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Relazione Garante Privacy, il discorso di Laura Boldrini ‘No allo strapotere degli OTT’

Buongiorno a tutti a tutte.

Saluto e ringrazio il Presidente della Repubblica Sergio Matterella, la Ministra Anna Finocchiaro, il questore del Senato Lucio Malan, il Presidente Antonello Soro insieme agli altri componenti dell’Autorità Garante, e tutte le personalità oggi presenti.

Mi fa particolarmente piacere, Presidente Soro, che la Camera sia anche quest’anno la sede in cui viene presentato il resoconto del vostro lavoro. Per di più, stavolta coincide con un anniversario importante: la celebrazione del ventennale dall’entrata in vigore della prima legge sulla privacy.

Sono passati vent’anni, ma sembra molto di più: davvero il secolo scorso.

Ma col tempo abbiamo dovuto capire sempre meglio che sul fronte della tutela dei dati personali si gioca una partita importantissimamagari all’epoca non sapevamo cosa avrebbe rappresentato. Oggi vediamo che si gioca la partita del nostro essere cittadini. Senza enfasi si può affermare: per la qualità della nostra democrazia.

Google, Apple, Facebook e Microsoft, insieme, hanno una capitalizzazione di borsa equivalente al Pil della Francia. Chi può contrastarli? Ormai sono più potenti dei governi”. Cito le parole di un manager come Franco Bernabè – dall’intervista di sabato scorso, sul Sole 24 Ore – per dire che a questo strapotere non ci si può rassegnare, nessuno Stato democratico può rassegnarsi. Qui alla Camera, in questa legislatura, abbiamo cercato di fare la nostra parte.

E in questa attività le nostre strade si sono spesso incrociate con l’essenziale lavoro svolto dal Garante.

 

La dimensione digitale è, sotto molti aspetti, straordinaria, ci apre un potenziale incredibile, ma nessuno ci può imporre di subirne senza fiatare il ‘lato oscuro’.

In democrazia non possono esistere poteri che non siano chiamati a rispondere alle istituzioni, nazionali o sovranazionali.

E’ anche per queste considerazioni che in questa legislatura ho voluto istituire due commissioni, visto che tra quelle permanenti di Montecitorio ne manca a tutt’oggi una sugli affari digitali. Una è sui ‘Diritti e doveri in Internet’; l’altra è per contrastare i fenomeni di odio razzismo e intolleranza nel discorso pubblico, che sul web si diffondono con grande facilità.

In tutti e due gli ambiti, la parola-chiave è stata ‘responsabilità’. Quella che agli Over The Top deriva da un grande potere, ma anche da fatturati stratosferici. Il tempo della responsabilità dovrebbe indurli ad andare oltre la considerazione di se stessi come semplici ‘autostrade’ sulle quali viaggiano veicoli – post, tweet, video – dei quali dicono di non sapere nulla.

Così come non è irrilevante che si assumano responsabilità fiscali, lasciando risorse nei Paesi in cui fanno così lauti profitti, è anche importante che si assumano responsabilità editoriali: anche per non fare concorrenza sleale verso i soggetti editoriali.

La settimana scorsa la Commissaria europea Vera Jourova ha presentato per la seconda volta i risultati dell’applicazione del ‘codice di condotta’ che le quattro principali piattaforme di “social media”, Facebook, Twitter, YouTube e Microsoft avevano sottoscritto un anno fa, impegnandosi a cancellare entro 24 ore dalla segnalazione i  messaggi di incitamento all’odio.

La prima volta la percentuale di messaggi di odio cancellati dall’Italia era il 4%. Ora vanno un po’ meglio le percentuali, ma ancora c’è strada da fare. Vanno meglio perché adesso vengono controllati solo i messaggi di odio segnalati dall’Unar. Ma quando i cittadini segnalano in modo indipendente i loro messaggi non vengono considerati.

Allora c’è da chiedersi chi debba avere l’ultima parola su cosa sia corretto o non corretto. Sul se e quando concedere ad un cittadino la facoltà di esercitare un suo diritto. Può essere la piattaforma digitale ad avere questa prerogativa. E’ questo il punto, oggi.

