La ricostruzione

Rete unica, il sogno della politica si scontra con il memorandum ‘fantasma’ Open Fiber-Fibercop. Ecco il cortocircuito

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La volontà del Governo di chiudere la fusione fra Fibercop e Open Fiber si scontra con i fondamentali economici dell'operazione. KKR sarebbe pronta a trattare ma sulla base di criteri finanziari comparabili e una proposta chiara sul perimetro della nuova entità.

Lo stallo del dossier rete unica tiene banco in questi giorni ed emergono nuovi dettagli sulla vicenda. Il sogno della politica di arrivare ad un unico player della rete, unendo Fibercop, controllata al 37,5% dal fondo americano KKR con il MEF al 16%, e Open Fiber, controllata da CDP al 60% e dal fondo australiano Macquarie al 40%, è in alto mare, con i soggetti interessati distanti e arroccati sulle loro posizioni.

Questo perché chi deve organizzare il “matrimonio” o “il tavolo di confronto” non sta facendo sedere Fibercop e Open Fiber con le stesse condizioni.

C’è davvero un blocco alla rete unica?

Le visioni sono quanto meno discordanti. Non c’è nulla di ufficiale, ma le voci si rincorrono. Secondo quanto ricostruito da Key4Biz, c’è una sola cosa condivisa fra i diversi stakeholder, vale a dire che sicuramente c’è uno stallo. Ma di qui in avanti le posizioni in campo divergono pesantemente fra loro.

Da un lato, c’è chi sostiene che KKR non ha firmato un MoU che avrebbe dovuto dare il via all’operazione e che è stato firmato da MEF, CDP, Macquarie. Per questo il Governo sarebbe molto contrariato. Per chi sostiene questa tesi, per KKR – al di là delle chiacchiere – il tema vero sarebbe il pagamento dell’earn out da 2,5 miliardi a TIM se si facesse l’operazione di merger entro fine 2026, come stabilito a luglio del 2024 all’atto della cessione della rete Tim alla cordata guidata da KKR per un totale di 19 miliardi di euro.

C’è poi un’altra visione, diametralmente opposta

Come risulta a Key4Biz, a KKR non sarebbe arrivato alcun memorandum of understanding da parte di Open Fiber sul progetto rete unica. E dal 2020, da quando KKR ha fatto il suo primo investimento in Fibercop (allora società della rete secondaria di Tim), ce ne sono stati diversi di MoU e KKR li ha sempre firmati tutti.

Quali criteri?

Nel MoU andrebbero fissati i criteri per chiudere l’operazione, a partire dal perimetro che dovrebbe avere la nuova entità. Per KKR il quadro sarebbe piuttosto semplice. Fatto lo spin off della rete, “salvata” Tim da una posizione debitoria grave, che impediva qualsiasi investimento nella rete, creata Fibercop, sono partiti gli investimenti.

Il piano di Fibercop ha visto investimenti di 2,8 miliardi nell’ultimo anno, a fronte di un piano complessivo di 10 miliardi nei prossimi 10 anni.

A che punto siamo con la rete unica? 

L’ultima puntata della rete unica che risulta nei vari colloqui ufficiosi è stata una interlocuzione con la Ue per proporre una rete unica comprensiva delle aree nere, proposta rigetta dalla Ue secondo cui con le aree nere non si può fare. Qualunque proposta, quindi, deve tenere conto della Ue e dei suoi paletti.

L’aspetto finanziario. Il debito di Open Fiber deve essere sostenibile

In secondo luogo, Fibercop a trazione KKR è molto attenta all’aspetto finanziario della questione e l’idea di fare un’operazione con un soggetto non commensurabile dal punto di vista finanziario suscita preoccupazioni.

A quanto risulta a Key4Biz, il fondo americano considererebbe la mancanza di un rating da parte di un’agenzia internazionale per Open Fiber come un aspetto alquanto penalizzante che ostacola l’apertura di una trattativa. Il project financing delle banche non è comparabile con il rating di Fibercop e quindi il valore delle due aziende non sarebbe commensurabile.

Quindi, per KKR chiudere l’operazione di merger con una società pesantemente indebitata sarebbe un danno per il rating di Fibercop, appesantirebbe l’azienda e rallenterebbe gli investimenti.

In altre parole, KKR chiederebbe delle valutazioni accettate sul mercato e condivise da tutti gli azionisti che, al momento, non ci sono. In parole molto tecniche, la richiesta è quella di armonizzare la modalità di comparare il valore delle due aziende. 

I rispettivi multipli sono certamente un po’ diversi, in termini di ricavi e di rapporto fra EBITDA e debito.

Come vuole mettersi al tavolo Open Fiber? 

Open Fiber vuole cedere le aree nere a Macquarie?

In quel caso, quali remedies verrebbero imposti dalla Ue in caso di merger e chi paga cosa?

Il tutto si ridurrebbe, in definitiva, ad una questione matematica e procedurale e non ci sarebbe quindi alcuna preclusione a priori da parte di KKR.

Zorzoni (AIIP): ‘Decine di operatori indipendenti non hanno bisogno né di Open Fiber né di Fibercop’

“Da dopo la caduta del governo Renzi si ripete lo stesso ritornello: unire FiberCop e Open Fiber per “salvare” ciò che resta della vecchia Telecom. Oggi lo chiamano “consolidamento”, ieri era “troppa concorrenza”: cambia il nome, non la sostanza”, dice a Key4Biz Giovanni Zorzoni, vice presidente di AIIP.

“Il paradosso è che, mentre si discute di fusioni e reti uniche, Open Fiber cresce, recupera (almeno in parte) gli errori e sottrae clienti a FiberCop. Nel frattempo esistono decine di operatori indipendenti che costruiscono reti proprie, portando fibra vera e concorrenza vera, che non hanno bisogno né di Open Fiber, né di Fibercop. I dati AGCOM sono lì a dimostrare quanto siano cresciuti questi operatori, molti dei quali appartenenti all’AIIP”.

“È questo il modello che Bruxelles diceva di volere, prima che il nuovo Digital Networks Act iniziasse a spingere verso l’oligopolio.

Parlare oggi di “rete unica” significa ignorare la realtà del mercato: più pluralismo, più operatori, più scelta per cittadini e imprese.

Il tempo dei salvataggi di sistema è sempre più complesso, e l’idea di un monopolio di Stato su fibra (e frequenze) travestito da efficienza è una ricetta che, nel contesto di ibridazione digitale, fa tenerezza e ridere nello stesso tempo”, chiude Zorzoni.

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