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Responsabilità delle video sharing platform: il Tribunale delle Imprese di Roma decide dopo la sentenza della Corte di Cassazione sul caso Mediaset c. Yahoo!

I Fatti
I video di RTI oggetto di causa sono stati caricati sulla piattaforma francese da utenti privati a partire dal 2006 e in alcuni casi sono rimasti online fino al 2013.
Una volta verificata la presenza di video non autorizzati, RTI ha inviato alla piattaforma di video-sharing francese plurime diffide trasmesse ante causam sin dal 2010. Nel corso del procedimento, iniziato nel 2012 e conclusosi nel 2019, i video illecitamente pubblicati confluiti nell’oggetto della causa sono stati 995.
Con la sentenza n. 14757/2019 del 12.7.2019 il Tribunale delle Imprese di Roma ha condannato Dailymotion SA (società del gruppo francese Vivendi) al risarcimento di oltre 5,5 milioni di euro in favore di RTI (società del Gruppo Mediaset).

I Principi.

  1. Video-sharing-platform come provider attivo non riconducibile alla figura di hosting “passivo”. Il Collegio romano ha anzitutto stabilito che il provider cd. “attivo” non costituisce una sub-categoria del provider “passivo” disciplinato dall’art. 16 del D. Lgs. n. 70/2003 ma è figura del tutto autonoma che si sottrae integralmente alla disciplina nazionale e comunitaria prevista per l’hosting “neutro”: “L’HOSTING PROVIDER ATTIVO si colloca al di là della specifica categoria proposta dalla normativa comunitaria e conseguentemente al di fuori anche della specifico regime dell’articolo 16 della normativa nazionale… Tale distinzione a livello europeo è scaturita da un’attenta riflessione sul considerando 42 della direttiva E-COMMERCE;

La natura “attiva” o “passiva” del provider non può essere definita in maniera statica ma va valutata, caso per caso, in relazione all’interazione del provider con i singoli video oggetto di contestazione: “Altro rischio che si corre è quello di un eccessivo irrigidimento della qualificazione giuridica di un soggetto commerciale. Un HOSTING PROVIDER può svolgere infatti alternativamente funzioni attive e passive a seconda dei soggetti con cui interloquisce e può svolgere funzioni attive e passive anche contemporaneamente… Quindi la verifica sulla natura attiva o passiva del provider non deve investire tanto il soggetto giuridico in quanto tale”.

4)         L’irrilevanza della comunicazione degli URL. Diretta conseguenza di quanto sopra detto, è che il titolare del diritto d’autore non può essere gravato dell’obbligo di indicare al provider in modo specifico tutti gli URL per la localizzazione dei contenuti illeciti: la questione della non necessità dell’indicazione degli URL “può essere, ad avviso del presente collegio, risolta comunque sempre mediante l’applicazione del principio di buona fede ex art. 1375 del codice civile, principio cui peraltro fa espresso riferimento la normativa comunitaria e che grava un soggetto dell’obbligo di garantire il diritto altrui riconosciuto dall’ordinamento nei limiti dell’apprezzabile sacrificio. Il riferimento deve quindi sempre essere soltanto all’effettiva conoscenza dei contenuti illeciti per la quale non può in alcun modo ritenersi indispensabile l’indicazione degli URL essendo sufficiente un’indicazione specifica dei files illeciti (video, programmi etc) con ogni mezzo”.

5)         L’onere della prova. Secondo il Collegio romano avrebbe dovuto essere Dailymotion a dimostrare di possedere caratteristiche tali da poterle consentire di beneficiare del regime giuridico di favore previsto dalla direttiva e-commerce 2000/31/CE e non invece il titolare dei diritti autoriali (RTI) a dover dimostrare l’estraneità della video-sharing-platform alla figura creata dal legislatore eurounitario: “incombeva alla convenuta dare la dimostrazione fattuale dell’esistenza di una struttura di impresa, di un’organizza- zione di dipendenti e di una modalità di gestione compatibili con quanto previsto dall’articolo 14 della direttiva e 16 della normativa nazionale. Alla luce difatti di un principio generale di responsabilità per la pubblicazione e diffusione di materiale altrui protetto da diritto d’autore (DAILYMOTION è perfettamente conscia del fatto che la maggior parte del materiale divulgato sulla sua piattaforma è coperto da privativa autoriale) la convenuta era gravata dall’onere di dare fattiva dimostrazione del possedere le specifiche corrispondenti all’esimente stabilita dal Legislatore comunitario”.

Gli elementi fattuali
In piena aderenza ai principi enucleati dalla recentissima sentenza n. 7708/2009 della Corte di Cassazione (sul caso RTI c Yahoo!, secondo cui la natura “attiva” o “neutrale” del provider va valutata alla luce di specifici “indici di interferenza” quali l’attività di indicizzazione, organizzazione, catalogazione dei materiali memorizzati), i Giudici romani sono giunti alla conclusione che nel caso specifico Dailymotion “abbia perso il carattere di neutralità e passività … operando sui dati che carica forme di intervento volte a sfruttare i contenuti dei singoli materiali caricati dagli utenti e memorizzati sui propri server ed operando in generale sotto le forme del controllo, della conoscenza e della profilazione dei dati ed in maniera non automatizzata”.

Tanto sulla base dell’esame di una serie di circostanze fattuali, di seguito indicate: “anche l’organizzazione dell’archiviazione e della catalogazione preventiva (dei contenuti video ndr) mediante la predisposizione di Cookies può costituire un elemento di manipolazione, o di assenza di neutralità, almeno nella misura in cui la predisposizione di cookies tarati ad un determinato risultato, effettuati da tecnici informatici (per esempio per la fornitura di pubblicità mirata) e la catalogazione dei contenuti, alterino la naturale collocazione dei documenti stoccati e ne determinino differente visibilità e ricorrenza nelle ricerche”.

I precedenti della Corte di Giustizia UE
La decisione in commento, si pone in piena sintonia con le più recenti sentenze della Corte di Giustizia europea che si sono espresse sul tema della responsabilità dei fornitori di servizi di hosting: tra le altre la sentenza del 7.8.2018, C-521/17, resa nel caso SNB-REACT la CGUE; la sentenza C-324/09, nel caso L’Oréal c. eBay; la sentenza resa nel caso C-610/15 Stichting c. Ziggo BV; la sentenza resa nel caso C-236/08 Google c. Louis Vuitton. Tra tutte, proprio la sentenza sul caso C-610/15 Stichting c. Ziggo BV , come la Corte di Cassazione citata, aveva indicato nella presenza di un motore di ricerca interno alla piattaforma di content-sharing (“thepiratebay”) e nella presenza di sistemi di catalogazione ed organizzazione dei contenuti gli elementi idonei ad integrare la violazione del diritto esclusivo di comunicazione al pubblico di materiali coperti dal diritto d’autore.

Conclusioni
La sentenza, nel suo complesso, pare confermare (così come la citata sentenza della Suprema Corte sul caso RTI-Yahoo!) l’ormai costante orientamento giurisprudenziale che guarda con esplicito favore alla tutela dei diritti autorali in ambito digitale, recependo pienamente il chiaro indirizzo dato dal legislatore comunitario con la recente direttiva 2019/790 sul diritto d’autore nel mercato unico digitale.

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