L'intervista

Rete Unica. F. De Leo: “Un dibattito vecchio di anni e ormai superato. Vincano mercato e competizione nelle infrastrutture”

a cura di Raffaele Barberio |

Perché è un progetto che si trascina da 15 anni senza successo e che è nato già vecchio. La UE ha già segnalato ai singoli governi nazionali che non accetterà progetti obsoleti, già in cantiere da anni, che vengono ripresentati come se fossero nuovi. La Rete Unica ricade in questa categoria e mortifica competizione e diritti dei consumatori.

Consueto appuntamento con Francesco De Leo, Executive Chairman di Kaufmann & Partners (Madrid), per parlare questa volta di Rete Unica, competizione infrastrutturale, Recovery Plan e la capacità italiana di affrontare l’uscita dalla pandemia puntando anche sull’innovazione.

Key4Biz.   Negli ultimi giorni il dibattito politico italiano ha registrato un’ulteriore pressione compulsiva sulla cosiddetta Rete Unica. Siamo davvero vicini ad una svolta?

Francesco De Leo.   Difficile dirlo. È passato un anno dagli inizi della pandemia e si direbbe che non abbiamo fatto per nulla tesoro di questa esperienza drammatica e senza precedenti. Per molti Paesi è stata l’occasione per rimettersi in discussione e riprogettare il loro futuro. Noi siamo invece ancora qui a parlare di Rete Unica dopo oltre 15 anni, come se non fosse cambiato nulla. È come se si cercasse con ostinazione di fare vivere il nostro Paese in una “bolla”, avulsa dal mondo che lo circonda.

Key4Biz.   Perché il tema della Rete Unica, così come impostato, non la convince?

Francesco De Leo.   Non è la proposta di TIM il cuore del problema, perché un’azienda deve avere i suoi piani e fare in modo che essi si realizzano. Ma l’insieme dei soggetti che concorro a riproporre continuamente, in qualche caso anche irritualmente, i termini del problema. A lungo andare può essere pericoloso, perché anche una singola vicenda aziendale può compromettere la competitività del nostro sistema industriale e può essere un inquietante segnale che rende più fragile la stabilità della nostra democrazia.

Key4Biz.   Come?

Francesco De Leo.   Con una lenta ed inesorabile distorsione della realtà che è frutto del lavoro congiunto di molti poteri in gioco. In un mondo che cambia ancora più repentinamente per l’accelerazione dovuta alla pandemia, stare fermi ed ingessare il Paese sulla Rete Unica è un passo indietro che non ci possiamo più permettere.

Key4Biz.   Quello che dice allarma e non poco. Ma allora perché siamo arrivati a questo punto?

Francesco De Leo.   Perché i protagonisti del dibattito attuale sulla Rete Unica sono gli stessi di 20 anni fa. Perché non c’è stato alcun ricambio generazionale e quindi la distanza con il mondo dell’economia reale si è ulteriormente amplificata. Infine, perché non è possibile immaginare che chi ha portato il Paese a questo stadio di arretratezza sulle reti di telecomunicazioni sia oggi in grado di promuovere il cambiamento di cui si sente il bisogno. E non è una questione anagrafica, ma è l’accelerazione del processo di trasformazione dell’economia su scala globale che richiede nuovi attori e nuovi paradigmi.

Key4Biz.   Non è chieder poco…

Francesco De Leo.   Certo che no e in aggiunta si assiste in Italia ad una campagna improvvisata, senza riscontro nei fatti, che tende ad addebitare gli attuali ritardi della rete italiana all’unico elemento di novità ed innovazione che il Paese ha saputo esprimere negli ultimi cinque anni, ovvero ad Open Fiber, una campagna che sta peraltro generando una preoccupazione diffusa in Europa. A Bruxelles, come a Berlino, Parigi e Madrid non si spiegano come sia stato possibile in Italia accumulare questi ritardi su una delle infrastrutture strategiche per il Paese. Al contrario, in pochi anni, proprio l’arrivo di Open Fiber ha consentito di creare oltre 10 milioni di connessioni in FTTH (Fiber-to-the-Home), la tecnologia di connessione più avanzata al mondo e di cui Open Fiber è un campione riconosciuto in Europa.

