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Rete unica e oltre. F. De Leo: ‘L’unione tra energia, tlc e automotive dà all’Italia chance importanti che vanno colte’

Nuovo appuntamento con la consueta intervista settimanale a Francesco De Leo, Executive Chairman di Kauffman & Partners di Madrid. Questa volta l’attenzione e focalizzata sulla convergenza di settori come Energia, Telecomunicazioni e Automotive. Si tratta di un paradigma nuovo che ibrida i tre settori e traina in modo diverso l’economia. Devono quindi cambiare le strategie delle aziende e i piani di crescita delle economie nazionali. Mentre gli obiettivi di sostenibilità saranno sempre più condivisi. L’Italia ha dei punti di arretratezza, nell’aver perso occasioni importanti nei decenni passati, ma ha anche dei punti di vantaggio sul resto d’Europa. Uno di essi è rappresentato proprio da Open Fiber, che promuove un ruolo nuovo dello sviluppo delle reti e un modello di business senza precedenti e sostenuto dal Pacchetto Telecom approvato dalla Commissione Europea nel dicembre 2018 e da allora in vigore. È un’intervista corposa, che ci ridà un quadro dei percorsi e delle traiettorie di oltre due decenni, rinvigorendo l’auto considerazione sui tanti punti di qualità del nostro Paese.

Key4biz. In chiusura della sua ultima intervista ha detto che le sembra di rivivere “Giorni di un futuro passato” (dal film “X-Men: Days of Future Past”). Una citazione che ha destato curiosità e ha sollecitato interesse, perché apre la strada a nuovi interrogativi. Cosa intendeva dire?

Francesco De Leo. L’attuale fase di transizione tecnologica, che è quotidianamente sotto i nostri occhi e che vede un’accelerazione della convergenza fra Energia, Telecomunicazioni e Automotive non è nuova.  Affonda, infatti, le sue radici in un passato lontano che ci riportata a rivivere i giorni in cui, ormai più di 20 anni fa, si poteva già intravedere il ciclo di innovazione che oggi investitori e analisti vedono materializzarsi e guidare l’evoluzione dei mercati finanziari.

Key4biz. Può essere più preciso?

Francesco De Leo. Nel 1997, agli inizi del mese di settembre, appena rientrato in Italia alla conclusione del mio Ph.D. alla UCLA (University of California Los Angeles), il dott. Umberto Agnelli mi chiese di incontrarlo a Torino in IFIL. Il “Dottore” (come tutti lo chiamavano, era all’epoca anche Presidente della Fondazione Italia-Giappone) parlando con la famiglia Toyoda aveva colto come l’ingresso di Toyota nel capitale di KDDI, uno dei principali operatori di telecomunicazioni in Giappone, non fosse casuale. Bisogna ammettere che in quei giorni non era semplice, né immediato comprenderne le implicazioni. Ma la suggestione di quell’ingresso nelle telecomunicazioni da parte del gruppo giapponese aveva suggerito che non fosse solo una diversificazione dettata da obiettivi finanziari. E quindi, per non lasciare nulla al caso, ci si doveva preparare a fare altrettanto.  Così mi trovai, nel giro di poche settimane ad entrare nel consiglio di Amministrazione di IFIL (oggi Exor) e successivamente agli inizi di ottobre 1997 in quello di Telecom Italia.

Key4biz. Quindi, un percorso che inizia da lontano. Oggi si direbbe che con l’introduzione del 5G stiamo assistendo ad una nuova fase di accelerazione della convergenza. Che cosa è mancato allora?

