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Programmatic Advertising, il possibile ruolo svolto dai cosiddetti “User-ID alternativi” 

Nato per permettere l’ottimizzazione nell’erogazione della pubblicità online così da accrescere i rendimenti offerti ad inserzionisti ed editori, il Programmatic Advertising è stato individuato fin dall’inizio come la più probabile vittima della rivoluzione che, con il blocco dei cookie di terza parte e la richiesta di consenso al tracciamento delle app da parte degli smartphone Apple e Android, sta investendo il mondo della pubblicità online. 

Questo settore si è però subito attrezzato per individuare modalità alternative per riconoscere e profilare al meglio gli utenti e superare il difficile ostacolo costituito da questo cambiamento: innovazioni quanto mai opportune se si considera che il “Programmatic Advertising” con i suoi fornitori di software e di servizi, è un’area il cui volume d’affari nel nostro Paese ha tenuto lo scorso anno il passo della crescita della pubblicità online rappresentandone il 17% del totale – 4,21 miliardi di euro – con una crescita del 21% rispetto al 2020 secondo l’Osservatore Internet Media del Politecnico di Milano.

Nella scorsa puntata della nostra rubrica abbiamo affrontato il possibile ruolo dei Mobile Advertising ID (“MAID”) come perno attorno al quale riconfigurare il riconoscimento dell’utente e quella è senz’altro una direttrice che il Programmatic sta seguendo, oggi osserviamo il possibile ruolo svolto dai cosiddetti “User-ID alternativi”. 

Se i cookie di terza parte rappresentavano uno standard trasversale, in realtà non erano però degli identificatori stabili: potevano essere cancellati dall’utente in ogni momento e già nel passato avevano richiesto l’adozione di tecniche cosiddette “di fingerprinting”, modalità che si servivano di caratteristiche potenzialmente univoche del dispositivo per riconoscerlo e, nel corso della sua navigazione online, deduplicarlo: indirizzo IP, user-agent del browser, risoluzione dello schermo. Come si può immaginare però, queste informazioni sono state nel tempo bloccate dai browser perché contrarie alla privacy almeno quanto i cookie di terza parte.

Ad oggi, dunque le tecnologie che cercano di riconoscere l’utente in modo alternativo percorrono le seguenti strade:

Ovviamente questa associazione non è sempre possibile, ma lo Universal ID 2.0 creato da The Trade Desk, uno dei protagonisti di questo cambiamento, è di certo una delle soluzioni più note in questo momento sul mercato. 

Come detto, diversamente dai cookie di terza parte che rappresentavano, uno standard, tali User ID alternativi richiedono che il network pubblicitario abbia adottato la tecnologia offerta da uno specifico vendor con un potenziale rischio di frammentazione della audience e dell’offerta del mercato. A fronte di questo rischio, la collaborazione fra gli operatori del Programmatic Advertising, come quella proposta da The Trade Desk, può rappresentare dunque un elemento di ripristino dell’apertura del mercato e dell’efficienza che fin dall’inizio di questo settore si è stati volti a perseguire.

Fra i fornitori di User ID alternativi vi sono, appunto, The Trade Desk, la francese ID5, l’americana Liveramp, l’europea ZeoTap: le loro tecnologie rappresentano le potenziali modalità con le quali il mondo del Programmatic Advertising potrà guardare ad un mondo cookie-less con soluzioni alternative e rinnovate possibilità di raggiungere audience qualificate e pianificazione pubblicitarie efficienti.

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