Key4Biz.   Cosa intende quando parla di preoccupazioni in Europa? Devo chiederle di essere più chiaro…

Francesco De Leo.   La Rete Unica all’italiana è un falso problema. La sfida vera è il ritardo nella progressiva digitalizzazione del Paese, che sta procedendo a rilento. Come ho già detto in passato, la Rete Unica ci allontana dall’Europa, proprio nel momento in cui l’Italia ha bisogno di più Europa e contestualmente si avverte la necessità di avere più Italia in Europa. Sono convinto che il Governo Draghi non si lascerà portare alla deriva su un dibattito di retroguardia come questo.

Key4Biz.   Cosa la spinge a esprimere questo auspicio?

Francesco De Leo.   Non è stato così in passato e tantomeno sarà così ora. Il track-record di Mario Draghi è una garanzia per l’Europa e per i mercati finanziari. Anche perché il Governo Draghi è nato con due obiettivi precisi, che sono ormai ben noti a tutti gli osservatori anche quelli meno attenti.  Il primo, è mettere il Paese in sicurezza dalla pandemia. Il secondo, è promuoverne il rilancio dell’economia nazionale con la stesura di un Recovery Plan all’altezza delle attese dell’Europa e al passo con le sfide dei nostri tempi. La Rete Unica è una distrazione in termini di tempo e risorse che il Paese non si può più permettere, perché anziché essere una leva di cambiamento può trasformarsi nella zavorra che ne limita invece pericolosamente le chance di ripresa.

Key4Biz.   Per la verità non mi ha risposto alla domanda precedente, perché l’Europa guarda con sospetto alla Rete Unica?

Francesco De Leo.   Perché è un progetto che si trascina da 15 anni senza successo e che è nato vecchio. È noto che la Commissione Europea ha già segnalato a più riprese ai singoli governi nazionali che non accetterà progetti obsoleti, già in cantiere da anni, che verranno ripresentati come se fossero nuovi. La Rete Unica rischia di ricadere in questa categoria. Quindi è difficile immaginare che possa godere del giudizio benevolo della Commissione Europea.

Key4Biz.   E in questi 15 anni quali sono gli elementi che rendono vecchia l’idea della Rete Unica? Immagino siano più di uno….

Francesco De Leo.   Sì, è così. Forse in molti si sono già dimenticati che l’avvio di Open Fiber, a dicembre 2015, coincide con la stagione di riforme lanciate dal Governo Renzi, che aveva goduto della disponibilità dell’Europa a finanziare un pacchetto di investimenti infrastrutturali in cambio di un ruolo centrale del nostro Paese nella gestione dei flussi migratori di provenienza dal Nord Africa. Piaccia o non piaccia, era un segnale percepito dall’Europa come l’inizio di un processo di modernizzazione del Paese ed i mercati finanziari ne avevano assecondato con favore l’impeto di sviluppo. Ora è chiaro che, a soli cinque anni e tre mesi di distanza, l’Europa sia preoccupata di un cambio di rotta, che si scontra con l’evidenza di quanto Open Fiber rappresenti, come modello di successo riconosciuto in tutta Europa.

Key4Biz.   Cosa ci rimproverano dall’Europa o cosa non comprendono?

Francesco De Leo.   I mercati non comprendono perché il Governo italiano dovrebbe alienare un asset oggi pubblico e importante per il rilancio del Paese, come è Open Fiber, costringendo i vertici di ENEL alla cessione. È un obbligo perverso, se si considera che si chiede ad ENEL di disinvestire in Italia, ma in un contesto in cui nei prossimi 10 anni ENEL investirà in giro per il mondo anche su società che assomigliano molto alla attuale Open Fiber. In questo caso ENEL farebbe all’estero, con risorse proprie, quello che gli verrebbe impedito di fare nel proprio Paese.

Key4Biz.   Come è potuto accadere tutto ciò?

Francesco De Leo.   Come è noto, già dall’estate scorsa il MEF, attraverso il suo ministro dell’epoca, ha fatto pressioni fortissime su ENEL per avviare la trattativa per la cessione della propria quota in Open Fiber al Fondo Macquaire. Dal punto di vista dei mercati, tutto ciò è visto come un passo indietro, il segnale di un ritorno al passato. E oggi tutta questa fretta appare ingiustificata, anche alla luce degli impegni che il Governo Draghi è chiamato a prendere con l’Europa in una prospettiva di Recovery Plan.

