Key4biz

Quali saranno i business digitali del prossimo futuro?

«Penso che ci sia richiesta mondiale per circa cinque computer», asseriva  nel 1943 Thomas J. Watson Jr., non uno qualunque:  dal 1952 al 1971 sarebbe infatti stato il secondo presidente di IBM, ruolo già ricoperto dal padre, e secondo Fortune «li più grande capitalista della storia». Ma di previsioni azzardate è piena la storia delle nuove tecnologie, tanto che c’è chi ha preso la cosa con molta sportività: Robert Metcalfe, inventore dello standard Ethernet e fondatore della 3Com, predisse un catastrofico “collasso” di Internet nel 1996, promettendo di rimangiarsi le proprie parole in caso contrario. E lo fece: nonostante la dichiarazione fosse a suo dire satirica, Internet era appena agli inizi della propria ascesa, e così Metcalfe, invitato l’anno dopo alla Sixth International World Wide Web Conference, frullò il suo articolo con un po’ acqua e lo mangiò. Di parola.

Uno degli assunti del moderno sistema di mercato è come sia praticamente impossibile riconoscere al volo le startup che avranno successoApple, venticinque anni fa, era talmente in crisi da dover contattare come ultima possibilità il fondatore che aveva cacciato una decina d’anni prima, e in ben pochi sulle prime credettero alla minestra riscaldata; con Amazon già pienamente funzionante; Bezos passò momenti poco piacevoli ai tempi della bolla delle dot com (con le azioni da poco più di 100 dollari a 7, per poi salire a 950 nel decennio successivo); pochi anni fa tutti gli esperti erano sicuri che Elizabeth Holmes e la sua Theranos sarebbero stati il futuro della diagnostica ad alta tecnologia, prima che ci si rendesse conto che il famoso test per l’analisi del sangue partendo da poche gocce era soltanto una truffa. Per non parlare dei Bitcoin e delle criptovalute, che hanno travolto non pochi nel loro recente crollo.

Il futuro? Abiti scelti dall’algoritmo

Considerando il volume d’affari generato da una startup di successo – gli unicorni – in un tempo limitato, però, non stupisce come la caccia alle aziende più innovative sia sempre aperta, non di rado in settori che, almeno agli inizi, sembrerebbero poco redditizi. Scorrendo la consueta lista di Fast Company delle 50 società più innovative del 2019, si vedono parecchi nomi illustri relegati in posizioni di media o bassa classifica, mentre i primi posti spettano ad aziende davvero particolari. Prendiamo Stitch Fix, fondata da Katrina Lake, la più giovane di sempre a quotare in borsa un’azienda (che al momento vale un paio di miliardi di dollari): il suo business è inviare ai clienti un’elegante scatola con una serie di indumenti che potrebbero piacere, utilizzando (manco a dirlo) i big data in relazione ai passati acquisti o alle preferenze espresse tramite Style Shuffle, una sorta di «Tinder per vestiti» dove gli utenti ogni giorno possono votare positivamente o negativamente l’immagine di un indumento. Il cliente apre la scatola e può scegliere cosa tenere, rimandando indietro il resto gratuitamente. Un bel vantaggio per chi non ha né tempo né voglia per lo shopping, magari passando delle ore a cercare qualcosa di proprio gusto negli immensi inventari fisici dei negozi.

Avocado che durano il doppio e latte d’avena

E Apeel Sciences? Fino a qualche mese fa negli Stati Uniti e anche da noi spopolava l’avocado toast, ma chi ama il prelibato frutto sa bene che trovare la giusta maturazione non è semplice; l’azienda ha messo a punto sei anni di ricerche per realizzare una copertura per avocado inodore e insapore in grado di raddoppiare o addirittura triplicare la durata dei frutti sugli scaffali o nelle cassette dei fruttivendoli, e a breve seguiranno pellicole apposita per fragole, limoni e asparagi.

Ovviamente le novità non riguardano soltanto le aziende americane, anzi: se c’è proprio un settore estremamente democratico per quanto riguarda la provenienza, è quello delle nuove tecnologie. Ecco perché in top ten figurano anche Oatly, svedese, che produce succedanei del latte realizzati con la farina d’avena (e se sembra poco appetitoso, sappiate che l’anno scorso le cassette venivano vendute anche a 200 dollari l’una) o la cinese Meituan Dianping, primo posto assoluto, che si occupa di rendere più semplici le prenotazioni e la fornitura di servizi come il cibo, i soggiorni in hotel o i biglietti del cinema anche per i piccoli esercizi (1.783 transazioni al secondo si basano su questa piattaforma). E al secondo posto c’è Grab, altra rappresentante delle «super app» globali così diffuse nel lontano Oriente, in grado di eliminare letteralmente dal mercato Uber, acquistando le sue sedi locali.

Come si comportano i colossi

E i grandi nomi? Quello più in alto in classifica è ben conosciuto: la Walt Disney, che è riuscita a bloccare gli assalti di Netflix per la tv streaming (su SosTariffe.it potete sempre trovare le proposte più interessanti per quanto riguarda i contenuti audio e video di questo genere) e ora si appresta a lanciare il suo servizio con l’esclusiva di nomi altisonanti, dai cartoni animati «di casa» fino ai supereroi Marvel e a Guerre Stellari. Sempre di video si parla con Twitch, piattaforma conosciutissima da qualsiasi gamer e servizio ora di proprietà di Amazon, che ha riportato la live tv – partendo dalle dirette dei videogiocatori più famosi del mondo – all’attenzione delle generazioni più giovani e che ora si sta diversificando in nuove categorie come la cucina, il fitness o i talk show. Al quindicesimo posto c’è Alibaba, il gigante cinese, che sta investendo moltissimo per annullare le differenze tra l’esperienza di acquisto nei negozi fisici e quella online. Apple è in diciassettesima posizione, non proprio entusiasmante per un’azienda che ha fatto dell’innovazione il proprio marchio di fabbrica ma che viene lodata non tanto per un prodotto consumer, ma per il suo chip A12 Bionic che ha fatto il suo esordio all’interno degli ultimi iPhone (meno venduti del previsto) e che garantisce ottime performance: solido, senz’altro, ma non ha certo il glamour delle proposte più innovative della Mela. Eppure, nella lista non compaiono né Google né Facebook; c’è invece una vecchia conoscenza al quarantanovesimo posto, Mozilla, l’azienda dietro a Firefox, che ha guadagnato il suo posto al sole l’anno scorso anche grazie alle sfortune (o alle cattive decisioni) di Mark Zuckerberg, creando in meno di otto ore dallo scandalo di Cambridge Analytica un’estensione chiamata Facebook Container. Lo scopo? Evitare intrusioni poco gradite alla ricerca dei dati sensibili dell’utente. Segno, anche questo, dei tempi che cambiano.

Fonti: https://attivissimo.blogspot.com/2012/05/frasi-celebri-da-rimangiare.html

Exit mobile version