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Qual è lo stato di salute delle industrie culturali e creative in Italia? Segnali contrastanti, tra ricerche Istat ed Aie

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Segnali contrastanti, tra ricerche Istat ed Aie: nel 2021, soltanto il 41 % degli italiani ha letto 1 libro. Cresce il divario culturale tra Nord e Sud: al Sud, solo il 30 % legge. Il numero di editori è calato del 10 %.

Da molti anni, anche su queste colonne della rubrica “ilprincipenudo”, andiamo denunciando l’assenza in Italia di una fotografia anzi di una radiografia accurata, approfondita, aggiornata, dello “stato di salute” del sistema culturale nazionale: esiste ormai una pluralità di fonti (da Symbola a Federculture passando per Civita) che forniscono “spaccati” di analisi, ma nessuno che cerchi di riportare “ad unità”, con una visione organica e sistemica, i tasselli del mosaico.

Assente lo Stato (il Ministero della Cultura sembra disinteressarsi del problema, fatti salve le attività della Direzione Cinema e Audiovisivo – con la sua “valutazione di impatto” sulla Legge Cinema che reca il nome dell’ex Ministro Franceschini – e della Direzione Generale Spettacolo – con la ancora semiclandestina “Relazione al Parlamento” sul Fondo Unico per lo Spettacolo alias Fus…), assente l’Istituto Nazionale di Statistica (che interviene in modo frammentario, mostrando poco interesse al tema “cultura” nel suo complesso), inevitabilmente partigiani gli studi promossi dalle associazioni imprenditoriali (da Anica ad Apa, passando per Aie e Fimi)…

In questo scenario complessivamente frammentario e confuso (ed inevitabilmente confusionario), spicca il “Rapporto Siae sullo Spettacolo e lo Sport”, pubblicato il 17 novembre 2022 dalla Società Italiana degli Autori ed Editori, che è stato oggetto di una radicale rimodulazione contenutistica ed infografica (avvalendosi della consulenza tecnico-scientifica dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult), e che ha presentato un set di dati – completo in quanto censuario – sul sistema dello spettacolo e dello sport, che ha registrato una notevole ricaduta mediatica (si rimanda a “Key4biz” del 18 novembre 2022, “Ricaduta mediatica del ‘Rapporto Siae 2021 sullo Spettacolo e lo Sport’).

Manca una “vision” organica e strategica del sistema culturale italiano

Una “vision” sistemica manca ancora, e quando appaiono studi e contributi di conoscenza, emerge sempre un duplice dubbio: sia sulla qualità metodologica delle ricerche, sia sul loro essere “sganciate” giustappunto da una visione organica e strategica.

Il “Rapporto Siae 2021” ha consentito di focalizzare un problema che finora non era stato oggetto di attenzione da parte dei “policy maker” e forse nemmeno degli stessi operatori del settore: il “divario”, un divario enorme, tra la fruizione di cultura (nel caso in ispecie, “spettacolo”), tra il Nord ed il Sud Italia.

Di questo divario, non ci sembra sia emersa evidenza nemmeno nell’edizione dello storico “Rapporto sulla situazione del Paese” del Censis, la cui edizione n° 56 è stata presentata il 2 dicembre scorso, e, paradossalmente, nemmeno nella ultima edizione del “Rapporto Svimez 2022” presentato il 28 novembre. Anche lo Svimez (Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno) non si è in effetti mai appassionato al tema “cultura”.

In questo contesto, merita essere apprezzata l’attenzione che il quotidiano della Confindustria “Il Sole 24 Ore” ha dedicato al tema, con un articolo di Andrea Biondi, intitolato “L’Italia e il ‘cultural divide’”, richiamato nella prima pagina dell’edizione di lunedì 5 dicembre, dedicato giustappunto al “Rapporto annuale” Siae così come rimodulato dall’IsICult (sottotitolo “Il cultural divide che bussa alle porte del Ministero”).