Penso, al riguardo, anche alla risposta data a chi ha denunciato la presenza in rete di centinaia di pagine di Facebook inneggianti al nazifascismo, chiaramente apologetiche. La nostra community ha regole diverse da quelle italiane”, ha replicato Facebook. Non mi sembra una risposta compatibile con la gerarchia che deve esistere tra le leggi di uno Stato e le regole interne di una azienda.

Facebook in Italia ha ormai 30 milioni di utenti, la metà della popolazione. Parliamo di numeri stratosferici. Mark Zuckerberg ha annunciato di aver aggiunto 3000 persone alle 4500 del suo team di sorveglianza: per 2 miliardi di utenti, pensate alla proporzione. A me questo annuncio fa piacere, ma vorrei sapere quante di queste persone verranno destinate al nostra Paese. Questo è un dato assolutamente rilevante.

Si tratta di richieste tutto sommato modeste, se facciamo il raffronto con quello che sta avvenendo in queste settimane in Germania: come sappiamo, il Bundestag sta esaminando un progetto di legge governativo che mira ad introdurre una serie di obblighi molto precisi a carico delle piattaforme, con pesantissime sanzioni pecuniarie. Nel nostro Paese non siamo in questa fase, ma almeno chiediamo che alla cancellazione di messaggi di odio venga destinato personale adeguato.

Personalmente ritengo che una regolamentazione dell’argomento in questione debba essere elaborata, ma a livello europeo. Non possiamo affidarci all’iniziativa di ogni singolo Paese. Anche sotto questo punto di vista abbiamo bisogno di più Europa. Un’azione concertata a livello di Unione è essenziale per non risultare velleitari di fronte a poteri così evidentemente sovranazionali.

E non possiamo non tener conto di un’altra minaccia: quella del terrorismo islamista che della rete fa un essenziale strumento di proselitismo. In tema di cyber-security è essenziale una stretta collaborazione tra istituzioni e piattaforme digitali che si sviluppi anche a livello comunitario.

Ma se è il tempo della responsabilità per le imprese Over The Top, è il tempo della responsabilità anche per gli utenti, in particolare i giovani e giovanissimi.

La Commissione per i diritti e i doveri in Internet, dopo aver elaborato una Dichiarazione che è anche diventata base per una mozione approvata all’unanimità dall’aula di Montecitorio, sta facendo da mesi una cosa inconsueta per una Commissione parlamentare: è uscita da Montecitorio ed insieme, deputati ed esperti, stanno andando nelle scuole per promuovere una cultura di responsabilità nell’utilizzo del digitale e anche per stimolare una cultura della verifica. Perché l’alfabetizzazione digitale è parte integrante della crescita della coscienza dei nostri giovani. Per questo con la Ministra Fedeli abbiamo deciso di lanciare un progetto di educazione civica digitale dall’inizio del prossimo anno scolastico. Molti i soggetti coinvolti: oltre a  famiglie e scuole, anche associazioni e corpi intermedi.

Parliamo di giovani, e allora fatemi chiudere questo mio saluto riferendomi ad una ragazza della quale vi parlai quattro anni fa, quando per la prima volta nella legislatura ospitammo la vostra relazione.

Si tratta di Carolina Picchio. Quattro fa anni fa si era tolta la vita da poche settimane: si era gettata dalla finestra perché non riusciva più a sostenere la ‘gogna’ in atto nei suoi confronti. Ascoltammo i genitori  in un convegno proprio qui alla Camera, e ci impegnammo a fare una legge. Abbiamo fatto quella legge sul cyberbullismo, che è stata anche frutto di una serie di passaggi tra Camera e Senato. è finalmente diventato legge. Una legge che prevede anche il coinvolgimento del lavoro dell’Autorità del Presidente Soro. Sapremo da lui come l’Autorità riuscirà a far fronte a questo ennesimo impegno.

Una legge che dedichiamo a Carolina, ai suoi genitori, e ai tanti ragazzi e ragazze che hanno imparato a loro spese che sulla rete ci si può fare veramente  molto male. Io spero che oggi questi ragazzi e ragazze, sapendo che c’è la legge, possano sentirsi meno soli, meno trascurati dagli adulti e dal legislatore. Vi ringrazio

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