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Rapporti tra Autorità indipendenti e giurisdizioni: sindacato sugli atti e profili probatori

L’aspetto più delicato e importante del rapporto con la giurisdizione è costituito, per quanto riguarda l’Agcom, dai caratteri, dall’estensione e dai limiti del sindacato del giudice sugli atti dell’Autorità. Il dibattito su sindacato forte e debole, intrinseco ed estrinseco – alimentato anche, in un primo tempo, da arresti giurisprudenziali di diverso tenore – ha trovato una conclusione che appare definitiva già nel 1999, con la sentenza n. 601 della IV sezione del Consiglio di Stato. Il massimo organo della giustizia amministrativa ha allora stabilito, in termini non più revocati in dubbio dalla sua successiva giurisprudenza, che il giudice può esercitare il proprio sindacato sulla discrezionalità tecnica attraverso un controllo del corretto uso delle regole tecniche utilizzate dalla pubblica amministrazione. Con specifico riferimento alle autorità indipendenti, il Consiglio di Stato ha sottolineato inoltre, in più d’una occasione, che l’esigenza di un tal genere di sindacato risulta ulteriormente rafforzata dalla loro natura di organi privi di espressa copertura costituzionale. Organi la cui legittimazione rinviene la sua fonte non solo nel rispetto delle garanzie partecipative a livello procedurale, ma pure nella corretta applicazione delle regole tecniche proprie delle materie disciplinate. In seguito, anche la giurisprudenza della Corte di cassazione (SS.UU., 20 gennaio 2014, n. 1013) si è attestata su una linea secondo la quale il sindacato sulla discrezionalità tecnica deve poter verificare la corretta applicazione delle regole tecniche poste a fondamento della decisione dell’autorità amministrativa indipendente.

Gli orientamenti giurisprudenziali hanno poi trovato sanzione in una norma riferita all’Autorità Antitrust – l’art. 7, comma 1, del d. lgs. n. 3 del 2017 – secondo cui il sindacato giurisdizionale sugli atti di quella Autorità “comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità”. Formulazione che non lascia spazio ad equivoci e che pertanto non consente – come pure è stato ipotizzato – di dare luogo a una maggiore compressione dell’ambito della discrezionalità tecnica quale conseguenza indiretta del riconoscimento del valore probatorio dei provvedimenti dell’Autorità, operato dal comma 2 dello stesso art. 7.

Il giudice, pertanto, non si limita – o piuttosto non si limita più – a una verifica dei profili giuridico-formali dell’atto amministrativo. Sia pure in via indiretta, attraverso il filtro dei canoni di ragionevolezza, logicità e coerenza, l’oggetto del giudizio finisce così per spostarsi dall’atto al rapporto sottostante. Si tratta – è bene sottolinearlo – di uno sviluppo che le autorità non devono valutare in termini di restrizione del loro ambito discrezionale, ma piuttosto come una ineludibile conseguenza della più rigorosa applicazione del principio di legalità

Il limite invalicabile per la giurisdizione resta quindi definito solo dall’impossibilità per il giudice di sostituire un proprio autonomo processo valutativo a quello posto in essere dall’autorità. Il giudice, detto in altri termini, non può spingersi fino a determinare il contenuto del provvedimento.

In linea teorica, dunque, la linea di demarcazione è abbastanza chiara. In concreto, però, le cose non sempre sono così semplici. Gli equilibri, le linee di confine non possono essere fissati in maniera definitiva, alla luce della incomprimibile variabilità degli orientamenti giurisprudenziali. Questi ultimi, infatti, risentono sia dell’evoluzione del sentire sociale circa le risposte da dare alla domanda di giustizia, sia, per altro verso, degli assetti concreti dei rapporti istituzionali.

Può così accadere che il giudice, anche suo malgrado, finisca talora per esondare dai limiti propri del sindacato giurisdizionale, dando luogo a ipotesi che taluno ha definito, con formula ardita ma efficace, di coregolamentazione. Apro qui una parentesi per ricordare, a titolo di esempio, una vicenda emblematica riguardante l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Mi riferisco a una delibera dell’Agcom in materia di numerazione automatica dei canali televisivi generalisti nazionali annullata dal Consiglio di Stato, che aveva anche nominato un commissario ad acta per procedere all’assegnazione delle numerazioni in luogo dell’Autorità. E ciò senza tener conto, tra l’altro, del nuovo contesto fattuale consistente nell’avvenuto spegnimento della televisione analogica, invano messo in luce dall’Agcom. E’ stato quindi giocoforza, per le Sezioni Unite della Suprema Corte, cassare senza rinvio, per eccesso di potere giurisdizionale, la sentenza del giudice amministrativo.

Rimane fermo, beninteso, che le autorità indipendenti devono aver cura sia di assicurare in sommo grado il corretto e completo svolgimento dell’iter procedimentale, sia di motivare le proprie decisioni nella maniera più ampia, adeguata ed esaustiva. Ma occorre anche, d’altra parte, che l’autorità giudiziaria rispetti a sua volta i limiti delle proprie attribuzioni, evitando slittamenti quali quelli cui si è fatto cenno ed evitando, altresì, di comprimere ingiustificatamente l’autonomia attribuita alle autorità dalle leggi istitutive.

 

Ricordo che – in armonia con i principi del diritto europeo – la legge n. 481 del 1995, istitutiva delle autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, prevede espressamente che tali organi abbiano autonomia organizzativa, contabile e amministrativa. Più specificamente, la legge n. 249 del 1997, istitutiva dell’Agcom, stabilisce che l’Autorità disciplini autonomamente la propria organizzazione interna e il trattamento giuridico ed economico del personale, provvedendo altresì all’autonoma gestione delle spese per il proprio funzionamento.

