (Android) e Apple.

“Questo – dice – valeva anche per Windows o Mac for Windows o per le applicazioni Mac, ma non per l’internet da Pc perché la maggior parte di ciò che contava avveniva all’interno del browser e senza toccare il sistema operativo, e i browser stessi non facevano questi tipi di movimenti”.

Netscape o Internet Explorer, insomma, non avevano influenza sui siti visitati e non agivano in modo da modificare l’acquisizione o la fidelizzazione degli utenti online. “Apple e Google lo fanno, invece, tutto il tempo, consciamente o inconsciamente”, sugli schermi controllati dai loro sistemi operativi.

Spesso si tratta di semplice evoluzione, di metodi creati con l’intento di semplificare la navigazione suggerendo spunti e destinazioni utili, ma guardando al quadro più ampio si evince che quelli dei nostri cellulari sono in realtà gli schermi attraverso cui Apple e Google ci guardano e influenzano i nostri movimenti e tutto quello che noi troviamo su quegli schermi c’è solo e soltanto se Apple e Google lo vogliono.

Un esempio calzante è quello delle mappe di Apple, che pur essendo un prodotto di minore qualità (al lancio moltissime le critiche per gli errori macroscopici) rispetto alle Google Maps, sono molto più utilizzate dagli utenti iOs perché sono precaricate sui dispositivi dopo la decisione di Apple di defenestrare i servizi di Google dai suoi dispositivi. Anche se, insomma, un prodotto non è ottimo, ma solo ‘abbastanza buono’, ha più diritto a stare sul mio dispositivo perché è il proprietario della piattaforma a stabilirlo.

E tutta questa influenza non potrà che aumentare grazie a strumenti già in funzione (come il 3D touch dell’iPhone 6s di Apple o il Now on Tap di Google) e anche per via del fatto che ormai affidiamo quasi tutto quello che una volta era prerogativa della ricerca web alle app.

Siamo convinti, in definitiva, di essere liberi di scegliere come parlare coi nostri amici, come scoprire nuovi servizi, come spendere i nostri soldi, ma forse così liberi non lo siamo più.