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Recovery Fund. F. De Leo: ‘Puntare su Pmi, che fra 5-7 anni potranno affrontare i mercati internazionali’

Nuovo appuntamento del lunedì con Francesco De Leo, Executive Chairman di Kauffman & Partners di Madrid, non per parlare di rete unica o telecomunicazioni, ma per considerare i mindset, gli atteggiamenti mentali, necessari per saper leggere e affrontare il cambiamento epocale che stiamo vivendo, tra crisi economica, pandemia e necessità di rilancio dell’economia e di crescita.

Key4Biz.   Oggi non parleremo di telecomunicazioni o di “Rete Unica”, ma di metodo o, se si vuole, di chiavi di lettura. A partire dallo scorso mese di luglio, le sue analisi su queste pagine hanno anticipato quanto poi si è verificato nell’evoluzione dei mercati finanziari. Quali sono le regole che segue? È una questione di metodo o di fortuna?

Francesco De Leo.   In effetti, ci vogliono entrambi. Metodo e fortuna spesso non sono così slegati fra loro. Occorre anche conoscere la storia e avere una visione di medio termine, senza lasciarsi influenzare dalla volatilità giornaliera dei mercati, buona per qualche “flash trader”, ma di scarsa utilità per gli investitori istituzionali. È difficile “ingannare” i mercati a lungo: prima o dopo, ma tendenzialmente prima, i valori “veri” emergono, senza lasciare scampo.

Key4Biz.   Siamo a fine anno e c’è molta curiosità di sapere quali siano le letture o gli analisti che hanno plasmato i modelli di analisi che state seguendo. Ci può anticipare qualche indicazione? Cosa pensate possa accadere con l’avvio del nuovo anno?

Francesco De Leo.   Concentriamo molta parte del nostro lavoro nell’analisi dei “patterns of behavior” seguiti dai principali attori o dai settori chiave che formano le attese dei mercati. La nostra convinzione è che le Corporation e gli executive che le guidano (come d’altronde tutti noi) tendono a seguire gli stessi modelli di comportamento, quando messi di fronte ad eventi comparabili. A tutti gli effetti, ciascuno di noi porta con sé un bagaglio limitato di know-how e generalmente l’esperienza accumulata nel passato ci rende prevedibili nelle reazioni che abbiamo quando siamo messi a confronto con uno specifico set di scelte o di scenari. Tendiamo a riprodurre le stesse azioni (action steps) che ci hanno condotto al successo in passato, anche se le condizioni di contesto sono molto differenti. Ed è per questo che si commettono errori di valutazione, perché a problemi nuovi si applicano ricette ormai superate.

Key4Biz.   Ma ci sarà una massima o un mindset che l’ha influenzata più di altre?

Francesco De Leo.   In effetti, si. È di Mark Twain: “Non è ciò che non conosciamo che ci mette nei guai, ma è quello che diamo per scontato e che alla prova dei fatti si rivela non essere così”. Questo orientamento di fondo costringe a rivedere le proprie certezze, a riesaminare le proprie posizioni. Occorre non dare nulla per scontato. In fasi di rapido cambiamento è un buon punto di partenza. Ci costringe ad un esercizio continuo all’ascolto, all’identificazione dei segnali deboli, con l’obiettivo di non scartare quei dettagli che possono risultare determinanti per identificare i trigger del cambiamento. In più di un’occasione sono questi ad aver fatto la differenza.

Key4Biz.   Un orientamento del genere è un metodo che si costruisce nel tempo, a partire dalle letture, che sono sempre maestre di vita. Quali le sue?