Key4Biz.   Cosa altro non la convince in particolare dell’intera storia?

Francesco De Leo.   Beh, innanzitutto sarebbe opportuno rammentare, per onestà intellettuale, che la storia bisognerebbe raccontarla tutta. Non sono certo gli investimenti o le consegne in ritardo dei cantieri di Open Fiber quelli che sono venuti a mancare negli ultimi 20 anni. È mancato ben altro, ma se si vogliono prendere delle scorciatoie, lo si dica subito, così si evitano altre perdite di tempo che il Paese in queste condizioni non può più permettersi.

Key4Biz.   Sia più chiaro…

Francesco De Leo.   È molto difficile per i nostri partner europei comprendere perché ci sia in Italia tutta questa improvvisata determinazione nell’archiviare un progetto-Paese, come Open Fiber, che ha avuto inizio solo 5 anni fa e con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Oggi Open Fiber è il primo operatore “wholesale-only” in Europa. Ora attenzione, in troppi, tra gli addetti ai lavori, dimenticano che in genere gli investimenti infrastrutturali esprimono il picco del loro valore fra i 7 e i 10 anni. Quindi i mercati sospettano che sia in atto un malcelato trasferimento di valore a beneficio di parti interessate, che nulla hanno a che vedere con ragioni di politica industriale o di difesa della sicurezza nazionale.

Key4Biz.   Eppure in Italia, a giudicare da quanto scritto dalla stampa mainstream, la notizia recente dell’accordo TIM-DAZN per l’acquisto dei diritti del campionato di Serie A per 1 miliardo di euro è stata celebrata come un passo decisivo verso la digitalizzazione del Paese. Lei come lo valuta?

Francesco De Leo.   Certo non nello stesso modo da lei ricordato. Ma davvero si può pensare che i mercati e l’Europa siano sensibili a questa narrativa provinciale e un po’ vintage? Sono almeno 15 anni che le telco europee hanno cercato a più riprese di venire capo della progressiva erosione della loro base di ricavi, avventurandosi nell’acquisto di diritti sportivi per completare il loro “bundle” di offerta in ottica “triple play”.  A 15 anni di distanza rimangono sono le voragini nei conti e nulla più.  Anche Hollywood oggi quasi non esiste più, perché nuovi player sono Netflix, Amazon, Apple, ABC-Disney, Comcast. Non è immaginabile che si possa puntare su questa narrativa tutta italiana e fuori tempo, perché i numeri parlano diversamente.

Key4Biz.   E cosa dicono i numeri?

Francesco De Leo.   Dicono che è sorprendente che si cerchi di offrire all’Europa un’immagine del nostro Paese come se fosse in attesa della banda larga al solo scopo di potere seguire al meglio le partite del campionato di Serie A. È l’idea di un’“Itaglietta” che per nostra fortuna è già superata da tempo nei fatti. È un torto nei confronti del nostro Paese e questo mi dispiace. Ma davvero si può pensare, ad un anno dagli inizi della pandemia, che gli imprenditori e le imprese di eccellenza del nostro Paese siano ancora qui ad aspettare Godot con l’arrivo della Rete Unica? Non è così e questo lo sanno molto bene anche i nostri partner europei ed i mercati finanziari.

Key4Biz.   Quindi, secondo lei il dibattito italiano va in una direzione e la percezione che i nostri partner europei ed i mercati si sono fatti su di noi vanno in un’altra?

Francesco De Leo.   Si, è così. Il tessuto industriale del nostro Paese, nonostante le difficoltà strutturali che stiamo vivendo ogni giorno, difficoltà dovute ad una via d’uscita più tortuosa dalla pandemia, sta dando prova di una sorprendente capacità di rinnovamento e resilienza.  Le nostre imprese sono già tecnologicamente più avanti di molti degli operatori telefonici attualmente sul mercato. Del resto, non poteva essere altrimenti. Nessun imprenditore può aspettare invano è fa di tutto per sostenere la propria digitalizzazione, in un modo o nell’altro.  

Key4Biz.   Ci può fare un esempio?

