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Rete unica, spunta il piano ma Di Maio smentisce ‘Su scorporo rete Tim nessun progetto’

Il ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro Luigi Di Maio smentisce l’esistenza di un piano in corso di scorporo della rete Tim, diffuso nei dettagli questa mattina dal Messaggero in concomitanza con il presidio dei sindacati davanti al Mise. “Sullo scorporo della rete” fissa di Telecom Italia, “al momento non c’è alcun progetto in corso”, ha assicurato il capo politico del M5S parlando con i giornalisti. Su Tim ha poi aggiunto che “il nostro obiettivo è quello di salvaguardare il livello occupazionale”. In una nota del Mise, si legge che “Il Ministero dello Sviluppo Economico non ha ricevuto alcun progetto segreto sullo scorporo della rete Telecom. Con l’emendamento al DL fiscale si creano le condizioni per rendere appetibile e sostenibile la realizzazione di una rete unica a banda ultralarga”.

Cosa dice (e cosa non dice) il piano smentito da di Maio   

Il piano per la rete unica Tim-Open Fiber, con una governance indipendente con un chiaro presidio pubblico (la Cdp), c’è secondo il Messaggero e gira da qualche tempo sul tavolo dei ministeri interessati. Il quotidiano squaderna i dettagli dell’operazione caldeggiata dal governo per favorire la nascita della rete unica, con 30mila dipendenti, mettendo a fattor comune l’infrastruttura in fibra e in rame di Tim (valutata 15 miliardi) con quella di Open Fiber, l’operatore ‘wholesale only’ controllato da Enel e Cdp.

Nella NewCo confluirebbero 30mila dipendenti della NetCo di Tim, considerato che quelli che lavorano direttamente e indirettamente sulla rete sono circa 20mila, a fronte di circa 48mila dipendenti complessivi del gruppo. A rischio maggiore sono quindi i dipendenti della futura NetCo Tim Servizi, visto anche il confronto impietoso con i competitor Vodafone e Wind Tre che hanno al massimo 6.500-7.000 dipendenti (per non parlare di Iliad, che ha poche centinaia di dipendenti nel nostro paese).

30mila dipendenti nella società della rete

Trentamila dipendenti è “un numero rilevante – scrive il Messaggero – che dovrebbe essere sostenuto da un fatturato di 5 miliardi all’anno con un margine operativo di 2 miliardi. Nella società della rete finirebbero tutti gli asset, dal rame alla fibra, dai cabinet nelle strade fino ai cavidotti. Il tutto valutato circa 15 miliardi”.

Una cifra di tutto rispetto, gran parte della quale finirebbe nelle casse di Tim per coprire almeno in parte il debito di 25 miliardi del gruppo.

Nei successivi cinque anni, verrebbero poi investiti ulteriori 5 miliardi per sviluppare la rete sull’intero territorio. Quanto al contesto di riferimento, il documento precisa che Tim ha già oggi sviluppato una posa di banda ultralarga nelll’80% del Paese in tecnologia Fttc, mentre in termini di copertura Ftth Tim offre servizio in 30 città ed ha formalizzato l’avvio dei lavori in ulteriori 70 città entro il 2020 con l’obiettivo di tagliare il traguardo di 250 città negli anni immediatamente successivi.

 

Distribuzione del debito?

Non è citata nel documento illustrato dal Messaggero come sarebbe distribuito il debito fra la NewCo Tim Servizi e la NetCo, la società della rete di Tim che confluirebbe poi con Open Fiber nel nuovo player unico della rete. Così come non si parla di esuberi, tema sensibile che pesa sul futuro dell’azienda in ottica “scorporo della rete”.

Secondo i sindacati sono 15-20 mila i dipendenti a rischio con l’operazione, ed è anche per questo che oggi i sindacati hanno confermato un presidio davanti al Mise, dopo l’annullamento dell’incontro fissato ieri con il ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio.

Sindacati: 20mila esuberi con scorporo rete

Da tempo i sindacati Cgil-Slc, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil chiedono un confronto con il Mise sul futuro di Tim e più in generale sui problemi che affliggono tutto il comparto Tlc, dai call center agli esuberi alla guerra dei prezzi che erode i margini delle aziende (vedi la nota dei sindacati).

“A distanza di 18 anni dalla privatizzazione di Telecom Italia – hanno detto i rappresentanti di Slc, Fistel e Uilcom – il risultato che viene consegnato al nostro Paese è un impietoso bilancio negativo. Da un’azienda tra i maggiori player mondiali del settore, presente in diversi continenti e con una avanzata capacità tecnologica, economicamente sana e adeguatamente capitalizzata, siamo passati a un’azienda concentrata solo sull’Italia e sul Brasile, con un fatturato attuale (circa 19,8 miliardi) sensibilmente più basso di allora (23 mld), fortemente indebitata (25,3 mld), con minori investimenti e con decine di migliaia di dipendenti in meno”.

L’intervento della Lega

Incontro prima fissato ma poi rimandato dal ministro Di Maio non tanto per mancanza di volontà, quanto più probabilmente per la sopraggiunta impossibilità di esprimersi a nome di tutto il governo dopo l’intervento improvviso della Lega nella partita della rete. Un intervento tramite subemendamento all’emendamento del M5S che pone dei sostanziali distinguo rispetto al progetto pentastellato. Il Carroccio vuole stoppare “la clausola occupazionale”, cioè l’impatto che la questione occupazionale alla luce dei posti di lavoro a rischio nel quadro dell’operazione rientri nella normativa che incentiva il tortuoso percorso verso il player unico.

Tra l’altro il piano illustrato dal Messaggero non cita al suo interno il modello Rab, il sistema tariffario per spesare in bolletta tutti gli investimenti, ma si parla semplicemente di un sistema regolatorio che li incentivi.

Insomma, le incognite sono ancora molte a partire dal mandato dell’ad Luigi Gubitosi, insediatosi domenica scorsa in quota Elliott dopo la sfiducia ad Amos Genish, l’ex ad in quota Vivendi che resta nel board. Senza dimenticare che Vivendi, primo azionista con il 23,9% di Tim, è contrario allo scorporo proprietario e non vuole rinunciare al controllo della rete.

Nel frattempo, l’Agcom procede con la sua analisi del mercato di accesso alla banda larga che contiene anche la proposta di separazione legale della rete Tim avanzata a suo tempo dall’ex ad Amos Genish.

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