Francesco De Leo. In realtà è una strada che non è stata mai abbandonata: i cicli dell’innovazione nei settori come l’automotive richiedono tempi molto lunghi. Nel 1999, lasciata Telecom Italia dopo la scalata di Colanninno e rientrato in IFIL, abbiamo cercato di verificare se la joint-venture fra Ford, Microsoft e Qualcomm (Wingcast) fosse aperta anche ad un partner europeo, come il Gruppo Fiat: ma Jack Nasser, che era stato l’ispiratore dell’iniziativa, si trovò subito sotto pressione da parte del board di Ford. Nel novembre 2001 fu costretto a lasciare e al suo posto subentrò come amministratore delegato Bill Ford, che intendeva spingere sulla trasformazione green del gruppo. Decisi di coinvolgere il Prof. Mario Gerla a cui avevo chiesto di partecipare ai nostri incontri a San Diego. Il Computer Science Lab di UCLA (University of California Los Angeles) sotto la guida del Prof. Gerla aveva ricevuto un “research grant” da ARPA (Advanced Research Projects Agency) per studiare l’evoluzione di quello che in gergo chiamavamo “car-to-car communications networks”. Un primo test fu quello di collegare con dei “pico-router” le automobili della polizia del campus di UCLA, per studiare i flussi di traffico. In parte, oggi vediamo gli sviluppi di quel progetto, con i sistemi di guida autonoma (ADAS, Advanced Driver-Assistance Systems). L’intuizione era quella giusta: le automobili diventavano a tutti gli effetti parte una rete di sensori, in grado di creare un communications network indipendente che si poteva auto-configurare e auto-adattare. In altre parole, una rete di automobili collegate fra loro da mini o pico-router poteva essere in grado di creare un’infrastruttura di telecomunicazioni alternativa ai grandi network degli incumbent. In una certa misura, la ridondanza di sistema che si poteva creare con una rete che avesse avuto come point of presence (POPs) le automobili, poteva essere un fattore di resilienza non trascurabile in caso di un attacco alla rete di telecomunicazioni, anche in termini di sicurezza nazionale.

Key4biz. Non ha però risposto alla domanda. Cosa è mancato allora e perché oggi assistiamo a questa accelerazione?

Francesco De Leo. L’intuizione era quella giusta, e il “Dottore” (Umberto Agnelli) anche in quell’occasione ci aveva visto lungo: se non si fosse sciolta la joint-venture fra Ford e Qualcomm con la dipartenza di Jack Nasser e il Gruppo Fiat avesse potuto essere della partita, oggi tutto il settore si troverebbe a guidare la trasformazione in atto e non ad inseguirla. La prossimità fra CSELT (oggi Telecom Italia Labs) e CRF (Centro Ricerche Fiat) a Torino e le risorse intellettuali “brainpower” che si potevano mettere in campo, avrebbero consentito al nostro Paese di svolgere un ruolo chiave: ma non se ne è avuto il tempo e la possibilità. Lasciata Telecom Italia nel mese di agosto del 1999 dopo la scalata ostile di Roberto Colaninno, avevo chiesto a Gabriele Galateri di Genola, all’epoca amministratore delegato di IFIL, di partecipare con me ad una serie di incontri fra Denver e San Diego con Sol Trujillo che all’epoca guidava USWest. Cosa che puntualmente avvenne: ma l’uscita da Telecom Italia aveva lasciato più “ferite” del previsto e non ci venne dato il tempo per trovare un ancoraggio forte negli USA (che peraltro Sol Trujillo ci aveva offerto con la possibilità di un ingresso nel capitale di USWest prima della fusione con Qwest, guidata da Joe Nacchio).

Key4biz. Cosa alterò il corso degli eventi?

Francesco De Leo. Le ragioni furono diverse. Per certi versi, erano anche emerse delle divergenze di visione con gli americani: noi “europei” proponevamo di allargare la collaborazione sui sistemi IT di nuova generazione a tutti gli attori dell’automotive interessati a partecipare. Avevamo in mente l’idea di lanciare uno standard di comunicazioni globale, car-to-car ad-hoc networks, come era stato in Europa per il GSM, che era un’esperienza che speravamo di poter replicare. Ma non fu possibile, perché ognuno dei grandi produttori intendeva proseguire “stand alone” per la propria strada e aveva già investimenti di più anni in Silion Valley.

Key4biz. Ha il sapore dell’occasione persa…

Francesco De Leo. Purtroppo si. Un’occasione persa, anche se oggi stiamo entrando in una nuova fase che può essere l’innesco di una creazione di valore per gli investitori, come mai è stato nella storia di più di 100 anni dell’automobile. Un’occasione unica che arriva da noi in Europa al momento giusto, quello del lancio del programma Next Generation EU.

Key4biz. E quindi, chi può rilanciare la legacy di quegli anni?