Si assiste comunque per lo più a “tasselli” di un “mosaico” di analisi ancora deficitario: contributi che finiscono per vanificare i commendevoli intenti, in assenza di una visione sistemica. Il caso, negli ultimi giorni, anche di alcuni studi proposti dall’Istat e dall’Associazione Italiana Editori.

Istat ha presentato tre utili contributi di conoscenza, negli ultimi dieci giorni, che ci sembrano degni di interesse e di segnalazione: il 1° dicembre 2022, un report dedicato a “Sport, attività fisica, sedentarietà”, l’indomani 2 dicembre un report su “L’accessibilità di musei e biblioteche”, e ieri l’altro mercoledì 7 dicembre 2022 uno studio sulla “Produzione e lettura di libri in Italia” nel 2021…

Negli stessi giorni, l’Associazione Italiana Editori (Aie), nell’economia della gran kermesse romana “Più Libri Più Liberi”, ha presentato due dossier: uno dedicato ad un pre-consuntivo del mercato librario nel 2022 ed uno sulla funzione dei “social media” nell’influenzare l’acquisto di libri.

Complessivamente, una messe di dati certamente interessanti, ma – ribadiamo – che finiscono per disperdersi, in assenza di una riconduzione “ad unità” interpretativo-scenaristica di queste numerologie.

Procediamo con ordine, estrapolando alcuni dati che emergono da questi studi.

La pratica sportiva: è cresciuta negli ultimi 20 anni, dal 59 al 66 % della popolazione. Anche qui, “divario” tra Nord e Sud

Secondo Istat, negli ultimi 20 anni, è cresciuta la “pratica di sport” in Italia: le persone che praticano attività fisico-sportiva nel tempo libero è cresciuta dal 59,1 % del 2000 al 66,2 % nel 2021, mentre si riduce la quota di chi non pratica alcuna attività, dal 37,5 % al 33,7 %.

Si noti la correlazione forte tra pratica sportiva e titolo di studio (un’ulteriore conferma del nesso intimo tra “cultura” e “sport”): forti sono effettivamente le diseguaglianze legate al titolo di studio, se si osserva che pratica sport il 51,2 % dei “laureati”, contro il 15,6 % di chi ha la “licenza di scuola media”.

Ci piace (ovvero ci… dispiace!) qui osservare come questa volta, Istat metta il dito nella piaga di un ennesimo divario tra Nord e Sud: è al Nord la quota più elevata di praticanti sportivi (41,5 %), segue il Centro (36,7 %) e per ultimo il Mezzogiorno (24 %).  

Si ricordi che la popolazione italiana è così suddivisa: al Nord 46,5 % degli abitanti, al Centro 19,9 %, al Sud 33,6 %.

Quasi 8mila biblioteche e oltre 4mila musei in tutta in Italia. Nel 2021, visitatori dei musei sono stati 48 milioni, a fronte dei 130 milioni del 2019 (-63 %), ma non sono noti i dati relativi al consumo / fruizione secondo le aree territoriali

Il report Istat del 2 dicembre, dedicato a musei e biblioteche, presenta dati che, apparentemente, sono confortanti, rispetto alla “offerta” di musei e biblioteche sull’intero territorio nazionale: l’Istituto sostiene l’esistenza di una “presenza capillare su tutto il territorio”, censendo ben 7.886 biblioteche e ben 4.292 musei aperti al pubblico nel 2021.

I dati di fruizione sono però deprimenti, perché anche in questo caso si registrano gli effetti dell’onda lunga post-pandemica: nel 2021 l’affluenza ai musei è ancora molto inferiore a quella registrata prima dell’emergenza. I visitatori sono stati poco più di 48 milioni, contro i circa 130 milioni del 2019 (-63 %). Nel 2020, il numero dei visitatori era crollato a 37 milioni.