Francesco De Leo.   Ne prendo una a titolo esemplificativo. Il resto sono connessioni, ovvero un proseguimento logico della lettura. Il 15 aprile del 2010 la rivista Nature pubblicò un articolo dal titolo: “Catastrophic Cascade of Failures in Interdependent Networks” (Buldyrev, Parshani, Paul, Stanley & Havlin, 464, 1025-1028). Ironia della sorte, prendeva spunto da un fatto realmente accaduto e che in parte ci riguarda. Infatti, il 28 settembre 2003 l’Italia restò vittima di un blackout, che a sua volta portò all’interruzione del funzionamento di alcuni nodi della rete di telecomunicazioni ed internet, che a loro volta causarono il breakdown di altre centrali elettriche in cascata. Siamo partiti da quel modello di analisi per cercare di identificare quale sia il reale funzionamento di interi settori dell’economia che oggi compongono i listini dei maggiori mercati finanziari ed è stato determinante per comprendere meglio quali siano le interazioni fra il settore delle telecomunicazioni e quello dell’energia. Una volta fatto il primo passo, siamo riusciti ad entrare maggiormente nei dettagli di come funzionano alcuni settori chiave dell’economia, come nel caso del settore automotive e dell’intelligenza artificiale, che da sola tende ad avere oggi un impatto trasversale e pervasivo.

Key4Biz.   Ma in termini di scenario, a livello di previsioni, quali sono gli spunti che le sono rimasti più impressi e che le sono stati utili per costruire un metodo di lettura dei fatti?

Francesco De Leo.   Nel marzo/aprile 2016, Foreign Affairs pubblicò un saggio di Larry Summers: “The Age of Secular Stagnation. What It Is and What to Do about It”. Non mi stanco di rileggerlo e lo tengo sulla scrivania, perché porta con sé molte implicazioni, in particolare per la gestione del debito sovrano e Corporate, il cui impatto è ancora oggi ampiamente sottovalutato. Viviamo un’epoca in cui lo “span of attention” è di pochi giorni, massimo settimane. Ma in quel numero di Foreign Affairs ci sono altri contributi che danno un senso della magnitudo della crisi in cui siamo entrati, a partire dal 2008. La chiave di analisi, che si basa sul concetto di “secular stagnation” proposto negli anni ’30 dall’economista Alvin Hansen, è che le economie dei maggiori Paesi industriali soffrano di uno sbilancio strutturale dovuto alla crescente propensione al “risparmio” (propensity to save) a fronte di un progressivo declino nella propensione ad investire. Nell’insieme, si riducono i margini di crescita dell’economia e lo sbilanciamento fra “risparmio” ed “investimenti” porta verso tassi di interesse tendenzialmente prossimi allo zero o negativi. Quando si raggiungono tassi di crescita significativi come nel caso degli Stati Uniti fra il 2003 e il 2007, questo è dovuto a livelli progressivamente pericolosi di ricorso al debito che trasformano l’eccesso di liquidità dovuto alla più marcata propensione al risparmio in livelli di investimento non sostenibili, come nel caso della bolla immobiliare innescata nel 2008, con la crisi dei mutui sub-prime.

Key4Biz.   E quindi, quali sono le conseguenze, ai giorni d’oggi?

Francesco De Leo.   Stiamo vivendo una fase di cambiamento senza precedenti nella storia. Un cambiamento che accelera la transizione e rimette in discussione alcuni pilastri dell’economia, che davamo per scontati. Le economie dell’Eurozona, già strutturalmente fragili dopo la crisi del 2008, sono sottoposte a stress sistemici, per via di un eccesso di debito che la pandemia in corso sta contribuendo a rendere irreversibile, se non si deciderà di prendere provvedimenti, prima di raggiungere un punto di non ritorno. Il numero di “zombie companies” ha continuato ad aumentare, anche per l’immissione di liquidità da parte della BCE che in questi mesi è corsa in soccorso delle economie dell’Eurozona. È un problema serio, che se non affrontato in tempo, può innescare una “cascade of failure across interdependent networks”, rallentando e forse bloccando la transizione in atto, fondamentale per la competitività dell’Europa.

Key4Biz.    Parliamo di Recovery Fund (Next Generation EU), l’argomento dei prossimi mesi, la preoccupa di più il suo eventuale ritardo, il rischio di utilizzo improprio o l’impatto che potrà avere sull’economia?