Francesco De Leo. La convergenza fra energia, telecomunicazioni e automotive passa da 4 “innovation platform” che si stanno “ibridizzando”, generando nuovi spazi di innovazione, ad una velocità che, ad oggi, non abbiamo riscontrato in passato. Penso a:

  1. quello che sta avvenendo nell’elettrificazione dell’automotive e al progresso nell’energy storage,
  2. l’utilizzo massivo dell’intelligenza artificiale (AI) e del Deep Learning in grado di accelerare la transizione,
  3. la blockchain come meccanismo di regolazione multipolare di sistemi complessi
  4. la robotica di nuova generazione, applicata nello specifico allo sviluppo della guida autonoma.

Se mi è consentito esprimere una mia personale valutazione, oggi vedo nel Gruppo Enel uno dei pochi soggetti in grado di rilanciare una nuova stagione di innovazione in Europa, con lo stesso spirito pioneristico che si respirava a Torino in quegli anni, quando la FIAT era uno dei leader mondiali nel settore, e a Maranello si costruivano, come oggi, le automobili più invidiate al mondo.

Key4biz. Perché, a suo avviso, Enel può essere determinante, in questa fase di trasformazione dell’economia globale?

Francesco De Leo. È un percorso anche questo che inizia da lontano, con il lancio di Enel Green Power nel 2008. Mi ricordo che il 15 settembre di quel anno ero a San Diego per uno speech che dovevo tenere nella giornata inaugurale della conferenza annuale dell’IEEE (The Institute of Electrical and Eletronic Engineers) sul tema della convergenza fra Energia e Telecomunicazioni: in sintesi, la mia posizione era che se l’energy bill di una telco avesse superato la soglia del 30% dei costi complessivi, si sarebbe dovuto procedere ad un’integrazione più stretta fra attori dell’energia e delle telecomunicazioni. Mi svegliai quella mattina, leggendo le agenzie che raccontavano che Lehman Brothers a New York, era fallita qualche ora prima (ci sono tre ore di fuso fra NYC e San Diego). Solo pochi giorni si comprese la gravità assoluta della situazione in cui navigavano i mercati finanziari su scala globale. Al tempo stesso, si parlava già insistentemente della necessità di affrontare il tema della sostenibilità e dell’impatto ambientale delle reti di telecomunicazione e dell’efficienza energetica dei data center (cf. Luis Barroso, Google Research). Così nel corso di quell’estate quando mi trovavo ancora in Wind, nella Direzione Strategie e Sviluppo iniziammo a studiare le iniziative di Enel nelle energie rinnovabili, che di lì a poco portarono alla costituzione di Enel Green Power nel dicembre 2008, e quindi al suo IPO nel novembre 2010. Una scelta coraggiosa, in un anno come il 2008 molto difficile ricco di incertezze: una scelta che si è rivelata vincente e che ha permesso ad Enel di essere oggi all’avanguardia e prima fra i suoi pari, per capitalizzazione in Europa. Oggi Enel, grazie al lancio di Open Fiber a dicembre 2015, ha un vantaggio stimabile in 3-4 anni rispetto ai suoi principali competitor: è un operatore di reti in fibra, indipendente e neutrale, con un carbon footprint che la pone ai vertici delle classifiche in termini di sostenibilità, se confrontata con gli operatori tradizionali. E non è poco, considerato che per accelerarne ulteriormente la crescita, Open Fiber si colloca oggi in una posizione invidiabile per la futura emissione di green bonds, come si attendono i mercati. Non si può dire lo stesso per gli incumbent europei, se non per Telefonica, che oggi è tra gli operatori all’avanguardia in Europa.

Key4biz. Lei ha sostenuto, a più riprese, che Open Fiber è la Tesla degli operatori: un’affermazione forte, che non è passata inosservata. Molti lettori ci hanno scritto o hanno commentato sui canali social. Ha inteso “lanciare un sasso nello stagno” o ne è davvero convinto?

