Servizio pubblico

Rai, Carlo Fuortes si dimette da Ad. Giampaolo Rossi neo Dg? Intanto, cestinata la bozza di nuovo contratto di servizio

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Le conseguenze immediate della norma caccia-Fuortes e delle sue inattese dimissioni? Servizio pubblico sempre più alla deriva, senza alcuna certezza di medio-periodo, né strategica né economica.

Quanto sta accadendo “in” ed “intorno” alla Rai è semplicemente incredibile e scandaloso. Ovvero sarebbe “incredibile” e “scandaloso” in un Paese normale, quale l’Italia – ancora una volta – sta dimostrando di non essere.

Quel che avevamo segnalato venerdì scorso su queste colonne è avvenuto: l’Amministratore Delegato Carlo Fuortes se ne va (vedi “Key4biz” del 5 maggio 2023, “Rai: norma ‘ad personam’ per cacciare Carlo Fuortes da Viale Mazzini”), anche se con modalità che sembrano essere sfuggite al controllo della regia…

Che si chiami “spoil system” o meno, oppure “alternanza politica”, è naturale che i vertici di alcuni enti pubblici ed imprese controllate dallo Stato possano essere cambiati, in funzione dei nuovi indirizzi del Governo… In teoria, se un amministratore delegato ha operato bene, “indipendentemente” dalla cromia delle sue simpatie politiche, questo avvicendamento non dovrebbe avvenire, ma nessuno si illude di vivere in un Paese ideale…

L’avvicendamento, però, dovrebbe essere comunque caratterizzato da una logica di strategia, nell’interesse del Paese: va via un Presidente o un Ad e lo si sostituisce con altro, che deve avere almeno la stessa ricchezza di curriculum professionale, e magari anche “una idea” di quel che andrà a fare. E qui, quasi sempre, casca l’asino.

Scriveva ieri Eugenio Fatigante su “Avvenire” (il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana – Cei): “nomine, uno spettacolo sconfortante rinnovato tra spartizioni e ambizioni… ne viene fuori un quadro d’insieme fatto di piccolezze umane assortite” (il riferimento è anche all’altra cacciata, quella del francese Stéphane Lissner, costretto ad un pensionamento anticipato “ex abrupto”…). Lo stesso Fatigante scrive oggi che “il passo indietro di Carlo Fuortes, improvviso e soprattutto un anno prima della scadenza fissata nel 2024, fa onore al manager nominato dal governo Draghi in un Paese in cui sono sempre merce rarissima le dimissioni, da lui annunciate 4 giorni dopo la inusuale “normascandalo” inserita in un decreto legge per trovargli un posto alternativo”. Ha ragione. Fuortes esce con eleganza dalle sabbie mobili nelle quali era finito.

La Rai – è stato ripetuto tante volte – è veramente la cartina di tornasole della politica italiana, delle sue contraddizioni, delle sue patologie.

È ancora oggi uno strumento di influenza dell’opinione pubblica (almeno di quella meno giovane).

È senza dubbio uno dei più importanti laboratori di costruzione dell’immaginario nazionale.

La Premier Giorgia Meloni ha sostanzialmente invitato l’Amministratore Delegato Carlo Fuortes ad andare via. Gli è stato preparato un viatico straordinario, stravolgendo prassi e norme, ovvero costruendo ponti d’oro per consentirgli di andare a guidare il San Carlo di Napoli, uno dei più prestigiosi enti lirico-sinfonici d’Italia (consentendogli anche una coerenza rispetto alla specifica esperienza professionale, basti ricordare che è stato Sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma dal 2013 al 2020).

Qualcuno osserva che la firma del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sul decreto legge sta tardando, e si ipotizza che norma “caccia-Fuortes” potrebbe essere addirittura stralciata dal testo definitivo, data l’evidenza del carattere di non urgenza del provvedimento.

La trattativa, l’accordo, l’intesa deve essere però saltata: le vere ragioni non le sapremo mai, e nemmeno riesce a ben spiegarle una accurata giornalista del “Corriere della Sera” qual è Antonella Baccaro, specializzata sulla tv pubblica, che dedica oggi una pagina intera al “dietro le quinte”.

Che sia stato determinante il “fattore umano”? Nessuno lo scrive, ma noi crediamo che invece potrebbe essere stato proprio questo il fattore scatenante.

Diagnosi possibile? Saturazione infrapsichica da overstress lottizzatorio.

Che Carlo Fuortes, semplicemente, si sia stancato – nel profondo della sua psiche – ed abbia deciso di mandare in malora tutti, sostenitori ed avversari?! Ha comunque 64 anni e potrebbe anche decidere di dedicarsi ad altro, più o meno vicino alla pensione.