Francesco De Leo.   Certo, due dati su tutti. Innanzitutto, abbiamo evidenza che di recente tre gruppi industriali di punta del nostro Paese hanno costituito un fondo da 100 milioni di euro per investire su Intelligenza Artificiale (AI, Artificial Intelligence) e Blockchain, nel processo di digitalizzazione delle rispettive supply-chain. Nessuna testata giornalistica nazionale ne ha riportato notizia, perché evidentemente era troppo impegnata a celebrare le notizie riguardanti il futuro della Rete Unica. Non ci risulta che uno solo fra gli incumbent europei del settore telco abbia fatto un investimento di proporzioni comparabili. In secondo luogo, il rallentamento generale degli investimenti nel 5G in Europa è stato almeno in parte compensato da una tendenza allo sviluppo di reti 5G private, utilizzate per scopi industriali, in collaborazione con alcuni dei più importanti operatori infrastrutturali, come nel caso di Cellnex. In tal senso, si ha la netta impressione che non solo la nozione stessa di Rete Unica sia già ampiamente superata nei fatti, ma che le nostre imprese, presenti in settori iper-competitivi e non così fortemente regolamentati come le telco, abbiano deciso di fare da sole e non aspettare. E questo vale anche per l’utilizzo dei fondi del Recovery Plan.

Key4Biz.   In base a ciò che dice, stiamo assistendo ad uno scollamento tra società di innovazione e digitalizzazione della rete…

Francesco De Leo.   In mondo che cambia, con il futuro che bussa alle porte, gli imprenditori e le imprese di eccellenza del nostro Paese hanno risposto nell’unico modo possibile: concretezza ed innovazione. E lo hanno fatto senza perdere troppo tempo in conversazioni da “salotto”, buone solo per ricercare un effetto “annuncio”, che tanto piace alla stampa, ma terribilmente lontane dalla realtà che vive il Paese. Non c’è più tempo per il calcio in streaming seduti comodamente sul divano di casa. Il rilancio del Paese passa dalla capacità delle nostre imprese di attrezzarsi per una transizione digitale che procede inesorabile e più veloce del previsto. Come diceva Papa Paolo Giovanni II: “Il futuro inizia oggi, non domani”.

Key4Biz.   E allora cosa fare per il futuro, anzi cosa fare già da oggi?

Francesco De Leo.   Intanto meglio registrare ciò che si percepisce altrove.  Nelle ultime settimane nella City londinese sono circolate a più riprese voci di un ipotetico interessamento di una prestigiosa e storica istituzione finanziaria del nostro Paese a lavorare sugli assetti azionari della “rete”.  Sarà vero? Difficile dirlo. Sono solo voci per il momento, tant’è che molti sono gli analisti che non si sono formati ancora un’idea sul peso effettivo da dare a questi “rumors”. E tutto questo eventualmente con quale obiettivo? Controbilanciare il principale pacchetto azionario per raggiungere una quota in grado di dare una più accettabile impronta di “maggiore italianità”? Sarà così? Sapremo solo nei prossimi giorni se sarà così. Ma di certo non è sfuggito agli analisti più attenti che i volumi di trading sul titolo TIM sono cresciuti e di molto nelle ultime settimane, senza che vi siano state in effetti notizie sufficienti a modificarne l’equity-story. Magari è possibile che non si debba attendere molto per averne eventuale evidenza.

Key4Biz.   Quindi potrebbe arrivare una qualche notizia?

Francesco De Leo.   Quando un investitore, piccolo o grande che sia, decide di investire in un’impresa del nostro Paese è sempre una buona notizia. Su questo non ci devono essere dubbi, anzi ce ne fossero di occasioni così. A questi prezzi di mercato si tratterebbe di un investimento misurabile fra i 700 e gli 800 milioni, finanziabili almeno per il 60% a leva, una cifra che nel complesso è alla portata di un “club deal” che potrebbe vedere raccolti in un unico veicolo alcuni dei nomi del nostro capitalismo industriale. Si direbbe, ad una prima verifica, che i volumi di scambio sui titoli TIM siano stati nelle ultime settimane ampiamente superiori alla media degli ultimi 3 anni. Quindi, direi che ci si può attendere di tutto, e forse anche un cambio di governance, pur considerando che l’Assemblea Generale degli Azionisiti si è appena celebrata mercoledì scorso, il 31 marzo.

Key4Biz.   Sta indicando scenari imprevedibili, lei su quale punterebbe?