Francesco De Leo. Se ho lanciato un sasso nello stagno, non si aspetti che tiri indietro la mano. La transizione dalle reti in rame a quelle in fibra è come il passaggio dal motore a combustione a quello elettrico: un cambio di paradigma, non una semplice sostituzione “meccanica” nel vano motore. Se non si tiene conto di questo passaggio, non se ne possono anticipare le conseguenze. La transizione verso reti in fibra ottica e l’arrivo del 5G stanno cambiando il mondo delle telecomunicazioni in modo irreversibile. Attendersi, o addirittura auspicare di ritardarne lo sviluppo, puntando a un lento “decommissioning” delle reti in rame è un errore difficilmente rimediabile. Investitori ed analisti lo sanno bene. Tesla oggi ha un vantaggio accumulato rispetto ai suoi competitori di 2/3 anni, perché ha ripensato l’automobile come un “sensore” collegato in rete ad un ambiente di sensori distribuiti su più livelli di integrazione, incluse le altre auto in circolazione: è più avanti nel disegno dei processori di futura generazione per la gestione “intelligente” delle batterie e della guida assistita, ed ha fatto progressi significativi nella robotica, che sarà adottata su scala massiva nei taxi a guida autonoma, trasformando la mobilità in “mobility as a service” (MaSS).

Key4biz. E nel confronto con Open Fiber?

Francesco De Leo. Allo stesso modo, Open Fiber è più avanti degli altri operatori nella convergenza fra Energia e Telecomunicazioni: le sue reti in fibra presentano un carbon footprint che non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello delle reti in rame, in assoluto più inefficienti sotto il profilo del consumo di energia per bit di trasmissione. Non meno importante è la considerazione che Open Fiber, come parte del Gruppo Enel, e già oggi molto avanti sulla strada per divenire la prima telco “Net Zero”, ovvero con un carbon footprint totalmente neutrale: molti dei suoi competitor non possono dire, né fare altrettanto. Mi preme aggiungere che molti operatori non hanno ancora oggi comunicato ai mercati quali siano gli interventi in agenda nei prossimi anni per ridurre a zero le emissioni di CO2. È evidente, che per via dei problemi di legacy e di leverage che hanno in bilancio, gli incumbent non abbiamo avuto tempo per preoccuparsi del loro impatto ambientale: ma, in un’ottica di attivazione dei fondi del Next Generation EU, sarebbe auspicabile che il Governo si interrogasse su questo punto. Gli investitori lo stanno già facendo e chiedono risposte: se non ci sarà un cambio di passo sarà difficile per gli incumbent accedere al mercato delle emissioni di green bonds.

Key4biz. Lei ha insistito, e non da oggi, che le telco devono affrontare una sfida senza precedenti, per contenere i consumi di energia. Ma è davvero così?

Francesco De Leo. Se non lo faranno a breve, in una prospettiva 5G, si troveranno in estrema difficoltà sotto il profilo della sostenibilità a tendere del proprio conto economico. Se la loro “bolletta energetica” dovesse lievitare eccessivamente, superando la soglia del 30% dei costi complessivi, dovranno necessariamente porsi il problema di come venire incontro ad alleanze nel settore dell’energia.

Key4biz. Quindi il 5G può rappresentare lo spartiacque da questo punto di vista?

Francesco De Leo. Con il 5G, la crescita esponenziale del numero dei dispositivi e dei sensori collegati in rete sta spingendo non solo la domanda di energia per il loro funzionamento, ma anche per i data center che si collegano ad essi. Se il 5G è in assoluto più efficiente sotto il profilo energetico (-90% in termini di consumi) rispetto al 4G (per bit di trasmissione), è anche vero che il numero dei sensori collegati in rete e dei data center necessari per “smaltire” questa crescita esponenziale di dati determinerà un assorbimento di energia decisamente superiore a quanto registrato in passato. Si stima che il passaggio al 5G aumenterà verosimilmente il consumo totale di energia delle reti tra il 150% e il 170% entro il 2026, con i maggiori aumenti preventivabili nelle aree metropolitane, nei nodi-chiave della rete e nei data center: un vero e proprio campo di battaglia dove attori come Enel si trovano in una posizione di vantaggio strutturale, irreversibile. Nelle analisi che abbiamo raccolto si valuta che il settore delle telecomunicazioni potrebbe assorbire, nel suo complesso, il 20% dell’energia elettrica mondiale entro il 2025 e generare il 14% delle emissioni globali entro il 2040, ovvero quanto oggi è attribuibile ad un Paese delle dimensioni degli Stati Uniti. Negli ultimi 4 anni i consumi delle reti di telecomunicazioni sono passati dal 9% al 14% dell’energia consumata a livello globale: quindi la soglia del 20%, senza un deciso cambio di rotta, sembra del tutto plausibile.

Key4biz. Nelle sue precedenti interviste, ha sottolineato più di una volta che il futuro è degli operatori indipendenti, neutrali e non verticalmente integrati. Perché ne è cosi convinto?