Cosa lascia Carlo Fuortes alle sue spalle a viale Mazzini? Perdurante, totale assenza di una “idea di Rai”

Massimiliano Panarari su “La Stampa” di oggi dipinge l’Ad uscente in modo ironicamente impietoso: “Tecnico scelto dall’esecutivo del tecnico per eccellenza con la mission di innovare e riportare in auge un certo spirito culturale del servizio pubblico, l’ad si è rapidamente trasformato in pompiere, navigante “a vista uomo” e funambolo tra i desiderata dei capi-partito. Un vero peccato. E, dunque,”cosa resterà di questi anni Fuortes” in Rai? Una parentesi di equilibrismo e quieta non movere che fa sinceramente strabuzzare gli occhi nel leggere, nel suo messaggio di addio, che «non ci sono più le condizioni per proseguire nel progetto editoriale di rinnovamento che avevamo intrapreso nel 2021». E, di preciso, quale sarebbe stato? Se queste sono dimissioni «nell’interesse delle istituzioni», agli interessi della Rai (e della pubblica opinione che paga il canone) chi ci pensa, quindi?”.

Va dato atto che Fuortes può farsi vanto – come peraltro scrive nella lettera di dimissioni – della controversa ed ancora non del tutto compiuta trasformazione organizzativa “per Generi”, che però corre ora il rischio di essere cancellata…

Ribadiamo quel che andiamo scrivendo (denunciando) da molto tempo anche su queste colonne…

Quel che continua a stupire è la perdurante totale assenza di una precisa “idea di Rai” da parte del Governo e dei suoi esponenti.

Zero assoluto.

D’accordo, ci deve essere un “cambio di indirizzo” politico, una apertura alle culture di destra, ai valori della Nazione e della Patria, ma quale deve essere, secondo la Presidente del Consiglio, la Rai del futuro?!

Se una idea chiara di “servizio pubblico mediale” c’è (ce lo auguriamo), non è di pubblico dominio.

Su “La Stampa” di oggi Ilario Lombardo cerca di costruire una possibile “idea di Rai” di Giampaolo Rossi, che viene dato per sicuro come imminente Direttore Generale: “l’uomo che avrebbe dovuto rappresentare in Cda le ragioni sovraniste della futura premier sta per prendersi la sua rivincita. Giampaolo Rossi, ex consigliere ed esperto Rai, diventerà direttore generale. Entro questa settimana, forse già giovedì, il Ministero dell’Economia consegnerà al Consiglio dei Ministri i nomi dei nuovi vertici. Quando Roberto Sergio prenderà il posto di amministratore delegato fino a ieri occupato da Carlo Fuortes, Rossi verrà chiamato al suo fianco come Dg. Il tandem dovrebbe durare un anno. Una coabitazione che, stando ai piani di Meloni, dovrebbe terminare quando verrà rinnovato il Cda”. Continua Lombardo: “a quel punto Rossi avrà i galloni dell’Ad. Nel frattempo, però, il dirigente con la barba di Rasputin e le vecchie infatuazioni per gli autocrati come Putin e Orbàn, cercherà di non far passare l’anno a vuoto e comincerà a dare corpo al progetto della Rai meloniana immaginata in tutti questi anni di marginalità”. Una televisione pubblica che “dovrà garantire il racconto della nostra nazione nelle sue diverse forme di espressione” e “liberare la cultura da tutte le deformazioni e imposizioni”. Nuova egemonia e de‐piddizzazione sono i cardini della “rivoluzione sovranista” della Rai, con la regia di Rossi e del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, ex Direttore del Tg2, “giornalista capace di mescolare a modo suo Antonio Gramsci e Steve Bannon. Benedetto Croce e Donald Trump”.

Se l’approccio ideologico appare abbastanza chiaro (e finanche legittimo, dato che al Governo c’è la destra), come si traduce operativamente, rispetto al ruolo del servizio pubblico mediale nella società, rispetto alla sua organizzazione interna, rispetto alla strutturazione dell’offerta multimediale?

Ci sarebbe in verità uno schema di lavoro – segreto – di cui avrebbero discusso Rossi e Meloni: secondo questo testo – di cui si parla nei corridoi di Palazzo Chigi e Viale Mazzini – prevede tra l’altro di riportare al passato la struttura Rai, resuscitando le direzioni di rete, al posto dei generi…

Il silenzio del socio di minoranza Rai, la Siae

Si segnala che nessuno ha notato – né sembra ricordare – che la nomina del futuro Amministratore Delegato non è di competenza esclusiva del Mef, che pure è l’azionista di maggioranza della Rai: esiste infatti (anche se tutti se ne dimenticano, fatto salvo oggi Andrea Biondi sul confindustriale “Il Sole 24 Ore”) un socio di minoranza, qual è la Società Italiana degli Autori e Editori, che detiene una quota dello 0,44 % delle azioni della Rai spa. Ed è un ente pubblico economico a base associativa che rappresenta la gran parte dei creativi e degli artisti italiani, se si pensa che può vantare oltre 100mila associati.