Francesco De Leo.   Il ritardo è un dato di fatto e i mercati lo hanno già incorporato nelle loro previsioni. Si dà per scontato che la prima tranche delle risorse del Recovery Fund non arriveranno prima dell’ultimo trimestre del 2021. Stiamo parlando di 17-20 miliardi di euro, non certo dei 209 miliardi sbandierati con disinvoltura agli organi di stampa nazionali. La vera sfida è quanto selettivo ne sarà l’utilizzo, perché a tutti gli effetti e in larga parte si tratta di nuovo debito: e questo è bene non dimenticarlo. Il timore è che l’allocazione dei fondi europei finisca per premiare gli incumbent in asset class mature, già gravate da un eccesso di debito. In finanza vale la massima: “never throw good money after bad money”. Non è difficile immaginare che la Commissione Europea questa volta non farà sconti e sarà particolarmente vigile, entrando nel merito delle iniziative di investimento. E altrettanto faranno i mercati finanziari.

Key4Biz.   È un auspicio o un campanello d’allarme?

Francesco De Leo.   Guardi, per certi versi sarebbe come aver puntato sui dinosauri e la loro sopravvivenza nel corso dell’era glaciale. La Storia ci insegna che in fasi di rapido cambiamento i punti di forza si trasformano in punti di debolezza, le dimensioni rappresentano un’ulteriore zavorra, e l’istinto di sopravvivenza conduce ad un orientamento “risk-averse”, proprio quando, al contrario, è necessario fare una scommessa sul futuro, mettendo in gioco risorse fresche e uscendo dalla propria “comfort zone”. Molto di frequente le ricette che vengono perseguite (il play-book) vengono ripetute pedissequamente dai principali attori sul mercato con un livellamento verso il basso nella qualità dei risultati: come diceva Albert Einstein “la follia sta nel fare sempre la stessa cosa, aspettandosi risultati diversi”. A colpi di consolidamento e cessioni di asset (asset disposal) si sta generando un eccesso di offerta sui mercati, creando a tutti gli effetti un “buyers market”. Il più delle volte non si riscontra un vero processo di creazione di valore, ma un semplice rimescolamento di carte, che ha più l’aria di operazioni di “maquillage” finanziario, buone solo per pagare i bonus di fine anno dei banchieri di investimento. Ma la domanda chiave dovrebbe essere: quanto grande è il mercato target? Quali sono le possibilità di blitz-scaling? Invece, il più delle volte si assiste ad operazioni di retroguardia, con lo sguardo rivolto al passato, che non hanno alcun margine di crescita cross-border su scala europea.

Key4Biz.   Ma se è così, dove bisognerebbe puntare?

Francesco De Leo.   L’arrivo inatteso della pandemia è stato come l’ingresso della safety car in un Gran Premio di Formula1: si sono accorciate le distanze. Anche il nostro Paese, che per certi versi scontava un arretramento rispetto ai leader europei, oggi ha la possibilità di rimettersi gioco. Occorre puntare ad un piano condiviso con l’Europa, strutturato per obiettivi, che miri alla convergenza fra energia, telecomunicazioni ed automotive, investendo in piattaforme tecnologiche che hanno un impatto trasversale e pervasivo: blockchain, intelligenza artificiale, deep learning e robotica. Stiamo vivendo la stessa fase che visse il capitalismo, come lo conosciamo oggi, nei cinquant’anni fra il 1880 e il 1929. Le grandi imprese che abbiamo nel nostro Paese sono già strutturate per affrontare la competizione internazionale: punterei su quelle piccole e medie che grazie ai progetti e alle risorse del Recovery Fund fra 5-7 anni saranno grandi a sufficienza per stare alla ribalta dei mercati internazionali. In Italia abbiamo già vissuto una stagione come questa: sarebbe un peccato che, anziché puntare al futuro, si finisse per privilegiare settori e imprese che hanno già fatto la loro storia. Sarebbe un errore imperdonabile che pagherebbero le future generazioni. E questo né il Paese, né l’Europa se lo possono permettere. Come in ogni cosa, occorre coraggio in ogni scelta.

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