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Rete Unica. Se lo Stato non può stare con i Benetton, difficile immaginare come possa stare con Vivendi-Bollorè

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Se lo Stato non può stare con i Benetton, un imprenditore che si può discutere quanto si vuole, ma che non ha subito alcuna condanna in merito alle osservazioni del premier, perché il medesimo Stato può stare in società con Vivendi-Bollorè (investitore estero), in una impresa sottoposta non a regime di Concessione ma di Autorizzazione generale.

In questi giorni non si parla che di infrastrutture: autostrade e telecomunicazioni (Rete Unica) in primis.

È delle ultime ore, dopo due anni di chiacchiericcio, l’uscita del premier Giuseppe Conte: “Lo Stato non sarà socio di Benetton”.

Per carità, tutto è possibile, ma se questo è l’intendimento, va notato che deve essere ben radicato, se si è disposti ad aprire contenziosi con i Benetton che potrebbero costar caro alla collettività per via delle penali cui si dovrebbe far inevitabilmente fronte. Si pensi al rimborso anticipato per i finanziatori di ASPI ed Atlantia (19 miliardi di euro) e agli effetti di un potenziale default su ricorso a procedure concorsuali che si estenderebbe ad altre società del gruppo con possibili downgrade terribilmente impegnativi (oltre 40 miliardi di euro). Resta da capire, come ha reclamato l’AD di ASPI, dove è l’interesse pubblico in tutta questa parata di muscoli esibiti.

Nel piano del premier Giuseppe Conte il soggetto nelle cui mani mettere il banco sarebbe la Cassa Depositi e Prestiti (CDP).

Ma il punto è un altro.

C’è un’altra partita infrastrutturale dove si sta decidendo un intervento dello Stato e sempre con un ombelico finanziario ed operativo centrato su Cassa Depositi e Prestiti.

È quello delle telecomunicazioni.

È la partita della rete, che in tanti dicono di voler unica, ma nessuno che si spinga a spiegare come arrivare a questo risultato.

Una delle ipotesi è che lo Stato già ampiamente presente in Open Fiber (società sottoposta a regime di concessione, attraverso il 50% di CDP e il 50% di ENEL), rafforzi la sua presenza in Telecom Italia (dove è già presente con un 10% circa di CDP) e addirittura si assicuri una partecipazione nella nascente società della “rete secondaria” di Telecom Italia, sempre attraverso CDP.

La domanda sorge allora spontanea.

Se lo Stato non può stare con i Benetton, un imprenditore che si può discutere quanto si vuole, ma che non ha subito alcuna condanna in merito alle osservazioni del premier, perché il medesimo Stato può stare in società con Vivendi-Bollorè (investitore estero), in una impresa sottoposta non a regime di Concessione ma di Autorizzazione generale.

Non essendovi alcuna responsabilità appurata di Benetton (nessuna condanna al proposito), si ha la sensazione che la decisione di voler affidare il settore delle autostrade allo Stato sia quello di assicurare maggiore responsabilità, anzi una responsabilità collettiva, attraverso il coinvolgimento diretto di CDP.

Allo stesso modo lo Stato dovrebbe assicurare uguale preoccupazione per un settore come quello delle telecomunicazioni, una industria in difficoltà, con diversi operatori sul mercato, con margini ridotti all’osso, ma con una strategicità indiscutibile, come riaffermato dal ruolo della rete durante la Pandemia. Tutto il mondo si è fermato, ma se nel Paese (nel nostro, come in quello degli altri) qualcosa ha funzionato, lo dobbiamo proprio alla rete.

Ebbene, lo Stato dovrebbe considerare le telecomunicazioni alla stregua delle autostrade.

Dovrebbe intervenire in forze, spiegare le bandiere del settimo cavalleggeri ed assicurare il controllo pubblico sulla futura società della rete, per garantire equità di accesso agli operatori nel mercato all’ingrosso e corrette dinamiche competitive.

Invece qualcuno pensa che lo Stato, nel caso delle telecomunicazioni, possa andare in soccorso dell’investitore privato, accollarsi i debiti, tamponare le minusvalenze degli investitori, promuovere alleanze tra settori tlc e tv che servono a risolvere magagne imprenditoriali e fallimenti di modelli di business.

Anche in questo caso: dov’è l’interesse pubblico?

Ciò che va impedito a coloro che operano a nome dello Stato, è agire con la mano pubblica per soluzioni populistiche che piacciono alla piazza (come nel caso di Autostrade) o per coprire i fallimenti della mano privata (come nel caso della rete di tlc).

Se Cassa Depositi e Prestiti dovrà essere il perno intorno a cui far ruotare la rete di telecomunicazioni, ogni operazione dovrà essere effettuata nell’esclusivo e conclamato interesse pubblico e, mai come in questo caso, a tutela della sovranità digitale del Paese.