Non è giunta voce di una presa di posizione (pubblica) da parte del Presidente della Siae, Salvatore Nastasi, rispetto alla fuoriuscita di Fuortes ed all’ingresso del futuro neo Ad.

Eppure riteniamo che la Siae potrebbe avere un ruolo determinante, nel “new deal” Rai, facendo leva sulla forza della propria rappresentatività dell’anima creativa del Paese.

Peraltro, si segnala che Fuortes chiude la sua lettera di dimissioni con “nell’interesse dell’Azienda, ho comunicato le mie dimissioni al Ministro dell’Economia e delle Finanze”.

E perché non le ha comunicate anche al socio Siae?! Anche lui ne ha forse rimosso l’esistenza?!

Quota azionaria simbolica – d’accordo – quella della Siae, ma strategicamente significativa, se si crede che il servizio pubblico debba sempre più ruotare sulla produzione di contenuti di qualità, originali e innovativi.

Si registra invece la presa di posizione pubblica, questa mattina, del deputato di Fratelli d’Italia e Presidente della Commissione Cultura della Camera Federico Mollicone: “Rai ha bisogno di essere innovata. La Bbc poteva essere un modello per aggregare tutte le produzioni, poi Franceschini ha fatto ItsArt che è fallito in poco tempo. Fuortes non ha subito pressioni politiche, ha solo detto che non ci sono più le condizioni per continuare il suo lavoro”.

Non ci sembra di aver registrato invece alcuna presa di posizione, rispetto alle dimissioni dell’Ad Fuortes, da parte del titolare del Collegio Romano, Gennaro Sangiuliano.

Con le dimissioni di Fuortes, diviene oggettivamente a rischio sia in nuovo “piano industriale” sia il nuovo “contratto di servizio”: quel che è stato elaborato nei mesi scorsi (per quanto ignoto al di fuori delle stanze del Consiglio al Settimo Piano) diviene carta straccia. Incredibile, ma vero.

Si prevede un radicale rimescolamento di carte.

Nel mentre, però, purtroppo la Rai navigherà a vista ancora per mesi e mesi.

La Presidente della Commissione di Vigilanza, Barbara Floridia (M5s): “che Fuortes chiarisca il senso delle sue parole… va preparato un nuovo Contratto di servizio…”

Oggi su “il Fatto Quotidiano” emerge l’opinione della neo Presidente della Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai, che pure ci sembra molto (ma molto) prudente sulla incresciosa vicenda. Diplomatica, Barbara Floridia (Movimento 5 Stelle), sulle dimissioni di Fuortes: “prendo atto della sua scelta e di quanto ha detto in un momento delicatissimo per il servizio pubblico: ma vorrei anche che chiarisca il senso delle sue parole e se e in quale misura ha subito pressioni. Avevamo già fissato la sua audizione il 17 maggio. A questo punto, ribadisco che in ogni caso sarebbe opportuno un chiarimento”. L’esponente grillina sottolinea poi: “come Movimento abbiamo sempre combattuto le leggi ad personam per spingere fuori o dentro le persone da determinati ruoli. Questo modo di prendersi gli spazi non è una novità per la destra ed è assolutamente sbagliato”.

La Presidente della Vigilanza evidenzia quel si temeva: il “contratto di servizio” in gestazione da mesi è da buttare, se è vero che sostiene che “va preparato un nuovo contratto di servizio, cioè il piano quinquennale per la Rai”.

Domanda Luca De Carolis: “Lei come lo vorrebbe?”. Floridia risponde: “il punto è scriverlo nella maniera più precisa e meno ambigua possibile, innanzitutto per garantire il pluralismo. Essendo la cornice per il servizio pubblico, deve essere dettagliato e garantire attenzione all’imparzialità dell’informazione, nonché alla transizione ambientale e digitale”.

Insomma, che il Cda Rai ascolti e finanche il Ministero: il testo (segreto) finora sviluppato da Mimit (Ministero delle Imprese e del Made in Italy, l’ex Mise Ministero dello Sviluppo Economico) va buttato nel cestino.