Francesco De Leo. È molto semplice. L’arrivo del 5G determina un cambio di paradigma, che arriva in un momento difficile per gli incumbent del settore: è il passaggio da un modello di go-to-market B2C a un modello B2B. Uno dei trend che vedremo affermarsi a partire dal prossimo anno è lo sviluppo di reti 5G “private”, ovvero controllate da operatori industriali nel processo di progressiva digitalizzazione delle loro supply chain e delle catene di distribuzione. Oggi i mercati non riescono ancora a fattorizzare l’impatto delle reti “private” 5G sul conto economico degli operatori. Ma è chiaro che l’indipendenza, la neutralità e l’assenza di integrazione verticale da parte dei service provider sono elementi essenziali per garantirne l’adozione su larga scala e l’applicazione in differenti comparti industriali “verticali”. Investitori ed analisti lo hanno ben chiaro e i mercati ne riflettono il valore, spingendo nella direzione di una value migration dagli incumbent ad operatori con un focus specifico sulle infrastrutture di rete, come le “towerco” a la Cellnex, oggi leader in Europa.

Key4biz. Mi pare di capire che lei consideri ormai superato il confronto sulla Rete Unica per come si sta svolgendo, ma un commento glielo devo chiedere, perché me lo sollecitano da più parti. A che punto siamo?

Francesco De Leo. Lei ha ragione: la Rete Unica è un tema che non appassiona e che a breve, già a partire dalla prossima primavera, sarà superato dagli eventi. Gli ultimi due anni hanno assorbito eccessive risorse ed energie ed hanno contribuito a dividere il Paese, quando al contrario era necessaria maggiore armonia. È ora di andare oltre e ri-progettare il futuro. Se non si fossero persi due anni, e non si fossero ingessati gli operatori in uno stallo che ha creato solo maggiori incertezze per i mercati e gli investitori, è probabile che già oggi l’Italia si troverebbe molto più avanti. Detto questo, il Governo italiano (se vuol sostenere TIM) dovrebbe rilanciare a livello europeo una battaglia sul tema della sterilizzazione, almeno parziale, del debito delle telco europee nel loro complesso. Senza il fardello accumulato negli ultimi 20 anni, gli incumbent del settore possono riprendere a correre e diventare uno degli assi portanti della digitalizzazione dell’Europa. È stato fatto per le banche con la gestione degli NPL (Non Performing Loans) con il supporto della BCE. Si dovrebbe fare altrettanto per le telco, che sono la dorsale (backbone) su cui deve correre l’innovazione.

Key4biz. E Open Fiber?

Francesco De Leo. Al tempo stesso, è auspicabile che non si blocchi Open Fiber nel processo digitalizzazione del Paese, che è stato portato avanti con successo, come ci riconoscono i partner europei e i mercati finanziari. Non era scontato, ha anticipato i tempi e sta contribuendo in maniera decisiva alla competitività del nostro sistema-Paese. Non ultimo, si è rivelato un ottimo investimento per Cassa Depositi e Prestiti e gli azionisti di Enel, con margini significativi di ulteriore apprezzamento. E, bisogna ammettere, che di questi tempi non è poco, considerati i rischi di una terza ondata di contagi da COVID-19 prevista per il primo trimestre 2021, che potrebbe abbattersi sui mercati dell’eurozona. Come diceva un vecchio detto: “il momento più buio è quello più vicino all’alba”. Sono convinto la svolta sia a portata di mano, e che sarà così. L’Italia ha tutto per recuperare la posizione che merita nello scacchiere globale dell’energia e delle telecomunicazioni. I conti si fanno alla fine, e questa volta le sorprese potrebbero rivelarsi positive. Forse il merito del dibattito sulla Rete Unica è stato proprio quello di consentire a tutte le parti in causa e agli osservatori più attenti di concentrarsi sul futuro, senza recriminazioni per il passato. È tempo di superare un avvilente dibattito di retroguardia, per ri-tracciare lo sviluppo del Paese in un anno, come il 2021, che sarà determinante per rilanciare la competitività dell’Italia nel contesto post-pandemia. Serve un po’ più di coraggio, di visione e disciplina. Come era uso dire l’Avvocato (Gianni Agnelli): “…lamentarsi è da provinciali…”.

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