Stesso trend per le biblioteche: nel 2021, quasi 26 milioni gli accessi fisici accertati, il 49 % in meno. Nel 2019, gli accessi erano stati nell’ordine di 50 milioni. Nel 2021, comunque, si stimano circa 140mila utenti al giorno (ovviamente dato calcolato per i giorni di apertura media delle strutture).

Milano, Torino, Genova, Venezia, Trieste e Bologna al Nord, Firenze, Siena e Roma al Centro e Napoli e Palermo al Sud sono le città italiane con il maggior numero di testimonianze della ricchezza storico-culturale, architettonica e archeologica dell’Italia e con il numero più alto di biblioteche pubbliche e private.

Oltre che nei poli di maggiore attrazione, biblioteche e musei sono presenti anche nei piccoli e piccolissimi Comuni italiani: nei centri fino a 5mila abitanti, si trovano infatti il 41,5 % delle biblioteche e il 32,2 % dei musei, mentre circa il 30 % di musei e biblioteche è localizzato in Comuni di medie dimensioni, dai 5 ai 30mila abitanti. Purtroppo, Istat non fornisce però dati relativi a musei e biblioteche secondo la distribuzione territoriale, e quindi non è possibile verificare se a questa variegata “offerta” sul territorio corrisponde una fruizione effettiva, ovvero una “domanda” adeguata.

Diminuisce il numero di lettori: nel 2021, ha letto almeno 1 libro nell’ultimo anno solo il 40,8 % della popolazione (rispetto al 41,4 % del 2020). Calato del 10 % il numero degli editori, oggi 1.534

Ieri l’altro, Istat ha diffuso anche i dati relativi alla “Produzione e lettura di libri in Italia” nell’anno 2021. Dati non incoraggianti, soprattutto dal punto di vista del consumo. Torna a crescere la produzione libraria (sono aumentati sia i titoli pubblicati, +11,1 % sul 2020, sia le tirature, +11,7 %), ma il numero dei lettori non cresce. La quantità di titoli pubblicati è impressionante: 90.195 titoli, di cui ben 53.861 sono “prime edizioni”.

Ad aver letto almeno un libro nell’ultimo anno è soltanto il 40,8 % della popolazione di 6 anni e più, un dato che è inferiore a quello del 2020, che era stato di 41,4 %.

Il 69,2 % dei lettori legge solo libri cartacei, il 12,1 % solo “e-book” o libri “on line”, lo 0,5 % ascolta solo audiolibri mentre il 18,2 % utilizza più di un supporto per la lettura (libro cartaceo, digitale, audiolibro).

E diminuisce il numero di editori, un indicatore impressionante: considerando le imprese e gli enti che hanno come attività principale l’“edizione di libri a stampa”, tra il 2019 e il 2021, sono diminuiti del 10 % gli editori attivi. A fine 2021, il numero totale degli editori italiani era di 1.534.

Il settore editoriale italiano si conferma storicamente come un comparto polarizzato, composto da una pletora di operatori di piccole e piccolissime dimensioni e da un nucleo ristretto di medi e grandi marchi editoriali. Il 53,4 % degli editori attivi nel 2021 (i succitati 1.534 in tutto) è classificato come “micro-editore” (con una tiratura annua non superiore a 5mila copie), il 37,4 % come “piccolo editore” (tiratura massima di 100mila copie), il 6,7 % come “medio editore” (tiratura non superiore a 1 milione di copie) e solo il 2,5 % è classificato “grande editore” (tiratura superiore a 1 milione di copie).

Che in un anno sia diminuito del 10 % il numero totale di editori è un dato allarmante.

Al Sud, legge 1 libro l’anno soltanto il 29,5 % della popolazione

In questo caso, Istat fornisce una qualche luce sul “divario” Nord / Sud. L’abitudine alla lettura continua a essere più diffusa nelle regioni del Centro-nord: ha letto almeno un libro il 48,0 % delle persone residenti nel Nord-ovest, il 46,3 % di quelle del Nord-est e il 44,4 % di chi vive al Centro.