Eppure, si noti – pochi giorni il titolare del Mimit Adolfo Urso (FdI) aveva annunciato in Commissione di Vigilanza che il “contratto di servizio” sarebbe stato pronto entro fine giugno… Il 27 aprile ha dichiarato: “mi impegno a consegnare alla Commissione il contratto di servizio in tempo utile per consentire le vostre deliberazioni, cioè entro il mese di giugno”. Oggi cosa ne pensa il Ministro Urso, manterrà l’impegno o nelle prossime settimane tutto verrà verosimilmente stravolto dal nuovo corso?!

E si ricordi che tra tre settimane ci sarà lo sciopero nazionale Rai promosso dai tre sindacati confederali Cgil, Cisl, Uil. Come abbiamo già segnalato venerdì scorso, resta curiosa la non adesione del sindacato dei giornalisti Rai, l’Usigrai, almeno fino ad oggi, allo sciopero di venerdì 26 maggio. Abbiamo scritto che la piattaforma di base dei tre sindacati (annunciata il 5 aprile scorso) non ci appare né rivoluzionaria né innovativa, ma comunque è almeno un documento critico che pone interrogativi profondi sull’assetto attuale della tv pubblica ed anche sui suoi futuri possibili, in perdurante assenza – scandalosamente – del “contratto di servizio” e del “piano industriale” Rai.

Riccardo Laganà (Cda Rai, eletto dai dipendenti): “la Rai muore nella sua funzione sociale, a causa di una legge nefasta di ingegnerizzazione del controllo dell’esecutivo e dei partiti”

Oggi pomeriggio, il Consigliere di Amministrazione indipendente (nel senso di non nominato dalla partitocrazia, ma eletto dai dipendenti Rai) Riccardo Laganà ha dichiarato a chiare lettere: “la legge di riforma Rai 220/15, o legge Rai del governo Renzi sta, ancora una volta, mostrando tutti i suoi aspetti nefasti per l’indipendenza editoriale e industriale della Rai. Intorno alla legge, si è sviluppata una scomposta ingegnerizzazione del controllo dell’esecutivo e dei partiti nei confronti del servizio pubblico. Partiti e governo condizionano, alla luce del sole ormai, le nomine delle testate informative interloquendo con l’Ad di turno per avere la sicurezza di avere i voti in Cda; lo si è detto chiaramente in Vigilanza nel novembre del 2021. Si condiziona poi ulteriormente la corporate, facendo pressione attraverso i “referenti interni”, per nominare questo o quel direttore momentaneamente in quota, con buona pace del merito, delle inderogabili necessità industriali ed editoriali e della trasparenza dovuta al cittadino contribuente”. E continua, nella sua denuncia: “si condiziona, fino al danno irreparabile, la gestione aziendale presente e futura, ritardando oltremodo il contratto di servizio, nominando in ritardo la Commissione di Vigilanza, rendendo incerte le risorse economiche presenti e future con le quali finanziare le trasformazioni industriali, bloccando l’azienda fino al punto di favorire, indurre o addirittura negoziare le dimissioni dell’amministratore delegato di turno; sì perché ora è toccato al dottor Fuortes, domani potrebbe toccare a qualcun altro, mentre Rai muore insieme alla funzione sociale chiamata ad assolvere”. Laganà rivendica: “fin dai primi giorni dell’insediamento non ho ratificato la nomina né dell’Ad né della Presidente (indicati dal governo) perché nominati da una Legge che da più parti è considerata incostituzionale; ho giudicato gli atti e la gestione con voti contrari (molti) e pochi voti a favore. Rimangono questioni irrisolte e tanti temi sollevati a cui ho ricevuto risposte dalle solite “carte a posto”. Nessuna tesa a risolvere i tanti problemi, da me pubblicamente segnalati, che albergano in Rai: lo sciopero è la sintesi doverosa di questi anni”. E conclude: “rimane un’Azienda non in sicurezza dal punto di vista dei conti, soprattutto in prospettiva, nella quale sono urgenti: una radicale ristrutturazione della Corporate, azioni tese a garantire il ripristino dell’autorevolezza e indipendenza dell’informazione, contrasto alle fake news, rafforzamento presidi digitali e tutela della titolarità editoriale rispetto ai numerosi e costosi appalti produttivi, tanto per citare solo alcune delle urgenze rimaste irrisolte”.

Attendiamo di verificare come si evolverà la situazione nei prossimi giorni, e ci piacerebbe che i quotidiani ed i media, al di là del “gioco della lottizzazione”, avviassero finalmente un dibattito pubblico sui futuri possibili della Rai.

Nel mentre, Viale Mazzini continua la sua deriva.

Clicca qui, per il testo della lettera di dimissioni dell’Ad della Rai, Carlo Fuortes, Roma, Viale Mazzini, 8 maggio 2023.

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.