Ciò che vorrei sottolineare è che il concreto inverarsi di tali garanzie di indipendenza – le quali non esimono certo le autorità dal rigoroso rispetto delle norme di legge – è ovviamente condizionato dalla possibilità di disporre di risorse finanziarie certe e adeguate. Risorse che, per quanto riguarda l’Agcom, derivano esclusivamente dal contributo degli operatori dei mercati regolati, essendo stato da qualche anno soppresso il contributo statale.

Ebbene, giudizi instaurati dagli operatori di telecomunicazioni hanno dato luogo, pochi anni or sono, a decisioni del Consiglio di Stato che hanno messo a repentaglio l’esercizio delle funzioni assegnate all’Agcom dalla legge. Tali sentenze hanno infatti statuito che debbano essere finanziati dal mercato solo i costi sostenuti per le attività di regolazione ex ante, con esclusione, pertanto, degli oneri connessi alle attività di vigilanza, sanzionatorie e di composizione delle controversie. Attività – si badi – tutte rientranti, per espressa disposizione di legge, nelle competenze dell’Agcom.

Nella fattispecie, il Consiglio di Stato ha fatto leva su una lettura dell’art. 12 della direttiva 2002/20/CE (c.d. direttiva autorizzazioni) che appare non in linea con l’interpretazione fornitane dalla Corte di giustizia dell’UE, in particolare e da ultimo con la decisione del 18 luglio 2013. Non a caso, le richiamate sentenze hanno subito dato luogo all’apertura di un caso EU-Pilot a carico del nostro Paese. Anche in ragione di ciò, il Parlamento ha inserito nella legge europea per il 2014 (l. n. 115 del 2015) una norma la quale ha espressamente stabilito che debbono essere finanziati dal mercato i costi “complessivamente sostenuti per l’esercizio delle funzioni di regolazione, di vigilanza, di composizione delle controversie e sanzionatorie, nonché di ogni altra funzione attribuita dalla legge all’Autorità”.

Successive sentenze del TAR del Lazio hanno tuttavia negato il carattere di interpretazione autentica della norma appena citata – pur affermato dal Governo nella relazione introduttiva al disegno di legge europea – e si sono conseguentemente poste nel solco delle decisioni del Consiglio di Stato. Più sorprendentemente, la tesi secondo cui il contributo degli operatori dovrebbe coprire solo i costi relativi alla regolazione ex ante è stata ribadita dallo stesso TAR, in una sentenza del marzo 2017, con riferimento a una delibera dell’Agcom successiva all’entrata in vigore della novella introdotta con la legge europea per il 2014. Siamo dinanzi, nella specie, non già al diniego della natura di interpretazione autentica della norma della legge europea, bensì alla sua disapplicazione, ancorché non espressamente dichiarata. Per cui pare legittimo chiedersi come dovrebbero essere finanziate, alla luce di questa interpretazione giurisprudenziale, le funzioni diverse dalla regolazione ex ante attribuite all’Agcom dalle leggi dello Stato.

Un tema specifico cui vale la pena fare cenno è rappresentato, inoltre, dal sindacato sui provvedimenti sanzionatori emanati dalle autorità. In linea astratta, si potrebbe essere portati a credere che tale sindacato dovrebbe essere meno penetrante di quello esercitato sugli altri provvedimenti delle autorità: la determinazione della sanzione comporta infatti valutazioni tecniche per loro natura opinabili, e dunque connotate da un più ampio grado di discrezionalità. Inoltre, il giudice amministrativo si trova in una situazione diversa da quella del giudice penale, in quanto a differenza di quest’ultimo non è titolare della potestà punitiva, che appartiene per intero all’autorità amministrativa.

Purtuttavia, la Corte di giustizia dell’UE è orientata da anni nel senso di ritenere la sussistenza in capo agli organi giurisdizionali di una competenza di merito in materia di sanzioni. A sua volta, la Corte europea dei diritti dell’uomo, in una sentenza del 2011 (Menarini, n. 43509), ha affermato la natura sostanzialmente penalistica delle sanzioni irrogate dall’Autorità Antitrust; e da ciò ha tratto la conseguenza di un sindacato “pieno” non solo sulla fondatezza dell’addebito, ma anche sull’adeguatezza della sanzione, di cui il giudice può dunque modificare l’entità. Pochi mesi dopo, nel dicembre 2011, è intervenuta una modifica del d. lgs. n. 104 del 2010 (recante riordino del processo amministrativo), che ha attribuito al giudice amministrativo una competenza di merito sulle sanzioni pecuniarie, ivi comprese quelle irrogate dalle autorità indipendenti. Pertanto, in materia di sanzioni, nonostante la maggiore opinabilità delle relative valutazioni tecniche, la limitazione dell’ambito discrezionale delle autorità finisce per essere più marcata di quanto non lo sia in termini generali. Ciò in piena consonanza con gli indirizzi della giurisprudenza sovranazionale, ma in oggettiva contraddizione con il principio stabilito dal citato art. 7, comma1, del d. lgs. n. 3 del 2017.

In concreto, dunque, non sempre risulta agevole tradurre in atto in maniera coerente i principi che regolano i rapporti fra le giurisdizioni e le autorità. A questo fine, il dialogo e il confronto tra le istituzioni rappresenta senza dubbio la strada maestra per realizzare più compiutamente gli obiettivi perseguiti dal legislatore con l’istituzione delle autorità amministrative indipendenti.

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