Al Sud, la quota di lettori è pari soltanto al 29,5%.

Da segnalare che nelle Isole la realtà è differenziata, tra Sicilia (27,4 %) e Sardegna (42,6 %), fortemente a favore di quest’ultima. Da segnalare l’aumento significativo rispetto all’anno precedente (+4 punti percentuali) della quota di lettori in Calabria e Basilicata, e sarebbe interessante cercare di comprendere le ragioni di questo andamento positivo nel corso del 2021.

Il “divario” è confermato anche tra la dimensione “metropolitana” e quella “paesana”: la tipologia dimensionale del Comune è un ulteriore elemento discriminante (senza dubbio legato in parte alla maggior presenza di librerie e biblioteche nei centri di grandi dimensioni). L’abitudine alla lettura è molto più diffusa nei Comuni centro delle aree metropolitane, dove si dichiara lettore poco meno della metà degli abitanti (49,9 %) mentre la quota scende al 35,6 % nei Comuni con meno di 2mila abitanti.

In sostanza, nell’Italia dei piccoli Comuni, legge ormai 1 libro soltanto 1 cittadino su 3…

IsICult sta lavorando ad uno studio che approfondisca le dinamiche dell’“astensionismo culturale” correlandolo all’“astensionismo elettorale”: abbiamo ragione di ritenere l’esistenza di una forte correlazione, sulla quale il Governo tutto – e non soltanto il Ministero della Cultura – dovrebbe riflettere attentamente.

I dati fin qui estrapolati sono oggettivamente preoccupanti, eppure non giunge un grido di allarme dall’associazione degli editori: il 2022 dell’editoria italiana di cosiddetta “varia” (romanzi e saggi a stampa venduti nelle librerie fisiche e online e nei supermercati) si prevede chiuda in lieve calo rispetto al 2021, con una flessione compresa tra l’1,1 % e l’1,8 %, per un valore delle vendite a prezzo di copertina intorno a 1,7 miliardi di euro. La previsione a cura dell’Ufficio Studi dell’Associazione Italiana Editori (Aie), sulla base dei dati Nielsen Bookscan dei primi undici mesi dell’anno, è stata presentata mercoledì 7 a “Più libri più liberi”, ovvero la “Fiera nazionale della piccola e media editoria”, in programma fino all’11 dicembre alla “Nuvola” di Roma (torneremo su questa kermesse, nei prossimi giorni). “La sostanziale tenuta delle vendite è un dato significativo che testimonia la capacità di reazione dell’editoria italiana. Il dato sulle vendite riflette la scelta responsabile degli editori di mantenere invariati i prezzi di copertina, a fronte dell’inflazione e di un’esplosione dei costi di produzione, a partire da quelli della carta e dell’energia. Esplosione dei costi che ovviamente pesa in modo particolare sui piccoli e medi editori – ha sottolineato il Presidente di Aie Ricardo Franco Levi –. Per questo è essenziale che vengariattivato per gli editori di libri il credito d’imposta sulla carta e mantenute le misure di sostegno alla lettura, a partire dalla 18App, in un momento in cui preoccupa la perdita di potere d’acquisto delle famiglie”.

Restiamo convinti che i dati sulla situazione del “libro” e della “lettura” in Italia dovrebbero stimolare anche l’associazione degli editori a richiedere al Governo misure più decise ed impegni più robusti: quello che Ricardo Franco Levi richiede allo Stato ci sembra veramente poca cosa.

E ci ricorda l’altrettanto debole istanza dell’associazione degli esercenti cinematografici italiani (l’Anec, presieduta da Mario Lorini), allorquando chiede allo Stato ulteriori estensioni del “tax credit”, a fronte di una crisi drammatica della fruizione di cinema nei cinematografi che richiederebbe ben altri interventi da parte della mano pubblica.