Francesco De Leo.   È ancora presto per fare valutazioni. Mi farebbe piacere pensare che le manovre sul titolo TIM siano frutto di un rinnovato interesse di investitori italiani verso quella che rimane in ogni caso una delle aziende strategiche per rilanciare il futuro del nostro Paese. Detto questo, dovremmo anche sperare che sia chiaro a tutti i protagonisti di questa antica vicenda, che il futuro di cui parliamo e a cui facciamo riferimento è lanciato su binari ben precisi, che sono classificabili secondo tre traiettorie.

Key4Biz.   Quali?

Francesco De Leo.   Innanzitutto una progressiva de-verticalizzazione del settore. Secondariamente, una più intensa competizione infrastrutturale. Infine, una più rapida elettrificazione del settore automotive che cambia l’architettura e le tecnologie di rete. Illudersi che non sia così sarebbe perlomeno azzardato. Ma se dovesse prevalere la concretezza e la capacità innovazione delle imprese di eccellenza del nostro Paese, abituate a sopravvivere in mercati ipercompetitivi, sono certo che ci sarà quel cambio di passo da troppo tempo atteso. Nel caso specifico, una soluzione di mercato ci avvicinerebbe ancor di più all’Europa. E questo può solo giovare al nostro posizionamento internazionale

Key4Biz.   Allora non più Rete Unica, ma, al contrario, competizione infrastrutturale?

Francesco De Leo.   Mentre il Paese si trova ingessato da anni sul tema della Rete Unica, l’Europa e i mercati finanziari che guardano oggi con preoccupazione al ritorno ad un passato che sembrava ormai archiviato e che oggi ci vuole scodellare un modello di Rete Unica, per giunta verticalmente integrato e controllato da un gruppo privato estero. Mentre avviene in modo del tutto innaturale tutto ciò, l’evoluzione della tecnologia sembra avere preso tutta un’altra direzione. Non si può trascurare che Amazon, Google, Space-X (ovvero Elon Musk) e più di recente Mark Zuckemberg siano impegnati in una corsa contro il tempo per lanciare programmi di copertura satellitare fra loro in competizione in grado di portare la larga banda in ogni angolo remoto del pianeta. Per farsi un’idea degli investimenti in corso, il programma Starlink di Space-X ha già messo in orbita 1.023 satelliti. La FCC (Federal Communications Commission) ha approvato il lancio di 11.943 satelliti, di cui 4.425 saranno in orbita a fine 2024, ovvero tre anni data da oggi. La velocità di download da satellite viaggia oggi intorno ai 100 Mbps, con l’obiettivo di raggiungere i 10 Gbpsda nel prossimo futuro. Già oggi Space-X ha una valutazione prossima ai 74 miliardi di dollari. Amazon ha annunciato di investire 10 miliardi di dollari nel programma Kuiper, che prevede il lancio di 3.236 satellitilow-orbit”, secondo il filing depositato alla Federal Communications CommissionMark Zuckenberg, sulla base delle informazioni disponibili, sembra avere scelto una strada diversa, ovvero quella di utilizzare i droni in grado di volare per 24 ore consecutive a basso costo, per portare la banda dove oggi non è disponibile. Non si è mai registra un’attività cosi intensa di investimenti all’avanguardia nell’utilizzo di tecnologie di nuova generazione.  Come ci ricorda sempre Giulio Sapelli, uno dei più grandi storici di questa generazione, l’innovazione arriva dall’esplorazione aereospaziale, come accaduto dagli anni Cinquanta in poi. Non vorrei che mentre tutti gli occhi sono puntati sulla Rete Unica, la partita si stia svolgendo altrove. Sarebbe un peccato accorgersene troppo tardi. Il futuro non aspetta, corre veloce, e rischia di rendere antistoriche scelte che 20 anni fa potevano ancora essere valide nel merito.

Key4Biz.   La nostra intervista è forse andata oltre misura, ci lasci cin una battuta….

Francesco De Leo.   Come ho più volte ripetuto, il tema della Rete Unica non mi appassiona più di tanto, perché temo solo che continuerà ad ingessare il Paese e rallenterà gli investimenti. Vorrei solo che qualche volta cercassimo di rispondere ad una sola domanda: “Da che parte del cambiamento vogliamo stare?”.