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Quanto inquina Internet? Streaming, email e criptovalute le fonti peggiori

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Un recente studio della Royal Society riportato dal World Economic Forum ha mostrato i numeri di questi inquinamento da Internet, e sono sorprendenti, per chi non si è mai posto il problema: le tecnologie digitali inquinano fino a tre volte tanto tutto il traffico aereo mondiale (tra l’1,4% e il 5,9% del totale, contro il 2%).

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Economia dell’immateriale, la chiamano. E però le emissioni sono più che tangibili, e se il clima peggiora tanto rapidamente da condannarci a una nostra personale stagione dei monsoni – appena prima di più catastrofiche conseguenze – è colpa anche di Internet: o meglio di noi, che pigramente compulsiamo Instagram mettendo un cuoricino ogni tanto; di noi, che abbiamo appena convinto il cognato a investire in Ethereum e Bitcoin, le monete del futuro, o magari in NFT per i quali la definizione di “opera d’arte” è una trasparente applicazione del concetto di “eufemismo”. Sì, Internet inquina: e pure parecchio. Certo, abituati a considerare tutto ciò che non possiamo toccare con le nostre mani come privo di impatto, fatichiamo a crederlo. Facciamo la differenziata, ci laviamo i denti col rubinetto chiuso e ci mettiamo un maglione invece di alzare il termostato. Eppure rischia di essere tutto (quasi) vanificato non appena prendiamo lo smartphone in mano o ci mettiamo davanti al PC.

Internet e la necessità della “sobrietà digitale”

Internet costa poco, anzi pochissimo, e da un bel po’ di tempo (basta dare un’occhiata alle offerte presenti su SOSTariffe.it per vedere quanto siano bassi i prezzi della fibra ottica a fine 2021). Il che è ovviamente un’ottima cosa, perché vuol dire, se non altro, un’incidenza assai minore della bolletta del telefono (si potrà ancora chiamare così?) sui nostri bilanci, e nel migliore dei casi l’accesso alla Rete per chi non se l’era mai potuto permettere. Internet ha in gran parte salvato la nostra economia e l’istruzione dei figli durante la pandemia: di certo nessuno può lamentarsi se il suo prezzo si avvia ad essere quasi trascurabile quanto quello dell’acqua corrente. Eppure i prezzi bassi spesso sono l’anticamera dello spreco, per lo stesso motivo per cui siamo assai più propensi a lasciare il rubinetto di cui sopra aperto un po’ più del necessario rispetto a mantenere il termostato a una temperatura troppo alta; perché sappiamo quanto costa l’acqua e quanto il gas, soprattutto in questi mesi in cui i prezzi della materia prima rivaleggiano con quelli dei metalli preziosi.

Un recente studio della Royal Society riportato dal World Economic Forum ha mostrato i numeri di questi inquinamento da Internet, e sono sorprendenti, per chi non si è mai posto il problema: le tecnologie digitali inquinano fino a tre volte tanto tutto il traffico aereo mondiale (tra l’1,4% e il 5,9% del totale, contro il 2%). Commentando questi risultati, il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani – che con il suo passato di fondatore e Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, nonché Chief Technology & Innovation Officer di Leonardo, certo non può essere tacciato di luddismo di ritorno – ha parlato della necessità di una maggiore “sobrietà digitale”. I destinatari del suo messaggio sono stati soprattutto i giovani sui social, perché proprio i social network sono responsabili della metà delle emissioni complessive di Internet.

Streaming ed emissioni, un matrimonio pericoloso

Ma è inutile farsi illusioni, la questione riguarda tutti. Il semplice gesto di spedire un’email ha un costo, in materia di impronta di anidride carbonica, pari a 4 grammi di CO2, che arrivano fino a 50 grammi se inviamo allegati molto pesanti; secondo i calcoli del rapporto, in un anno un utente medio che utilizza la posta elettronica per lavoro può arrivare a emettere 135 chili di CO2 equivalente. Inevitabile pensare allo spam e alle centinaia di mail che ci vengono inviate ogni giorno con promesse di iPhone vinti, dubbie profferte amorose, malati terminali che vogliono nominarci eredi universali: ebbene, ventotto chili e mezzo di anidride carbonica a persona vengono emessi soltanto dalla posta “spazzatura”.

La ricerca web non è messa molto meglio: malgrado i colossi del Big Tech, ben consci del loro ruolo e dell’importanza di presentarsi come paladini della lotta alla crisi climatica, stiano facendo importanti passi avanti per diventare carbon negative, una semplice capatina su un motore di ricerca equivale a quasi 2 grammi di CO2 per pagina consultata. Né sono stati più clementi i mesi della pandemia, visto che le videochiamate, a causa dell’ingente scambio di dati necessario per una visione fluida per lo smart working o la DAD, sono autentiche generatrici di inquinamento, insieme allo streaming audio e video, ancor più se di alta qualità. Mentre noi passiamo entusiastici dall’HD al 4K, il consumo e l’inquinamento aumentano.

L’Egitto dei Bitcoin

E poi ci sono le criptovalute, i cui rendimenti tanto altalenanti quanto potenzialmente golosissimi sono alla base di movimenti enormi ogni giorno. Lo stesso Elon Musk, che alle monete digitali ha sempre guardato con una certa simpatia, dopo aver annunciato di accettare anche i Bitcoin per il pagamento delle sue Tesla, ha fatto una rapida marcia indietro, proprio a causa dell’impatto ambientale della criptovaluta più famosa del mondo. Tesla, del resto, deve buona parte delle sue grandi fortune al fatto che le auto elettriche vengono viste come alleate primarie alla lotta contro l’inquinamento e le emissioni, e la validazione sul blockchain dei Bitcoin – il mining, che rende “vere” e uniche le nuove monete digitali – consuma enormi quantità di energia elettrica.

È un fatto noto che un numero sempre crescente di “minatori” stia mettendo i propri computer al servizio del sistema per generare denaro grazie alla condivisione della potenza di calcolo, ma per farlo – e per evitare che quanto guadagnato sia a malapena sufficiente a pagare il costo dell’energia elettrica in più in bolletta – sono necessari computer particolarmente potenti e opportunamente ottimizzati, che lavorano senza fermarsi mai giorno e notte: tanto che, secondo un calcolo, se il Bitcoin fosse una nazione sarebbe la 26esima più energivora al mondo, al livello dell’Egitto e della Polonia. E naturalmente il discorso non vale solo per il Bitcoin, ma anche per altre criptovalute come l’Ethereum, alla base dell’ultima grande mania dell’investimento digitale, i NFT. Ci sono sì esempi – come Cardano – di criptovalute che vengono generate consumando meno energia e inquinando meno, ma per ora i numeri non sembrano mostrare un’inversione di tendenza. E così Internet, la più intangibile e moderna delle nostre tecnologie, rischia di assomigliare sempre di più a un’obsoleta centrale a carbone.