Soltanto Anica e Apa sostengono che i loro settori vivono una fase beata… Certo, a fronte di 750 milioni di euro l’anno di sovvenzioni pubbliche

Su versante opposto, invece, le associazioni imprenditoriali del cinema e dell’audiovisivo (l’Anica di Francesco Rutelli e l’Apa di Giancarlo Leone), che non si lamentano proprio, anzi, forti di iniezioni assistenziali che non hanno uguali in altri settori (si ricordi che, grazie all’ex Ministro Dario Franceschini, lo Stato italiano assegna oltre 750 milioni di euro l’anno di contributi pubblici a favore delle industrie dell’immaginario audiovisivo), teorizzano una situazione di mercato… beata! Ignorando i processi di inflazione produttiva messi atto, con la produzione di centinaia di film ogni anno, la gran parte dei quali non beneficia nemmeno di uno spettatore in sala… Contraddizioni ed asimmetrie delle industrie culturali e creative italiane.

Conclusivamente, da questi “tasselli” di conoscenza emerge l’impressione di segmenti del sistema culturale che soffrono di crisi radicali, che però nessuno sembra voglia affrontare, nella loro drammaticità, in una prospettiva sistemica, organica, strategica.

Manca ancora una “vision” d’insieme e conseguenti “politiche” pubbliche, che siano trasparenti e coraggiose.

Sembra quasi che i vari rappresentanti “settoriali” assistano in modo rassegnato alla crisi che attanaglia i rispettivi settori di attività.

Prevalgono inerzia, passività, fatalismo.

Ribadiamo una volta ancora che nessuno dispone in Italia di dati accurati, validati ed aggiornati, sulla moria di teatri, cinematografi, librerie, edicole… E ciò basti.

La “disruption” provocata dalla rivoluzione digitale sta determinando conseguenze letali per una parte del sistema culturale italiano, e non ci sembra esista ancora un “governo” adeguato delle politiche culturali e mediali.

La stessa Aie ha presentato uno studio, sempre a “Più Libri Più Liberi”, che propone altri dati inquietanti: ci sarebbe un 17 % di italiani che “leggono”, ma solo online o su smartphone! Sono persone che fruiscono di contenuti editoriali sui “social network”, online su siti specializzati o dedicati alla “fanficition”, ma che non hanno invece familiarità con i libri, nemmeno in versione elettronica o audio. Ha spiegato Giovanni Peresson, Direttore dell’Ufficio Studi Aie: “stiamo parlando di un 17 % di italiani, che, pur non leggendo libri, ebook, ascoltando audiolibri, esprimono una domanda di evasione, informazione, aggiornamento attraverso la lettura di contenuti editoriali da altri dispositivi. È un pubblico che si può intercettare, ma che pone anche delle criticità: parliamo di persone con bassi indici di competenze alfabetiche e che può avere difficoltà ad approcciarsi a sistemi di lettura più articolati”.

Si può certamente cercare di vedere il bicchiere “mezzo pieno” (si tratta di un “pubblico” che si può realmente “intercettare”, come sostiene Peresson?!) anche in questo, ma si conferma la deriva complessiva del sistema culturale italiano, in assenza di un “policy making” adeguato alle sfide della digitalizzazione…

Clicca qui, per il report Istat “Sport, attività fisica, sedentarietà”, Istituto Nazionale di Statistica, Roma, 1° dicembre 2022

Clicca qui, per il report Istat “L’accessibilità di musei e biblioteche”, Istituto Nazionale di Statistica, Roma, 2 dicembre 2022

Clicca qui, per il report Istat, “Produzione e lettura di libri in Italia. Anno 2021”, Istituto Nazionale di Statistica, Roma, 7 dicembre 2022

Clicca qui, per l’articolo di Andrea Biondi su “Il Sole 24 Ore”, “L’Italia e il ‘Cultural Divide’. Il Cultural Divide che bussa alle porte del Ministero”, 5 dicembre 2022