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Privacy, due terzi delle aziende non rispetta il nuovo regolamento Ue

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L’azienda di software dedicati al mainframe a livello globale, Compuware Corporation, presenta una nuova ricerca che rivela come molte aziende in Europa e negli Stati Uniti non siano adeguatamente preparate sul Regolamento Generale UE sulla protezione dei dati (GDPR) recentemente approvato, e rischino di incorrere nelle sanzioni dovute all’errato utilizzo e controllo dei dati personali.

La ricerca ha mostrato che:

Secondo gli intervistati, i fattori principali che rendono difficile la compliance al GDPR sono la crescente complessità dell’IT, indicata dal 63% degli intervistati, l’agilità e la proliferazione delle nuove applicazioni abilitata dai DevOps, la raccolta continua di un numero sempre maggiore di applicazioni e l’outsourcing IT.

Un ulteriore 53% ha dichiarato che la protezione e la gestione del consenso dei clienti rispetto all’utilizzo dei propri dati rappresenta un altro ostacolo consistente.

 

“Diritto all’oblio”: difficile rispettarlo
La ricerca mostra come le aziende fatichino nel controllare i dati in loro possesso e come tutto questo renda ancor più difficile rispettare il ‘Diritto all’oblio’ sancito dal GDPR. In particolare:

Per rispettare il GDPR, le aziende devono rendere ancora più rigoroso il controllo di dove risiedono i dati dei clienti“, afferma Elizabeth Maxwell, PC.dp, e Direttore Tecnico, EMEA, di Compuware. “Se non hanno ben presente dove ogni copia dei dati del cliente si trova in tutti i loro sistemi, le aziende rischiano di perdere molto tempo e risorse nel condurre manualmente le ricerche per recuperare i dati di chi esercita il proprio ‘diritto all’oblio.’ E anche così, non è detto che riescano a identificare ogni copia, restando a rischio di non conformità! La nostra ricerca ha mostrato anche che le aziende italiane sottovalutano le implicazioni del GDPR e si affidano fortemente al consenso espresso attraverso gli accordi NDA stipulati con lo staff e con gli outsourcer, ma utilizzando i dati personali durante i test corrono un grosso rischio che, in base al nuovo regolamento, comporta multe salate sia per l’azienda sia per l’outsourcer“.

 

Testare i confini del consenso
La ricerca ha rilevato che il 96% delle aziende in Italia (86% in Europa) utilizza i dati reali dei clienti per i test delle applicazioni durante lo sviluppo del software, ma solo un intervistato su cinque (32% in Italia) chiede il consenso esplicito del cliente per questa tipologia di utilizzo; la maggior parte delle aziende quindi non rispetta questa parte della normativa contenuta nel GDPR.
Ancor più allarmante, il 58% (43% in Europa) di coloro che effettuano i test delle applicazioni con dati reali mettono ulteriormente a rischio la privacy dei clienti perché non sono in grado di garantire il mascheramento dei dati prima dell’utilizzo.

 

Utilizzare i dati dei clienti per testare le applicazioni è una pratica comune, ma non ci sono motivi reali o scuse per non renderli anonimi prima”, aggiunge Elizabeth Maxwell. “Le aziende che non riescono a mascherare i dati prima dell’utilizzo nei test delle applicazioni potrebbero presto incorrere in multe salate per non aver rispettato la regolamentazione UE. Oltre a essere importante per proteggere la privacy dei clienti, rendere anonimi i dati di test elimina la necessità di ottenere il consenso esplicito all’utilizzo da parte dei clienti, cosa che oltre la metà dei CIO italiani (52%) identifica come uno dei maggiori ostacoli alla compliance al GDPR“.

 

White paper sulla ricerca

I risultati del sondaggio possono essere ulteriormente analizzati nel white paper Unprepared for GDPR? A Research Report on the State of Enterprise Readiness for the EU’s New PII Mandates.

Commissionata da Compuware e condotta dalla società di ricerca indipendente Vanson Bourne, la ricerca ha coinvolto 400 CIO in grandi aziende che operano in diversi settori di mercato in Francia, Germania, Italia, Spagna, Regno Unito e negli Stati Uniti.

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