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Privacy Pride: “La difesa della privacy vuol dire difendere la democrazia”

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Alcune videotestimonianze degli attivisti del 1^ ‘Privacy Pride’ svolto a Roma il 13 novembre e i contributi di Enrico Nardelli ed Isabella Corradini.

“La lotta per la privacy è lotta per la democrazia”; “Giovani che si interessano alla privacy: un buon segnale”; “Grazie per questa iniziativa! Un passo alla volta per creare una cultura democratica e attenta alle libertà”. Sono alcune delle frasi scritte sul Manifesto del Privacy Pride dagli attivisti scesi in piazza a Roma sabato 13 novembre animando così il primo Privacy Pride.

Alcune testimonianze degli attivisti del 1^ ‘Privacy Pride’ a Roma il 13 novembre. Il primo intervento è di Francesco Macchia, tra i promotori dell’iniziativa

A far nascere il Privacy Pride è stato l’art.9 del decreto-legge ‘capienze’, varato dal governo, perché prevede meno protezione dei dati personali per noi italiani. (Leggi l’approfondimento)

Il M5S in Senato ha presentato 7 emendamenti (ecco quali) al decreto-legge per evitare il “far west dei dati personali” e rafforzare il Garante.

Tra gli attivisti in piazza a Roma anche Enrico Nardelli ed Isabella Corradini. Ecco perché sono promotori della difesa della privacy.

Enrico Nardelli, professore di Informatica all’Università Roma Tor Vergata e presidente di Informatics Europe: “Più si riduce la privacy, più si facilita una sorveglianza generalizzata che mette a rischio la democrazia”

“Sostenere che la privacy rende più difficili gli interventi in ambito sanitario o amministrativo o di sicurezza è un falso problema. È l’approccio basato sull’austerità e sulla riduzione delle risorse destinate ai servizi pubblici che rende tali interventi più difficili.
Consentire l’uso di infrastrutture digitali di controllo senza sottoporle al vaglio di un’Autorità indipendente è assai pericoloso perché ciò che viene oggi usato per un scopo giusto può domani con estrema facilità essere piegato ad altri scopi.
Qualche mese fa ho citato su Twitter un intervento di Carissa Véliz, docente di filosofia a Oxford, che ha ricordato che mentre in Francia durante l’occupazione nazista è stato ucciso un quarto della popolazione ebrea, questa percentuale in Olanda è stata tre volte maggiore. La differenza è stata causata dal fatto che in Francia, per proteggere la privacy dei cittadini, non avevano raccolto dati relativi alla loro religione o provenienza, mentre in Olanda queste informazioni erano presenti negli archivi anagrafici, ritenendo – erroneamente – che non ci fosse nulla di pericoloso da nascondere.
La difesa della privacy è estremamente importante, perché vuol dire difendere la democrazia. Più si riduce la privacy, più si facilita una sorveglianza generalizzata che mette a rischio la democrazia. Nella casa di vetro dove è possibile una sola opinione, non c’è contrapposizione e la democrazia è morta”.

Isabella Corradini, presidente Centro Ricerche Themis e vice-presidente Innovazione e Trasparenza: “In educazione civica digitale rientra anche la privacy”

“Il tema della privacy riguarda tutti i cittadini ed è per questo che tutti dovrebbero interessarsi a come i propri dati vengano trattati e da chi. Ad oggi, purtroppo, non si comprende ancora l’importanza dei dati che si rilasciano in Rete, la cui protezione è essenziale dato che questi bit hanno a che fare con la vita delle persone e la loro identità personale e sociale. Occorre quindi far crescere iniziative di sensibilizzazione, partendo dal mondo della scuola, approfittando del fatto che nella tematica educazione civica digitale rientra anche la privacy”.

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